Roma perde un enorme spazio culturale e museale: “Nella ex Zecca faremo un palazzo per uffici”
Cambiano in corsa, e senza alcuna spiegazione pubblica, i progetti per l'uso museale e culturale dello storico complesso della ex Zecca nel Rione dell’Esquilino. Niente più musei, residenze, scuole e ristoranti: solo uffici

Guardateli nella nostra gallery, guardateli con attenzione i render del progetto di riqualificazione della ex Zecca di Roma nel Rione Esquilino. Guardateli qui su schermo, perché l’unica possibilità di vedere questo edificio riqualificato sarà in foto: non si potrà più entrare, percorrere, imparare, visitare, scoprire, mangiare. Da spazio pubblico a vocazione culturale (ne avevamo parlato con entusiasmo qui su Artribune fin dal 2018), la riqualificazione dell’edificio ha partorito il topolino di semplici aree per uffici. Doveva essere un momento di rinascita la riapertura della sede storica dell’ex Zecca dell’Istituto Poligrafico dello Stato in Via Principe Umberto all’Esquilino, a Roma. Il gigantesco palazzo avrebbe dovuto accogliere il ricco Museo della Zecca a fianco di residenze per artigiani, bar e ristorante, foresteria, diventando un polo culturale integrato. Una promessa, corrisposta da un concorso di architettura vinto dallo studio dell’architetto Alfonso Femia, su cui ora l’ente IPZS fa marcia indietro zitto zitto approvando una variante progettuale. Da progetto aggiornato, infatti, gli spazi saranno i nuovi uffici della Zecca stessa (che da anni ha sede in periferia in Via Salaria, insieme a una porzione del comparto produttivo), una ottimizzazione logistica per collocare qualche centinaio di scrivanie eliminando di netto musei, spazi culturali, apertura al pubblico e soprattutto al quartiere. Un quartiere che attendeva da anni il compimento di un progetto in grado di invertire la china di degrado della zona.











La premessa: il vecchio progetto per l’ex Zecca di Roma
Il progetto da 35 milioni approvato nel 2021 (e anticipato appunto fin dal 2018) prevedeva il recupero della prima, storica sede della Zecca di Stato – più che un palazzo, un intero isolato tra il Mercato Esquilino e la Stazione Termini –, in stato di degrado da anni. Questo, tramite un profondo intervento di recupero dell’archeologia industriale assegnato ad Atelier(s) Alfonso Femia, avrebbe creato una nuova casa per la preziosa collezione della Zecca e al contempo offerto al quartiere uno spazio culturale polifunzionale, che includeva l’attivazione di iniziative imprenditoriali artigianali.
Nello specifico, l’intervento autorizzato (e la cui fine era prevista, stando alla documentazione presentata a inizio lavori, per quest’estate) era articolato in: museo, sale riunioni, centro servizi IPZS, laboratori artigiani, Scuola dell’Arte della Medaglia, foresteria, ristorante, mostre temporanee, biblioteca, bookshop, caffetteria, Uffici del Comando Carabinieri Anticontraffazione Monetaria (CCAM) più depositi, archivi e locali tecnici. All’IPZS avevano definito il nuovo ambiente una “fabbrica dell’arte e dei mestieri”, con direzione artistica ad hoc e tutto quanto. E adesso? “Le mutate esigenze maturate in seno alla Stazione Appaltante hanno indotto allo sviluppo di una variante progettuale”, si legge nel nuovo progetto.
All’ex Zecca di Roma ci saranno gli uffici del Poligrafico
Ma in cosa consiste questa variante? “Con l’eccezione degli Uffici CCAM, di alcuni spazi polivalenti, degli ambienti destinati alla ristorazione e alla vendita, la variante prevede la sostituzione di buona parte delle funzioni prefigurate dal progetto assentito, in favore della destinazione ad uffici del Poligrafico di tutti gli spazi compatibili”, si legge ancora. Via tutto, quindi: in Via Principe Umberto 2/4 restano depositi, mensa aziendale al posto del bistrot aperto al pubblico, locali tecnici e ottomila metri quadri di uffici IPZS (su undicimila totali). Ad aumentare sono anche i parcheggi pubblici, che da ottocento passano a oltre mille e cento mq, fattore che lascia anticipare un probabile aggravamento della congestione della centralissima area, visto che qui invece dei visitatori di un museo arriveranno ogni mattina gli impiegati in macchina. Il documento è approvato con data marzo 2025 dal Provveditorato Interregionale per le opere pubbliche per il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
In tutto questo non c’è stato alcun momento di dialogo con il quartiere, a cui era stato garantito un grande progetto di rinnovamento culturale e che si ritrova invece con altri uffici e un grande parcheggio. Sgomenta la risposta del Comitato di Quartiere “Rione Esquilino”, che denuncia sui propri canali social un progetto che “tornerà ad essere il vecchio fortino inespugnabile e chiuso al pubblico (da giornate sporadicissime – al massimo – del FAI, appunto)”, lamentando “l’ennesima occasione persa che avrebbe potuto dare un poco di lustro e ossigeno ad una zona, quella tra piazza Pepe e il Mercato rionale Esquilino di via Principe Amedeo, che è spesso protagonista in negativo delle cronache“. L’augurio del gruppo è quello che adesso il sindaco Gualtieri e la giunta protestino con l’IPZS. In effetti è difficile pensare che il sindaco possa tacere dal momento che alla sua città viene sottratto un progetto culturale di così grande rilievo, stesso dicasi per il ministro Giuli.

La risposta dell’IPZS ad Artribune
Perché il cambiamento? Dall’IPZS ci dicono che la decisione del Consiglio d’Amministrazione è stata presa alla luce di considerazioni di natura complessiva: il progetto si presentava come economicamente insostenibile. Il Poligrafico, ricordano, è un’azienda al cento percento dello Stato, i cui utili vengono usati interamente per ripagare il debito pubblico: per completare il piano iniziale, oltre all’investimento iniziale, sostengono che si sarebbe andati a perdere 2/3 milioni ogni anno. Da cui la decisione di spostare qui 450 impiegati e dirigenti, che secondo l’IPZS porteranno comunque indotto e aiuteranno a combattere il degrado della zona. La Scuola dell’Arte della Medaglia resterà sulla Nomentana mentre il Museo resterà alla Salaria, contribuendo, dicono, a non spopolare l’offerta culturale della periferia: peccato sia in un contesto largamente infruibile.
Davvero l’Istituto Poligrafico dello Stato considera negativo investire in cultura 3 milioni l’anno
Ci si domanda come possa essere considerato “insostenibile” un ammanco a bilancio annuo da 2 o 3 milioni su un progetto culturale di tale levatura capace di veicolare i valori dell’azienda che in questi ultimi anni (tra biometrie, carte di identità elettroniche e cybersicurezza) si sono decisamente incrementati. L’IPZS avrebbe avuto a disposizione una valvola di disseminazione dei suoi contenuti invidiabile ed efficace (un po’ come sta facendo la Banca d’Italia, aprendo il prossimo anno il MUDEM, il Museo della Moneta di Via Nazionale sempre a Roma). Come può una società – ancorché pubblica – che fattura oltre mezzo miliardo di euro l’anno farsi impensierire da cifre così piccole? Davvero l’amministratore delegato Francesco Soro, che ha deciso di smontare il progetto, può così facilmente affermare che l’idea di Paolo Aielli (l’Ad che ebbe la visione di realizzare l’hub culturale nella ex Zecca) era campata in aria? E anche se fosse, perché non spiegare, perché non comunicare, perché non garantire la giusta trasparenza alla città, al quartiere e ai cittadini in generale, che con le loro tasse sostengono le attività dell’ente?

La Zecca di Roma non sarà più museo. Parla l’architetto Alfonso Femia
“Inutile nascondersi dietro a un dito, si passa da una fruizione pubblica e culturale a uno spazio per uffici. Ma devo dire che ho avuto paura a causa anche dell’aumento dei costi che si andasse allo stop del progetto. Da parte mia mi ero adoperato insieme all’ente per individuare anche dei modelli di gestione sostenibile, avevamo visto l’ADI Museum di Milano o la Monnaie di Parigi, ma poi ha prevalso la necessità di non imbarcarsi in una spesa considerata elevata”. A parlare è Alfonso Femia da una parte un po’ dispiaciuto per il cambio di programma – “immaginate quando mi avrebbe fatto piacere firmare questo grande museo nel cuore di Roma…” – dall’altra convinto di poter fare comunque un buon lavoro modificando il meno possibile del progetto vincitore del concorso e realizzando, specie nei primi due piani più monumentali, degli interventi che possano essere reversibili nel caso un domani si cambiasse di nuovo idea e si tornasse a un’idea di utilizzo meno banale. Del resto, dice Femia, “prima o dopo gli edifici vincono sempre”. Per ora però ha vinto la mentalità che tutto sommato gli uffici riqualificano e creano valore e comunità tanto quanto un museo. E allora uno vale l’altro, sembrano dire dall’Istituto Poligrafico dello Stato italiano.
Giulia Giaume
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