Decreto sviluppo. E l’architettura è in pericolo

Si vota oggi il Decreto sviluppo. Cosa accadrà se il Governo incasserà l’ennesimo voto di fiducia. L’esempio dell’architettura del secondo Novecento.

L’architettura pubblica italiana del secondo Novecento è in pericolo. E il paesaggio non gode certo di miglior sorte. Volete salvarli? Desiderate opporvi alla svendita del patrimonio culturale pubblico? Basta una firma agli appelli che chiedono l’abolizione delle modifiche introdotte al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio con il decreto-legge n. 70 del 13 maggio 2011, prima che venga convertito in legge, trascorsi 60 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Diversamente da quanto previsto dal nostro ordinamento, sin dalla legge Nasi (1902), e in controtendenza rispetto a un generale riconoscimento della qualità della nostra architettura del Novecento, il cosiddetto Decreto sviluppo abbassa pericolosamente la soglia di tutela degli edifici di proprietà pubblica, o appartenenti a enti privati senza scopo di lucro, compresi quelli ecclesiastici, innalzando il limite temporale per la “presunzione dell’interesse culturale” da 50 a 70 anni. Dunque, questo provvedimento esclude dal regime di tutela tutte quelle opere di architettura e urbanistica popolare realizzate tra il 1941 e il 1961, che sono invece testimonianze materiali di grande valore simbolico e identitario, oltreché artistico, della storia del nostro Paese durante gli anni della ricostruzione post-bellica.

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Albini, Albricci, Belgiojoso, Gardella, Peressutti, Rogers - Ina Casa, Cesate

Opere di Pier Luigi Nervi, Ludovico Quaroni, Giovanni Michelucci, Adolfo De Carlo, Giuseppe Samonà, Egle Trincanato, Saverio Muratori, Luigi Cosenza e non solo sono in pericolo. Così come lo sono il PAC (1947-54) di Ignazio Gardella e gli allestimenti museali dei BBPR per il Castello Sforzesco, quelli di Franco Albini per le Gallerie Comunali di Palazzo Bianco a Genova e quelli di Carlo Scarpa al Museo di Castelvecchio a Verona. Allestimenti storici che oggi potrebbero essere smantellati in seguito alle modifiche apportate al Codice. Senza contare i numerosi interventi di edilizia popolare, il Borgo La Martella (1951-54) di Ludovico Quaroni per la città di Matera e gli importanti interventi realizzati a Roma per le Olimpiadi del 1960, che annoverano il Palazzo dello Sport dell’Eur (1956-1960) di Marcello Piacentini e Pier Luigi Nervi, il Palazzetto dello Sport in viale Tiziano (1958-1960) di Annibale Vitellozzi e Pier Luigi Nervi, lo Stadio Flaminio (inaugurato nel 1959) di Antonio e Pier Luigi Nervi, il Villaggio olimpico (1958) di Vittorio Cafiero, Adalberto Libera, Amedeo LuccichentiVittorio Monaco.
Ma non è tutto. Il Decreto sviluppo elimina anche l’obbligo di denunciare il trasferimento della detenzione di beni immobili vincolati, dando la possibilità ai proprietari di beni di pregio di scegliere destinazioni d’uso e di effettuare interventi di ristrutturazione senza il controllo delle soprintendenze, che così non possono più di verificarne lo stato di conservazione. E infine introduce il silenzio-assenso in materia di autorizzazione paesaggistica, contrariamente a quanto stabilito dalla Costituzione, dalle leggi e dalle sentenze della Corte Costituzionale in materia.

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Pier Luigi Nervi - Palazzo delle Esposizioni, Torino

Molte le personalità del mondo dell’arte e della cultura che hanno manifestato il loro dissenso nei confronti di norme che peggiorano una pratica di tutela consolidata ed efficace come quella italiana. A cominciare da Salvatore Settis, che il 25 maggio ha tuonato dalle pagine di Repubblica sottolineando tra l’altro che “scardinare i principi della tutela e dell’utilità sociale è una bomba a orologeria sganciata sulla Costituzione, in cui questi principi sono saldamente ancorati a una sapiente architettura di valori”. E lo stesso giorno, sul website Eddyburg, viene pubblicato l’articolo La forza della legge come tentativo di argine contro lo scardinamento del sistema di tutela dei beni immobili di Giovanni Losavio, magistrato, presidente di sezione presso la Suprema Corte di Cassazione. Seguiti a ruota dalla segnalazione di Artribune del 27 maggio.
Ma già in precedenza si erano mobilitate AAA Italia, Docomomo Italia e Italia Nostra con un appello che sarà inviato al Consiglio Superiore dei Beni Culturali, ai più alti organi del Ministero e al Presidente della Repubblica. Altra encomiabile iniziativa da segnalare e sostenere è la petizione di Gino Famiglietti, direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise, preceduta da un testo in cui vengono analizzate le criticità delle norme in questione ed elencati alcuni beni che incorrerebbero nel pericolo di “incontrollate dismissioni, alterazioni e modifiche incongruenti”. E poi ancora l’appello al ministro Galan del Comitato della Bellezza, Associazione Bianchi Bandinelli e Assotecnici, sottoscritto da Vittorio Emiliani, Marisa Dalai e Irene Berlingò. Ultime in ordine di tempo, l’articolata riflessione che Italia Nostra ha proposto il 14 giugno al Parlamento, sui danni che deriverebbero al Paese dall’approvazione del Decreto, e la lettera a firma della presidente Alessandra Mottola Molfino che sarà recapitata al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, ai presidenti delle competenti commissioni parlamentare e a tutti i deputati e senatori.

ritratto di AMM Decreto sviluppo. E l’architettura è in pericolo

Alessadra Mottola Molfino

Una mobilitazione corale che ha bisogno dell’adesione di tutti per contrastare più in generale un modello di sviluppo insostenibile che “si fonda ancora sul consumismo, sul cemento e sulla distruzione dei beni comuni, come le spiagge, le coste e il patrimonio culturale” – per usare le parole di Alessadra Mottola Molfino – mentre nell’“economia della conoscenza e dell’ambiente […] la crescita non è fatta di cemento e mattoni, bensì di idee e creatività”.

Anna Saba Didonato

Il primo articolo di Artribune sul Decreto sviluppo

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