Architetti emergenti in Italia: intervista ad a25architetti 

Alla guida dello studio dal 2018, Francesco e Paolo Manzoni operano in ambito residenziale soprattutto in Lombardia. Eletti “Giovane Talento dell’Architettura Italiana 2021", firmano lavori misurati ed eleganti, legati alla storia dei luoghi

A Sirtori, un piccolo paese in alta Brianza, in provincia di Lecco, i fratelli Francesco e Paolo Manzoni fondano nel 2018 a25architetti. Decidono di farlo nel territorio dove sono cresciuti, all’interno di un edificio che progettano per accogliere il loro studio e la loro abitazione, con l’obiettivo di creare un rapporto solido e intenso tra vita privata e professionale. Si formano entrambi al Politecnico di Milano: Paolo, classe 1982, in urbanistica e Francesco, del 1987, in architettura. Entrambi dopo la laurea lavorano in diversi studi: decidono di farlo in Lombardia, e non all’estero, per poter conoscere ancora meglio la loro terra e apprendere il mestiere in realtà più piccole, dover poter fare esperienza di tutte le fasi del lavoro, da quelle progettuali al cantiere. In pochi anni di attività hanno già all’attivo progetti di valore e per questo hanno vinto molti riconoscimenti: il più prestigioso arriva due anni fa, quando il Consiglio Nazionale degli Architetti gli conferisce il premio “Giovane Talento dell’Architettura Italiana 2021″. 

Un ritratto di Francesco e Paolo Manzoni - a25architetti. Foto Marcello Mariana
Un ritratto di Francesco e Paolo Manzoni – a25architetti. Foto Marcello Mariana

Intervista a Francesco e Paolo Manzoni di a25architetti 

Non è inusuale che due persone unite da gradi di parentela o legami affettivi aprano insieme uno studio; è più particolare che due fratelli facciano questo percorso senza essere figli d’arte. Da dove nasce la vostra passione comune? 
Non sappiamo di preciso cosa ci abbiamo portato entrambi qui. Però siamo sempre stati abituati, sin da piccoli, a guardare con curiosità alle cose: da ognuna si può imparare. Proprio perché siamo cresciuti in una realtà di provincia, durante l’infanzia sperimentavamo molto usando le mani, e il gioco iniziava anche provando a costruire fisicamente, come piccole riparazioni o realizzazioni di oggetti. Questo ci ha permesso di cogliere presto il lato pratico, applicativo e non solo quello teorico che ci veniva insegnato a scuola.  

Come avete scelto il nome a25architetti? Cosa significa? 
La risposta è molto semplice: abbiamo aperto lo studio in un edificio (che è anche casa nostra) che si trova in via Arnigò (da qui la “a” iniziale) al civico 25. 

Una denominazione che anticipa la scelta di lavorare in provincia, nel vostro territorio di origine. 
È vero, abbiamo un profondo legame con il territorio; abbiamo deciso di iniziare da qui. Dopo l’università abbiamo fatto individualmente diverse esperienze formative, abbiamo poi seguito qualche primo incarico insieme capendo che quello che proponevamo, e le idee che nascevano, erano un mix interessante che poteva funzionare bene. Ci teniamo molto a lavorare dove siamo nati e cresciuti: nella nostra professione ci sono una serie di pensieri e abitudini che sono legate ai luoghi, dagli aspetti culturali ai modi di costruire. Inoltre l’essere in provincia comporta un metodo di lavoro che ti coinvolge a 360°, dal fare la pratica edilizia al seguire il cantiere; se si lavora in contesti urbani o comunque a scale maggiori, il lavoro viene frazionato tra più persone. A noi piace avere il controllo e il coordinamento totale dell’opera e ci teniamo molto anche al rapporto diretto con la committenza. 

Continuate anche ora a lavorare solo nella vostra provincia? 
Anche solo per opportunità, all’inizio abbiamo lavorato solo nella zona della Brianza; ora invece, dopo 5 anni dall’apertura dello studio, sentiamo di aver acquisito un certo “metodo”. Abbiamo iniziato ad avere progetti anche fuori, principalmente in Lombardia, ma di recente anche al di fuori della nostra regione. 

a25architetti, Lo scrigno abitato, 2022. Foto Marcello Mariana
a25architetti, Lo scrigno abitato, 2022. Foto Marcello Mariana

In merito alla scelta di abitare un luogo dove non esiste soluzione di continuità tra la vita privata e quella professionale? 
Anche questa è una scelta consapevole. Ovviamente è una situazione che ha i suoi pro e i suoi contro, ma che ha radici antiche dell’uomo con la bottega sotto casa. Certamente “non si stacca mai”, perché l’architettura è un mondo, una questione che inevitabilmente ti coinvolge e assorbe appieno. Noi ci teniamo; ogni cosa della vita quotidiana la prendiamo come stimolo e spunto ed è inevitabilmente un po’ connessa a ciò che è il nostro lavoro da architetto e il nostro modo di fare questo mestiere. 

In che modo la vostra formazione ha influito sulle vostre scelte e influisce nella professione? 
Uniamo perfettamente le nostre competenze: in alcuni casi abbiamo dovuto risolvere problemi di pianificazione urbana e questo ci ha anche permesso di ottenere commesse inaspettate. Nel caso per esempio del Padiglione agricolo Bressanella – non avevamo lavori all’attivo che giustificassero una commessa simile – siamo stati chiamati per una variante di destinazione urbanistica; l’area infatti era stata destinata a residenziale, nonostante ci fosse già l’azienda agricola. Risolto il problema, grazie al rapporto di fiducia che si era stabilito, la committenza ci ha affidato l’incarico del progetto architettonico. 

Raccontateci meglio… 
La realtà di provincia necessita, per ben operare, un mix di competenze che vanno dal saper coniugare aspetti paesaggistici, alla ricerca di un equilibrio tra natura storica e paesaggio e la sua (anche critica) trasformazione. Tuttavia è anche necessario saper risolvere problemi urbanistici, burocratici e realizzativi con la costante difficoltà di operare in un settore come quello dell’edilizia che ultimamente sembra andare in tutte le direzioni meno che nella direzione dell’architettura. 

a25architetti, Padiglione agricolo Bressanella, 2019. Foto Marcello Mariana
a25architetti, Padiglione agricolo Bressanella, 2019. Foto Marcello Mariana

Quando vi ho chiesto di mandarmi delle foto dei vostri progetti per questo articolo, avete specificato la volontà di pubblicare quasi solo foto di interventi realizzati, ad eccezione di un concorso. La vostra motivazione è molto interessante, da condividere. 
Oggi è normale dover dedicare una parte del tempo della professione alla comunicazione. Il nostro è un lavoro che viene mostrato ampiamente tramite immagini, ma ci siamo resi conto che la loro sovrabbondanza ha forse consumato l’attenzione del destinatario. Il rischio è che queste stesse immagini non aiutino a fare chiarezza sull’architettura, ma scaturiscano un effetto contrario. Si fa molta fatica a capire cosa sia realmente costruito e cosa no, quale sia un render e quale una foto del reale. C’è uno scollamento tra l’immagine virtuale, bellissima, e la realizzazione nonché la chiarezza del percorso. 

Qual è il vostro approccio rispetto ai render quindi? 
Usiamo i render – e non sempre – come strumento per presentare l’idea al committente, ma per progettare o per raccontare il percorso di un progetto preferiamo far vedere i nostri lavori per come sono davvero, per come sono realizzati attraverso foto e disegni. Più una cosa è vera, più si può far capire il progetto e la logica che c’è dietro. 

Mi sembra di leggere nelle vostre parole un concetto che torna spesso in queste interviste: il rischio legato alla sovrabbondanza di immagini di cui usufruiamo.  
Assolutamente. Siamo sopraffatti da migliaia di immagini che scorrono velocissime davanti a noi. Quando progettiamo cerchiamo di non farci influenzare da tutte le suggestioni, nelle quali siamo comunque inevitabilmente immersi. Cerchiamo di fare un passo indietro per non rischiare di esserne sopraffatti e perdere così il filo rosso del proprio progetto, quello che si genera e che va seguito dal primo sopralluogo, allo studio del territorio, al primo concept e così via.  

Quanti siete nello studio? 
Attualmente solo noi due. Abbiamo una rete consolidata di collaboratori esterni per alcune consulenze legate al progetto; quando decidiamo di dedicarci a un concorso assumiamo collaboratori interni per quel determinato periodo. Non facciamo molti concorsi, non abbiamo attualmente molto tempo per farli come vorremmo. I pochi ai quali abbiamo partecipato ci hanno sempre regalato buoni risultati; all’ultimo – per la riqualificazione di una piazza e aree pubbliche in provincia di Sondrio – siamo arrivati terzi. 

La maggior parte dei vostri progetti, sia realizzati che in cantiere, sono in ambito residenziale e in luoghi rurali o comunque in contesti bucolici. Un caso o una scelta? 
Entrambe. Sicuramente siamo partiti da questa tipologia di progetti perché ci è capitato, poi ci siamo resi conto che l’abitare era un ambito che ci interessava. Avendo all’attivo progetti sul residenziale ovviamente è più probabile che arrivino altre richieste simili e quindi seguiamo il flusso senza opporci. Anche perché poi le cose si trasformano da sole; attualmente abbiamo progetti di scala più ampia ma partiti dagli stessi clienti con cui abbiamo lavorato per progetti di scala medio-piccola. 

I vostri progetti sono molto coerenti ed eleganti. Qual è il vostro approccio progettuale? E il vostro rapporto con i materiali 
Cerchiamo di partire dalla storia del luogo, di utilizzare pochi materiali e semplici, usando quelli che troviamo nel territorio o nell’edificio stesso nel caso di una riqualificazione dell’esistente. Per esempio nel progetto Il rifugio del Gelso c’era una parte evidente in cemento armato vecchio di 70 anni. Abbiamo deciso di utilizzare per i nuovi mattoni – diventati allo stesso tempo paramento murario e decoro – sempre il cemento armato, creando un dialogo tra vecchio e nuovo il più coerente possibile. Teniamo particolarmente a studiare nel dettaglio come stanno insieme le cose (materiali, forme, colore, finiture): ogni cosa ha una sua logica e un suo rapporto con gli elementi. La maniglia con la sua porta, la porta con il suo muro. 

Finale di rito. Cosa augurate a voi, ai colleghi e all’architettura italiana per il futuro? 
L’augurio che ci viene spontaneo fare è quello di essere il più curiosi possibile e di non tralasciare mai nulla. Ogni cosa che ci circonda possiamo poi ritrovarla nel progetto e ogni richiesta può essere un’opportunità. Se si mantiene umiltà e curiosità le cose accadono e la nostra professione può avere un futuro. Noi cerchiamo di non dire subito di no alle richieste più “semplici”, ma cerchiamo di porci in ascolto: non si può mai sapere cosa accade. Tornando proprio a Il rifugio del Gelso, non nasce da una richiesta del committente; ci aveva infatti contattati solo per lavori minori, poi ci siamo conosciuti e si è creata una sinergia di valori condivisi e di obiettivi comuni che ha portato al vero e proprio progetto. 

Silvia Lugari 

http://www.a25architetti.it/ 

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Silvia Lugari

Silvia Lugari

Organizza viaggi ed eventi culturali nell’ambito dell’architettura. Una vocazione che è nata dalla sua formazione universitaria, trasformata in professione. Collabora con Casabella formazione e ProViaggiArchitettura, per i quali si occupata dell'organizzazione di mostre, conferenze e workshop nazionali e internazionali, anche…

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