Stefano Boeri cerca 12 giovani architetti per ripensare la Roma del 2050

Ultimi giorni per candidarsi al bando per il “Laboratorio Roma050”: nella Capitale si cercano i dodici specialisti, due senior e dieci under 35, che lavoreranno per definire una visione a lungo termine della città. A coordinarli sarà l’architetto Stefano Boeri, che abbiamo intervistato

Scade a metà febbraio la ricerca dei professionisti che opereranno nel Laboratorio Roma050 – Il futuro di una Metropoli-Mondo. Dallo scorso 29 dicembre, il Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale (tramite la Società Risorse per Roma) ha avviato il percorso per la costituzione del team di lavoro che, nell’arco di diciotto mesi, si occuperà di “analizzare e reinterpretare una straordinaria quantità di dati e informazioni e, allo stesso tempo, di costruire un sistema di strategie progettuali e di rigenerazione, il tutto finalizzato alla trasformazione complessiva del paesaggio urbano di Roma”, come indica l’avviso pubblico. La ricerca in corso segue la (discussa) deliberazione n. 282, approvata dalla Giunta Capitolina del luglio scorso, nella quale tramite un contratto di consulenza il Sindaco Gualtieri ha invitato a “partecipare e contribuire all’elaborazione di una visione futura per la città di Roma” l’architetto e urbanista Stefano Boeri. Raggiunto da Artribune, il progettista milanese precisa: “Non faccio il maestro in questo laboratorio. Cercherò di coordinare i dodici architetti che avranno contatto quotidiano con decine di pensatori, politici, progettisti, amministratori, esperti. Il mio è un lavoro da caporedattore. Ho sempre fatto questo nella vita, sia alla Triennale che come direttore di Domus”.

Roma. Photo unsplash.com

Roma. Photo unsplash.com

STEFANO BOERI E ROMA

La sua posizione sulle potenzialità e sull’unicità di Roma è nota. Più di recente, nel libro “Urbania” ha definito la Capitale una “metropoli arcipelago”. Cosa intende?
Il Comune di Roma è quasi dieci volte più esteso di quello di Milano e ha una densità abitativa sette volte inferiore a Milano: giusto per iniziare con un paragone fra le due città italiane. Questo consente a Roma di avere un sistema di quartieri (borgate, distretti, unità di vicinato) che non sono necessariamente schiacciati l’uno sull’altro e tra di loro spesso hanno anche una certa distanza. I corridoi verdi, le nicchie archeologiche, le aree agricole sono elementi che percorrono, quasi per intero, il territorio comunale. Insieme alla formidabile intersecazione della storia con la geografia, Roma non è semplicemente una metropoli, ma un mondo a sé. Gioca un altro campionato rispetto a tutte le altre città del mondo. Da questo punto di vista penso che la sfida di Roma sia la sfida dell’umanità: se si riuscisse ad affrontare con il piglio giusto, con intelligenza e visione una sfida come quella di immaginare il futuro di Roma, si farebbe un passo fondamentale per tutte le altre città del mondo. Ne sono profondamente convinto.

Accennava alla dimensione rurale di Roma. In “Urbania”, in merito alla presenza degli animali, citando anche quelli non esattamente innocui, pone l’accento sull’ “ambiente ricchissimo di biodiversità e unico al mondo” di Roma. Nel bando si fa riferimento a potenziali “nuove pratiche”: saranno anche legate a ripristinare una connessione meno conflittuale (laddove possibile, ovvio) con le altre specie?
Assolutamente sì. Questo non significa cercare una pacificazione superficiale: sappiamo bene tutti che ci sono forme difficilissime di coabitazione con specie che hanno comportamenti capaci di confliggere con la vita quotidiana della nostra. Quando parlo di “coabitazione” mi riferisco anche a studiare forme di separazione dei circuiti spazio-temporali di due specie; in altri casi, come già succede, si può pensare che ci siano compenetrazione e intersecazione di percorsi. Secondo la visione di Tim Ingold, che è uno degli antropologi di riferimento per me, oggi guardiamo alle città non come un insieme di punti con una rete che li lega, ma come un insieme di linee di una trama in movimento. Ogni vita è un movimento, non è semplicemente un punto. Di conseguenza, una delle cose che faremo sarà studiare il ciclo spazio-temporale di ogni specie vivente e capire se ci sono (e quasi si sempre ci sono) punti di conflitto e aspetti in cui vanno protette alcune caratteristiche della specie. Il Laboratorio Roma050 non pretende di costruire nulla, ma di raccogliere ciò che già c’è sul presente e sul futuro di Roma. Ciò che faremo con i dodici architetti sarà un lavoro essenzialmente di ascolto, raccolta di informazioni, suggestioni e consigli.

Stefano Boeri. Photo Giovanni Gastel

Stefano Boeri. Photo Giovanni Gastel

IL Laboratorio Roma_050 E IL DESTINO DELLA CAPITALE NEL 2050

Il bando indica tre fasi di lavoro, l’ultima delle quali “incentrata sulla restituzione del progetto”. Operativamente, quale sarà il “risultato finale” del Laboratorio? Cosa dobbiamo aspettarci?
Innanzitutto, il Laboratorio si appoggerà a una consulta, che si sta costituendo, con gli ordini, le università, i centri di ricerca: sarà lo strumento che consentirà al Laboratorio di acquisire conoscenze, progetti e visioni. Il nostro è un lavoro inclusivo: nessuno pensa di potersi chiudere in una torre d’avorio ed elaborare, fra due anni, la visione del futuro. Non fosse altro perché oggi abbiamo un problema serio con la nozione stessa di futuro, che è diventato una categoria che si guarda e maneggia con cautela, allarme e con una dose di preoccupazione, emotiva e razionale, sempre più forte. Anche quando facciamo il lavoro di urbanisti o architetti, sentiamo molto questo tema. Dunque lavorare su uno scenario 2050 vuol dire accettare di riprendere in mano il futuro, far in modo che torni a essere qui con noi: mi rendo conto che c’è veramente paura di guardare a quello che succederà nei prossimi anni, fra crisi climatica, guerre, pandemie, terrorismo, disuguaglianze. Per tutte queste ragioni la sfida su Roma è straordinaria. E per essere portata avanti ha bisogno del contributo più largo. Ripeto: il nostro lavoro sarà soprattutto di coordinamento di pensieri, visioni, di compatibilità fra diverse strategie. Quale sarà il risultato, quindi? Un affresco, quello di una metropoli che nel 2050 noi ci auguriamo rappresenti un modello per tutto il mondo. Mi viene in mente l’affresco del Buon Governo, che non è solo visivo, ma anche concettuale.

Il primo dei tre orizzonti temporali previsti per il Laboratorio è il 2025. Quali sono le urgenze per la città, specie in vista degli appuntamenti di quell’anno e in considerazione della candidatura all’Expo 2030?
L’oggetto del Laboratorio resta l’affresco per il 2050. Non c’è dubbio che alcuni elementi di questo affresco sono di riferimento per scelte più immediate. Ci siamo dati questa prima data, il 2025, come impegno nostro a considerare le scelte relative al Giubileo e quelle potenziali relative all’Expo.

In concreto, da dove inizierete e quale metodo adotterete?
La prima cosa che faremo sarà un atlante di tutti i progetti in corso a Roma, in senso lato: in costruzione, in attesa, in fase di riflessione, di preparazione, di implementazione, di studio. Questo atlante ci darà l’idea di cosa è, oggi, il “futuro immediato” della città. Non produrrà da parte nostra una politica, che è naturalmente in mano all’amministrazione pubblica in tutte le sue diverse forme e dimensioni.

L’AMBIENTE GENIALE

Proseguo dal bando: il Laboratorio Roma050 “sarà anche una Scuola di Formazione sulla Città e il suo territorio”. È ipotizzabile, anche solo come ambizione, che questa prima esperienza possa essere il debutto di una struttura, un organismo in grado di operare in futuro accanto al Comune?
Penso che il lascito più bello del Laboratorio saranno le persone. Penso alla trasmissione di conoscenza che avverrà fra un mondo di esperti e progettisti e i dodici, donne e uomini, del Laboratorio. Professionisti che, secondo me, potrebbe scegliere di utilizzare questo formidabile bagaglio conoscitivo investendo su Roma. Tutto ciò che può riguardare altri progetti che l’amministrazione sta pensando potrebbero godere di questa eredità di patrimonio umano.

Il 7 febbraio, l’Università di Milano-Bicocca le ha conferito il dottorato di ricerca honoris causa in Scienze chimiche, geologiche e ambientali. Nella sua lectio ha definito l’ambiente “geniale”? Ovvero?
Sono grato e onorato per questo riconoscimento. L’architettura è una disciplina che si muove fra la nozione di paesaggio, come proiezione soggettiva, e quella di ambiente, come contesto oggettivo. Credo che più guardiamo alla storia recente dell’architettura, più ci rendiamo conto che la nozione di ambiente si è allargata nella prospettiva architettonica: abbiamo introdotto dimensioni di realtà, ovvero sfere sociali, economiche e culturale sempre maggiori. Oggi il tema ecologico è diventato una componente fondamentale. Questo è un modo con cui l’ambiente è entrato con forza nella nozione di paesaggio, nella sua potenza e genialità. L’ambiente, di per sé, come indica il titolo, è geniale. D’altro canto, credo anche che l’ambiente stesso si sia popolato di paesaggi e di prospettive soggettive: quando pensiamo, ad esempio, alla combinazione di specie o alla biodiversità introduciamo dei punti di vista. E quindi, in questo senso, c’è una reciprocità straordinaria. E quello che cerco di fare si ispira proprio a questa reciprocità.

Valentina Silvestrini

https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/Avviso-_LaboratorioRoma-050.pdf

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

Scopri di più