L’albergo? Non deve essere come una casa. Intervista all’architetta Daniela Colli
Facciamo il punto sul tema hospitality – trend, nuove aperture, cantieri e ispirazioni – con l'architetta Daniela Colli, progettista romana da anni impegnata nel settore ricettivo, in Italia e all'estero
Il mondo dell’ospitalità e quello dell’accoglienza stanno cambiando, non solo in seguito al blocco pandemico. Si trasformano perché sono mutate le richieste di un’utenza sempre più informata ed esigente, che da un hotel o da un locale si aspetta molto. Incluse esperienze sensoriali autentiche, arricchenti dal punto di vista culturale, sociale ed emotivo. Roma, ad esempio, sta affrontando un periodo di grande rinnovamento in tal senso, con numerose catene che hanno – letteralmente – in cantiere progetti di restauro e di riqualifica di immobili prestigiosi destinati a essere riconvertiti in hotel.
Dallo Student Hotel alla Soho House a Scalo San Lorenzo, passando per il Bulgari Hotel a piazza Augusto Imperatore fino al Mandarin o al Rome Edition Hotel, solo per citarne qualcuno: da qui al 2023, insomma, la Città Eterna sarà palcoscenico di un’offerta ricettiva e culinaria di altissimo livello. Ne parliamo con Daniela Colli, fondatrice nel 2009 dello studio di architettura e interior design che porta il suo nome, di base nella Capitale, con una vasta esperienza nel settore dell’hôtellerie e della progettazione per gli spazi per l’accoglienza.
INTERVISTA ALL’ARCHITETTA DANIELA COLLI
Tre aggettivi per descriverti.
Eclettica, perché amo accogliere le contaminazioni; concreta, perché le idee devono essere sempre attuabili per obiettivi. E sartoriale, perché nei miei progetti tendo a disegnare ogni elemento, pur consapevole che customizzare significa complessificare.
Progettare gli spazi della ricettività a Roma e a all’estero: quali le caratteristiche comuni e le differenze, anche a livello di approccio e budget?
Le differenze sono abissali! A Londra hanno un approccio sistematico: vengono coinvolte da subito varie professionalità per ogni singolo step progettuale (ad esempio, il general manager che poi gestirà l’hotel o lo chef che, dettando da subito la sua linea culinaria, influenza anche la progettazione spaziale della cucina). Insomma l’anima di un posto viene creata grazie alla sinergia di più figure. In Italia tutto questo non esiste, poiché chi investe nel mondo hospitality non sempre è esperto del settore; succede quindi che molti attori del processo vengano coinvolti solo alla fine, probabilmente per inesperienza. Anche se è controproducente da dire per noi architetti, bisogna ricordare che il bel design da solo non salva i business.
Esperienza e sensorialità: i viaggiatori di oggi sono attenti e le proposte ricettive abbondano (basti pensare a quanti clienti ormai alloggiano solo attraverso Airbnb). Quali le strategie progettuali per fare la differenza e soddisfare i nuovi bisogni di ospitalità?
A fare la differenza sono i progetti che restano impressi nella memoria. Quelli capaci di sorprendere, accogliere e avvolgere. Per me un albergo non deve essere come una casa. Sì, deve dare quello stesso senso di comfort e far sentire a proprio agio, pur essendo un luogo di passaggio, ma è importante che venga percepito come “spazio altro”, come spazio dell’esperienza non domestica, appunto. Poi, certo, anche i servizi accessori fanno la differenza: aree wellness, terrazze, ristoranti di livello. Concorrono a creare un’esperienza sensoriale utile, appunto, ad alimentare un ricordo. Non basta più raccontare una storia, i viaggiatori cercano l’anima dei luoghi.
Quali i trend dell’hôtellerie internazionale da tenere d’occhio?
Al momento direi che il trend principale è… continuare ad aprire nuove strutture! E poi il cambio d’uso degli spazi, questa profonda ibridazione tra il vivere e il lavorare che sta modificando l’approccio alla città e al viaggio. E, di conseguenza, agli spazi dell’ospitalità. Per quanto mi riguarda tendo, se posso, a non legarmi alle tendenze del momento, almeno nell’interior. O, se lo faccio, mi accosto provando sempre a darne una mia personale interpretazione. L’obiettivo è cercare di fare progetti futuribili, captando i trend prima degli altri, specialmente su colori, materiali e finiture. Bisogna evitare che un progetto invecchi troppo velocemente, perché eccessivamente legato a trend stagionali, passeggeri, che stufano. Oggi, ad esempio, molti hotel, ma anche tanti locali e ristoranti, vengono realizzati con interior pensati ad hoc per essere instagrammabili. Una specie di set: tutti con gli stessi colori, gli stessi arredi, le stesse lampade. Per me, invece, resta fondamentale trovare ispirazione partendo dalla cultura e dall’heritage del posto.
I PROGETTI DI DANIELA COLLI
Raccontaci sinteticamente i tuoi tre progetti di hospitality preferiti.
Inizierei con Vyta Covent Garden, a Londra: è il progetto che mi ha consentito di crescere, di mettermi alla prova per la prima volta in un contesto internazionale importante come l’Inghilterra, nonché il primo di una lunga e fortunata serie di altri locali della stessa catena (a Roma, Firenze, Milano, Bologna, Torino…). Un ristorante il cui design attinge a piene mani dalla cultura architettonica italiana Anni Cinquanta, a cui “ruba” i materiali preziosi, i dettagli costruttivi e decorativi, il mix di eleganza e ironia e le stilizzazioni geometriche.
E poi?
L’Orazio Palace, uno dei miei ultimi lavori, in cui è stata proprio Roma, con la sua luce, a ispirarmi. È un albergo aperto alla città, immaginato per essere un luogo di incontro, lavoro, scambio ed esperienze gourmet. L’esperienza più interessante è il ristorante sul roof, da cui godere il tramonto e una vista spettacolare. Un progetto in equilibrio tra segno, materiale e significato che crea un’atmosfera accogliente e cosmopolita. Infine Stripes, una “design osteria”, primo pop-up a Londra, nel quartiere Mayfair, in una piazza rialzata. Creato da me e un amico in pienissima pandemia, si tratta di un “fast and casual format”.
Ovvero?
Il locale era pressoché intoccabile, trattandosi di un punto di ristoro temporaneo: l’idea è stata quindi rivestire completamente ogni elemento strutturale e di arredo fisso con delle pellicole 3M. Ottimista, funzionale e smart, è un progetto che mette insieme un approccio emozionale con un design eclettico, caratterizzato da colori vivaci e pattern geometrici, liberamente ispirati al gruppo Memphis. Dal pavimento a grandi righe bianche e nere al bancone giallo sole alle insegne al neon turchesi alle sedie blu e rosse: il cliente resta comunque al centro di questa composizione astratta. Ora, con la bella stagione, sarà un posto pieno di vita, attrattivo: durante il torneo di Wimbledon (27 giugno-10 luglio 2022), allestiranno lo spazio aperto con delle sdraio.
ARCHITETTURA CONTEMPORANEA E OSPITALITÀ
In Italia e nel mondo, a quali progetti di hotel e progettisti guardi con interesse?
Crosby Studios di Harry Nuriev, per il color blocking e per la forte contaminazione tra arte, moda e design. Un altro esempio scovato recentemente è l’hotel A22 a Riga, in Estonia, dove una certa severità tipica dell’Europa orientale incontra l’eclettismo, dando vita ad ambientazioni Anni Cinquanta, incredibilmente attuali nella loro eleganza minimalista. Davvero chic, con i suoi legni scuri, gli ottoni, il marmo: un’opulenza non urlata. E poi la designer francese Dorothée Melichzon, founder dell’agenzia CHZON. La stessa, per intenderci, del Palazzo Experimental a Venezia, per il suo modo – originale ed elegantissimo – di ibridare lo stile locale con uno dichiaratamente glamour e internazionale.
Hai un progetto dei sogni in questo campo?
Sì, certo! Realizzare un hotel su un’isoletta greca, proprio davanti al mare. La mia idea di lusso accessibile.
‒ Giulia Mura
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