Una manager della cultura alla guida dei Musei Civici di Bologna: intervista a Giorgia Boldrini
Dopo le dimissioni dell’archeologa Eva Degl’Innocenti, a subentrare alla direzione del Settore Musei Civici di Bologna è Giorgia Boldrini. Le abbiamo rivolto alcune domande per farci spiegare quale eredità riceve e che indirizzo darà al suo mandato
Emiliana doc, formatasi al DAMS e con un Master conseguito alla Scuola Superiore di Studi Umanistici di Bologna, Giorgia Boldrini da giugno ricopre l’incarico di Direttrice del Settore Musei Civici di Bologna, passato quasi in sordina. Eppure, grazie alla sua impostazione pragmatica, sembra voler seguire un chiaro ordine di priorità durante i prossimi anni di lavoro. Ecco cosa ci ha raccontato.
L’intervista a Giorgia Boldrini
Dal 2000 è cominciata la sua carriera all’interno dell’amministrazione comunale bolognese, proseguendo in diversi ambiti culturali. In che modo questo percorso influenzerà il suo ruolo di Direttrice dei Musei Civici?
Sono entrata in Comune con un concorso da bibliotecaria. Ho lavorato all’interno dell’Ufficio Spettacolo, all’interno della Cinetica di Bologna, poi ho avuto la responsabilità dell’Ufficio Giovanni Artisti – da cui è nata l’idea di aiutare nella crescita i nuovi talenti. Ho lanciato un progetto sull’industria creativa che si chiama Incredibol, tra i primi dedicati all’arte, alla cultura e alla creatività visti come professione – perché questo è partito nel 2009, l’anno in cui usciva il libro bianco del Mic sulla creatività.
E poi?
Dal 2021 sono direttrice di tutto il Settore Cultura e Creatività. In questo ambito, si inserisce anche il tema della rigenerazione urbana a base artistica, culturale e creativa, riferita sia a singoli edifici, che a progetti più complessi: quello che avete visto al padiglione dell’Esprit Nouveau è un esempio.
Arrivo quindi da questo percorso di crescita progressiva, che mi ha consentito di fare un’esperienza profonda nella macchina e nel sistema culturale cittadino, con una visione della cultura che permea il tessuto sociale e urbano.
C’è qualche progetto di cui è particolarmente orgogliosa?
Abbiamo aperto un acceleratore di videogiochi. Questo settore è un’industria ad ampio potenziale di crescita che fornisce lavoro agli studenti dell’Accademia di Belle Arti, agli studenti del Conservatorio, ai disegnatori, agli animatori. Sono perciò fieramente fondatrice del primo acceleratore pubblico per videogiochi gestito da un Comune.
Cosa significa giungere ora a questo incarico di così grande rilievo?
Per me questo incarico è un’opportunità meravigliosa, perché mi permette di lavorare sul binomio patrimonio e creatività, che secondo me è la chiave per una città come Bologna. Perché abbiamo sì un patrimonio straordinario, ma non siamo Roma, Firenze, Verona: siamo una città seconda dal punto di vista del patrimonio museale, ma siamo di primo livello per tanti aspetti, come l’ecosistema culturale, la posizione geografica, la creatività. Dal 16 di giugno sono anche Capo Dipartimento Cultura: ciò vuol dire che abbiamo nella stessa sfera il settore cultura e creatività che segue l’attività culturale, il settore musei civici che segue i musei e il settore biblioteca, che per fortuna ha un’altra dirigente, così almeno ho un aiutino.
Perché per fortuna?
Non ho alcun delirio di onnipotenza, amo lavorare in squadra: credo infatti che fare rete e relazionarsi sia all’interno dei vari settori dell’amministrazione, sia con gli altri soggetti della città, che al di fuori, con gli altri livelli istituzionali, possa dar vita a cerchi concentrici, così che il nostro sasso possa generare un’onda. Non serve la competizione, ma la collaborazione.
La mia logica è che sono una dipendente pubblica e lavoro per la mia città, sperando di poter mettere a servizio anche dei musei l’esperienza che ho fatto, e ritengo che avere una visione generale del Dipartimento ci aiuterà.
Lo scorso febbraio la precedente Direttrice Eva Degl’Innocenti ha presentato un Piano Strategico Integrato (2025-2029) – insieme al Professore Pier Luigi Sacco. Manterrà fede a questo indirizzo? In che modo?
Ho eredito un grande lavoro che hanno fatto Eva Degl’Innocenti, Luigi Sacco e tutto il team, in primis formato dai direttori dei musei e dallo staff del settore. Io adesso ho l’onere di realizzarlo. Occorre individuare ora che cosa è prioritario, cosa è fattibile, perché bisogna anche considerare la realtà circostanziale. Credo che le due parole chiave in cui io mi riconosco pienamente – cioè sistema museale integrato e ecosistema culturale interconnesso – danno bene la visione di come personalmente intendo il Settore Musei Civici del Comune di Bologna.

Quindi?
Quindi, sicuramente ci sono degli indirizzi strategici e adesso vanno declinati lavorando, come quando si tesse una trama: abbiamo questa massa, dobbiamo prendere i fili e cominciare a creare un disegno realistico e fattibile. In un piano così ambizioso non tutto è immediatamente e completamente realizzabile. Al momento stiamo scegliendo i primi fili. Come avrai capito, ho una visione molto più manageriale e anche trasversale, integrata. Non credo che avrei avuto la capacità di sviluppare un piano strategico come questo, ma ritengo invece con forza di poterlo gestire, per contribuire a realizzarlo. Cito Mauro Felicori, storico direttore del Comune e poi della Reggia di Caserta: diceva che il direttore deve essere un po’ come quello d’orchestra, che consente ai musicisti di suonare al meglio. Poi se lui esce e va a prendersi un caffè, non se ne deve accorgere nessuno. La vivo esattamente così: ho l’opportunità di far crescere, di aiutare il sistema museale, ma non riesco a pensare al settore musei, al settore biblioteche e al settore culturale singolarmente, perché punto sulla sinergia. Uno più uno più uno non fa tre, fa di più.
I musei civici bolognesi comprendono realtà molto diverse tra loro. Questo rischia di generare squilibri e difficoltà manageriali?
Allora, non vorrei risultare scaltra nel dirlo, ma penso veramente che in questo caso la diversità sia la nostra ricchezza. L’identità di Bologna è fatta di una molteplicità di cose da scoprire a tutti i livelli: siamo la città della qualità diffusa e anche il nostro sistema museale rispecchia molto bene questa peculiarità. Non abbiamo gli Uffizi, ma abbiamo comunque dei musei di primo ordine, per intenderci.
Come procedere dunque?
Se si lavora sul fatto che la ricchezza è la diversità, si preserva la specificità di ognuno: questo è anche un grande vantaggio per lavorare col sistema cittadino e aprirsi ad altre realtà. Sarebbe peggio avere pubblici identici e luoghi simili, che si fanno concorrenza tra di loro, che hanno aspettative uguali e che ospitano attività culturali analoghe. Magari dal punto di vista della comunicazione sarebbe più semplice, sicuramente, ma produrrebbe un’immagine monolitica, che rispecchierebbe meno l’anima della città, perché i musei nascono dalla nostra storia.
Come comportarsi?
Conoscendo da tempo la maggior parte dei colleghi dei musei, so che ci sono delle grandi competenze specialistiche – mentre io, ribadisco, non sono una specialista e lo rivendico, nel senso che non è questo il mio livello di intervento. Credo che possiamo dunque lavorare bene sulla razionalizzazione dei processi, di cui non mi aspetto che siano i curatori ad occuparsi, ma la visione trasversale che ho io, mi consente di aiutarli a sviluppare una migliore efficienza nella gestione. Non ho paura di pronunciare la parola “manager culturale”, sebbene sappia che a volte risulta un po’ controversa.
Abbiamo assistito alla collaborazione con diverse realtà private e del terzo settore: in che modo vengono selezionate?
Abbiamo diversi strumenti, come bandi e convenzioni che ci permettono di offrire anche alla realtà del sistema culturale contributi, spesso magari offrendo la disponibilità di spazi, la collaborazione con uffici e musei. Questo è un aspetto che a me interessa moltissimo e che ho intenzione assolutamente di incoraggiare e sviluppare. Direi che applichiamo il famoso principio di sussidiarietà: cioè il Comune non deve fare quello che possono fare i soggetti di un certo settore; quindi, se c’è qualcuno che può fare le cose meglio di noi in ambito culturale, al posto nostro o in maniera complementare, noi ci mettiamo la nostra parte, ma diamo spazio ai loro progetti. Si promuove così anche il lavoro nell’arte e nella cultura, dando occupazione
Bologna subisce come altre grandi città italiane le problematiche del turismo di massa e della gentrification. Ritiene che il suo attuale ruolo possa in qualche maniera incidere su questo fenomeno?
C’è ovviamente il fatto che Bologna, come tante altre città, è diventata destinazione low cost e c’è un’onda lunga del turismo che, dopo aver scoperto le “città capitali”, arriva alle “città seconde”, per certi aspetti anche più interessanti, perché meno omologate e più autentiche.
Questo ovviamente a Bologna, che ha comunque meno di 400.000 abitanti e ha un centro storico medievale, è particolarmente evidente. Ci dobbiamo strutturare meglio da tanti punti di vista, ma questa enorme crescita è anche una grande opportunità, ovviamente, perché porta denaro per i bilanci della cultura, considerato che l’imposta di soggiorno è una delle fonti più importanti di introiti per il settore. In più, la sfida qual è? Attirare un turismo attento, curioso e rispettoso che cerchi anche un ecosistema museale come il nostro, un tesoro in parte ancora nascosto, considerato che abbiamo dei numeri in impennata in alcuni musei, in altri ancora no; quindi c’è del lavoro da fare.
L’overtourism è perciò un tema per tutti, di sostenibilità ambientale, di omologazione commerciale, che però si concentra in piccole aree, perché tutto intorno non è così. Bisogna perciò affrontarlo anche a livello metropolitano – Bologna ha la fortuna di essere una città metropolitana di un milione di abitanti, molto ben connessa. Lavorare sul territorio, sull’ecosistema culturale e sull’offerta turistica diffusa ci aiuta: quindi è vero, il turismo presenta degli effetti collaterali, anche se devo dire la verità, penso che a Bologna non siamo ancora a un punto di rottura come in altre città; non ci dobbiamo arrivare, ma fare tesoro di quello che si vede altrove per non soccombere. Consideriamo però sempre che il nostro patrimonio è enorme e a volte rischia di schiacciarci: per mantenerlo abbiamo bisogno di risorse e queste arrivano anche dal turismo. Non dobbiamo mettere a rischio tale ricchezza, ma se non la utilizziamo e valorizziamo, diventa un problema.

Per quanto riguarda la stagionalità, registrate dei picchi? Che andamento hanno gli ingressi nei musei?
Abbiamo tantissimi visitatori legati alla scuola, e non solo alle gite. Una delle eccellenze del Settore musei del Comune Bologna è infatti la didattica, che offre tantissime attività rivolte alle scuole della città e del territorio. Questo genera oggettivamente tanti numeri, soprattutto su alcuni musei come quello del patrimonio industriale, lontano dal centro storico, legato alla storia produttiva della città.
I musei più visitati dai turisti sono invece il Museo Archeologico e il Mambo con il Museo Morandi: l’Archeologico ha una sezione egizia che è la terza per importanza e ha una collezione legata al territorio importantissima. Vedo comunque ampi margini di crescita per altri. Ci sono dei cali a chiusura dell’anno accademico, ma i turisti a giugno vengono in tanti a Bologna, grazie anche a rassegne come il Cinema Ritrovato, che porta flussi di cinefili anche nei musei. Anche luglio e agosto, sebbene registrino delle flessioni, sono mesi in cui l’offerta culturale non si interrompe, ma sicuramente va potenziata. Cito Bologna Estate, che è un cartellone quasi tutto gratuito ed è un po’ la proiezione fuori dalle mura di quanto avviene nel sistema cittadino: gli operatori d’estate lavorano sulla città intesa in senso più ampio.
Roberta Pisa
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