Provincia Cosmica. Intervista a Denis Riva, l’artista che lavora nel Veneto profondo
Torna “Provincia Cosmica”, la rubrica di Artribune che dà voce agli artisti di periferia. Il nuovo episodio è dedicato a Denis Riva, pittore e disegnatore che vive in un capannone industriale nel Veneto più profondo. L’intervista di Alex Urso
Scarti, macerie, oggetti abbandonati diventano nella pratica di Denis Riva frammenti da recuperare e trasformare in qualcosa di nuovo. Nato in Emilia Romagna nel 1979, l’artista (anche noto come Deriva) si è spostato quasi quindici anni fa in un piccolo paese del trevigiano: Follina. È qui, all’interno di un grande capannone industriale, che porta avanti la sua ricerca e dà vita al suo bestiario immaginario. Il suo è un lavoro lento e meditativo, che trova nel “profondo Veneto” il suo habitat ideale.
Intervista a Denis Riva
Ti presenti con un nome d’arte, utilizzi pochissimo i social e vivi in campagna. Mi aiuti a presentarti a chi non ti conosce?
Difficile da descrivere. La mia è una deriva positiva che rema lontano dalle classiche dinamiche dell’arte. È soprattutto una deriva artistica che mi porta a ricercare me stesso e la mia vera identità senza mai considerare alcuna logica di mercato, con il quale sono costretto a confrontarmi e scontrarmi continuamente per poter sopravvivere; deriva direzionata, anche, che a livello personale richiede da sempre sacrificio e impegno nel mantenere un’etica professionale serrata in tempi ostici. Sono un lavoratore che fa questo da trent’anni e che disegna da quando è nato. Vivo una vita molto semplice e al tempo stesso molto ricca, basata sul rispetto per la natura e per gli animali. È per questo che la mia ricerca artistica si fonda sul recuperare il necessario da qualcosa che già esiste (vecchie carte, legni abbandonati, scarti di valore) cercando di evitare sprechi, plastiche e stomachevoli fiumi di resine e acrilici. Lo studio in cui lavoro è come una piccola e splendida discarica, un archivio del salvato e del salvabile.
Nel quale ti rifugi per “scappare” dal mondo digitale…
Faccio un uso equilibrato dei social, fermo restando che preferisco lavorare piuttosto che postare col rischio collaterale di banalizzare tutto attraverso la ripetizione forzata di un clic. Il piccolo schermo ha cambiato la percezione pubblica dell’arte e sembra aver rimpiazzato il corpo a corpo con l’opera, che resta comunque il senso del mio lavoro accanto all’amore per la carta stampata in generale e la catalogazione personale tramite il libro come progetto.

Arte e natura nell’opera di Denis Riva
Nella tua opera uomo e natura si incontrano. Nei tuoi dipinti e disegni, l’essere umano – quando presente – sembra vivere in piena armonia ed equilibrio con il contesto vegetale. Non c’è tempo né spazio, solo ascolto. Cosa ti interessa raccontare?
Cerco di rappresentare il tempo nelle sue svariate forme e direzioni, ma anche la realtà delle mie emozioni (che sono spesso il frutto delle mie osservazioni). Ciò che emerge, probabilmente, è il racconto involontario della mia quotidianità, frammenti di vita personale condannati dalla pittura e ricomposti, medicati da vecchie carte e un blob di materia stratificata. Piccoli ritagli di tempo che sedimentano coi loro tempi, e nel combinarsi con i vari elementi restituiscono una nuova visione.
La natura è dominante, tanto nella tua opera quanto nel tuo vissuto. Nel 2012 ti sei trasferito a Follina, piccolo Comune in provincia di Treviso. Da cosa sei fuggito, e cosa hai trovato in questo luogo?
Non sono fuggito, ho soltanto seguito il mio istinto. È stata dura abbandonare il “Ganzamonio”, quel triangolo bermudale emiliano di cui il mio immaginario si è nutrito sin dall’infanzia. Del paesaggio pedemontano mi sorprende la quantità di dettagli che si possono osservare quando si è accerchiati da montagne e lo sguardo non è costretto a rincorrersi su quella carta srotolata che è la pianura. Qui ho la sensazione di vivere come un pittore del Novecento che ogni mattina esce di casa, va nel bosco attraverso un sentiero vicino, controlla l’apparizione delle salamandre, parla coi cani, osserva le piante, resta in silenzio, raggiunge lo studio a piedi attraversando il paese. Ho avuto spesso la sensazione di sparire in una sorta di lentezza primordiale molto vicina al nulla. Una solitudine rigenerante.
Partire per ritrovarsi altrove
Mi parli meglio di questa scelta di vita? Cosa ti ha spinto ad abbandonare la tua terra cercando “rinascita” in un posto lontano dai grandi centri del Paese?
Io sono nato e cresciuto a Cento, che non è una metropoli ma rappresenta comunque una realtà diversa rispetto a quella di Follina. Ciò che mi ha spinto in zone remote è stata anche un’esigenza pratica: avere uno studio gigante che potesse contenere Deriva spendendo il meno possibile. Nei primi quattro anni sono sparito su una collina all’interno della tenuta di una contessa dove la vecchia cantina dei vini era divenuta il mio studio, un luogo isolato e immerso nella natura appena fuori dal paese. Poi dal 2017 sono approdato in lanificio.
Il Lanificio Paoletti, appunto. Che tipo di collaborazione hai intrapreso con loro? C’è uno scambio reciproco?
Ogni scambio si basa innanzitutto sul rispetto e su un sincero volersi bene come esseri umani. Lo studio attuale occupa gli ex uffici di un capannone adiacente al Lanificio Paoletti. La mia vita è un quotidiano “randagismo legalizzato” all’interno della struttura, in peregrinazioni che mi consentono di dialogare con la loro ricerca parallela sui tessuti, annusare, toccare, recuperare materiali utili alle mie sperimentazioni. Così nasce Madre Pecora, un progetto al quale tengo particolarmente. Il lanificio mi fornisce parti del suo campionario per realizzare pezzi unici da indossare, per il momento sciarpe, coperte e mantelli.
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La collaborazione con il Lanificio Paoletti
Al di là dell’utilizzo di questo spazio industriale come studio, quali altre attività hai ospitato o conti di ospitare al suo interno?
In passato mi sono occupato di individuare e sistemare alcuni spazi limitrofi per curare mostre di altri artisti, connettendoli con la produzione della lana e il territorio anche attraverso brevi residenze. Parlo in particolare de La via della lana, rassegna che metteva in comunione arte contemporanea, conferenze su lana, moda e studi sull’archivio storico Paoletti tuttora in fase di costruzione. All’interno del lanificio aperto a 360 gradi tra visite guidate e spazi dedicati a varie attività si crea un’armonia particolare, una sana contemporaneità in movimento e in ricerca. Un clima di festa e sinergie positive del quale abbiamo goduto tutti. C’è di certo la volontà di proseguire con attività culturali che possano legarsi anche ad attività didattico-laboratoriali di natura sperimentale.
Non è scontato che realtà imprenditoriali si affidino in maniera così generosa a un artista, dandogli carta bianca nella gestione delle attività culturali…
Ho avuto la fortuna di incontrare la famiglia Paoletti dalla quale mi sono sentito subito adottato. Con generosità e una straordinaria apertura al dialogo si sono fidati di me, mostrando interesse e curiosità per uno scambio che avrebbe potuto far germogliare qualcosa di diverso nella realtà follinese. E di questo sono molto grato.
Come ti vedono gli abitanti di Follina? Senti che la tua presenza sul territorio è stata utile in questi tredici anni?
Non saprei dirti. Dovremmo fare un piccolo sondaggio e chiedere a loro.
Alex Urso
PROVINCIA COSMICA #1 – Giovanni Gaggia
PROVINCIA COSMICA #2 – Elena e Alicya Ricciuto
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