“Sul mercato dell’arte ora dobbiamo essere ottimisti” dice il direttore di Art Basel Vincenzo de Bellis 

Tra nuove edizioni in Qatar e proposte per rivoluzionare il panorama fieristico italiano, il Global Director di Art Basel Vincenzo de Bellis ci racconta il suo punto di vista sul mercato dell’arte internazionale e sul ruolo delle fiere nel panorama odierno

In una situazione di mercato spesso dipinta con toni più scuri della Rothko Chapel, sentire ottimismo nelle parole del direttore della più importante fiera del mondo è a dir poco confortante. Nella lunga intervista che segue, Vincenzo de Bellis, Chief Artistic Officer e Global Director di Art Basel, attraversa tanti temi cruciali: dalla nuovissima versione qatariota di Art Basel agli Awards che saranno assegnati durante la prossima edizione della fiera a Basilea (19-22 giugno 2025), dall’impatto culturale degli eventi fieristici alla loro sostenibilità in un settore che ultimamente sembra arrancare. Fino alla questione sulle aliquote IVA in Italia e al panorama fieristico nostrano, che secondo de Bellis gioverebbe di una rivoluzione non indifferente. 

Art Basel 2024. Courtesy Art Basel
Art Basel 2024. Courtesy Art Basel

Intervista a Vincenzo de Bellis 

Partiamo con l’ultima novità: a febbraio 2026 Doha ospiterà la prima edizione di Art Basel Qatar. Perché è importante per Art Basel allargarsi in Medio Oriente? 
L’idea era quella di espandere il nostro brand in una zona del mondo che noi riteniamo sia strategica per il presente ma anche per il futuro del sistema dell’arte, soprattutto perché c’è tantissimo ancora da esplorare. E quando parlo di quella zona del mondo, una zona molto ampia che va dal Nord Africa fino all’India, chiaramente gli stati del Golfo come il Qatar sono centrali in questa dinamica. Anche se poi ci si concentra su un’area molto più ampia del golfo, che prende il nome di MENASA – Middle East, Nord Africa e South Asia.  

E perché proprio il Qatar? 
Perché i loro programmi culturali e soprattutto museali per i prossimi dieci anni, sono per noi, perdona l’inglesismo, molto compelling. E si allineano tantissimo anche con la nostra visione di un luogo che è costruito sulle sue radici, come sono un po’ tutti i posti dove noi ci vogliamo andare ad operare. 

Dal 2022 sei Director, Fairs and Exhibition Platforms di Art Basel: come è cambiato il suo ruolo in questi primi anni di mandato? 
Beh, intanto è da poco cambiato il mio titolo. Ora sono Chief Artistic Officer e Global Director che è già una testimonianza un po’ di quello che è cambiato.

In che senso? 
Nel senso che io sono entrato come direttore globale, anche se non era nel titolo, delle quattro fiere [Basilea, Parigi, Miami e Hong Kong, ndr], che ora sono diventate cinque, e già questa è una grande novità su cui ho lavorato tantissimo, sin dal mio arrivo in Art Basel. E poi il mio ruolo si è espanso a tutta la direzione creativa, la direzione artistica, non solo delle fiere, ma di tutto il brand Art Basel, quindi anche la costruzione degli Art Basel Awards, più altre cose sulle quali stiamo lavorando oggi, e che saranno comunicate prossimamente. Quindi è un ruolo che si è espanso, sia dal punto di vista dei nuovi progetti, sia sulla verticale delle fiere: con la nascita di Art Basel Qatar, il mio ruolo è ancora di più di coordinamento, gestione e supervisione, di cinque modi simili, ma anche diversi, in cui ci vogliamo presentare. 

Vincenzo de Bellis, Chief Artistic Officer & Global Director Art Basel Fairs. Photo by Noé Cotter for Art Basel. Courtesy of Art Basel
Vincenzo de Bellis, Chief Artistic Officer & Global Director Art Basel Fairs. Photo by Noé Cotter for Art Basel. Courtesy of Art Basel

La prima edizione degli Art Basel Awards 

Hai menzionato gli Art Basel Awards: perché si sentiva la necessità di istituire un premio firmato Art Basel?  
Più che un premio è una celebrazione di varie figure del sistema, nel modo più paritario possibile. È questo che lo distingue dai tanti e bellissimi premi del nostro settore. È qualcosa di cui abbiamo sentito la mancanza, nel mondo dell’arte contemporanea, e in quanto piattaforma (e uso questo termine propriamente) in cui si affacciano e interagiscono tutti i protagonisti del sistema dell’arte, ci sembrava logico che dovemmo essere noi quelli a cui toccava il compito di celebrare tutti i vari aspetti del sistema.  

C’è stata una preselezione di 36 nomi, da cui poi emergeranno dei vincitori. Come avverrà la selezione? 
Saranno gli stessi protagonisti della nostra short-list a formare la giuria che nominerà quelli che abbiamo definito “gold medalists”, che poi sono quelli che riceveranno non solamente una celebrazione, ma anche un effettivo riconoscimento anche pratico e di sostegno alla loro attività. Non si celebra tanto il passato e quello che i protagonisti che vengono selezionati hanno fatto, quanto quello che potranno anche fare per il futuro. 

Art Basel Miami Beach 2024. Courtesy Art Basel
Art Basel Miami Beach 2024. Courtesy Art Basel

La fiera come luogo in cui immaginare il futuro 

Continuando a parlare di futuro, Art Basel oggi è una piattaforma che permette di prevedere tendenze commerciali, certamente, ma anche artistiche. Spesso più di tante manifestazioni globali che oggi sembrano avere un ruolo di ratificazione di ciò che è stato, più che di tensione a quello che sarà. 
Credo sia un fenomeno piuttosto naturale: la fiera come formato (e quindi non solo Art Basel, ovviamente) si è molto trasformata nell’ultimo quarto di secolo. Ci sono fiere ogni mese, e sono dappertutto. La fiera è diventato il luogo in cui vedere il presente e immaginare il futuro. Naturalmente le mostre biennali, o addirittura quinquennali come documenta, si sono dovute trasformare in qualcosa di maggiormente retrospettivo (ma non per questo meno prezioso).  

È anche una questione di velocità diverse… 
Certamente. La velocità di circolazione delle immagini, delle informazioni e delle persone è tale che due anni oggi sono un’epoca biblica rispetto a quanto erano negli Anni Sessanta. Nel 1964, quando la Pop Art arriva alla Biennale, diventa una novità. Oggi fa specie anche dirlo. È giusto che i ruoli siano mutati, ed è stata anche la forza secondo me delle biennali. Soprattutto quella di Venezia, che ha compiuto, secondo me, dei passaggi fondamentali per la sua longevità e per mantenere il suo impatto nel sistema. Si è trasformato in un grande momento di riflessione più che in un momento di proposta. 

Art Basel Paris 2024 al Grand Palais di Parigi. Foto di Massimiliano Tonelli
Art Basel Paris 2024 al Grand Palais di Parigi. Foto di Massimiliano Tonelli

Il mercato dell’arte secondo Vincenzo de Bellis 

Ovviamente Art Basel è anche un grande evento commerciale, un termometro che misura lo stato di salute del mercato dell’arte contemporanea. In un momento così complesso come quello degli ultimi anni, cosa sta rilevando questo termometro? 
Sta rilevando che dovremmo parlarci in termini più ottimisti rispetto a quanto facciamo. Dal mio punto di vista il mercato odierno non è un mercato in contrazione, ma è il suo reale grado zero. A essere eccezionale è stata la crescita costante e continua del mercato per quasi due decenni. Una cosa che ha preso tutti molto di sorpresa, e che – anche per l’esplosione del mercato secondario – ha fatto alzare molti valori che oggi si stanno giustamente ridimensionando. 

Su questo ha un grande peso anche la situazione geoeconomica attuale… 
Sicuramente la maggiore “razionalità” attuale è dovuta anche ad agenti esterni che non possiamo controllare e sono molto più grandi del mercato dell’arte. Eventi che chiedono a tutti noi di essere più oggettivi rispetto a certe priorità. Il sistema è andato ingigantendosi – e noi delle fiere lo sappiamo bene – soprattutto dal punto di vista della gestione dei costi, duplicati e triplicati negli ultimi tre-quattro anni. Una cosa che viviamo sulla nostra pelle anche nel corso della banale vita quotidiana. Se a questo si aggiunge una flessione naturale del mercato dopo tanti anni di eccessi, è comprensibile l’attuale situazione di difficoltà per tutto il sistema. 

E soprattutto per gli operatori di dimensione minore, che di anno in anno devono valutare la sostenibilità della loro attività. Penso, ad esempio, alle gallerie mid-size. 
Come in tutti i settori, anche in quello dell’arte chi sta nel mezzo soffre di più. Una piccola dimensione permette di gestire meglio tanto i costi quanto l’ambizione, le aspettative; una grande dimensione comporta un sistema avviato che consente di sostenersi anche in tempi di crisi. 

Riguardo a questo, come si può conciliare l’imperativo a crescere da parte di Art Basel e il sostegno alla filiera? La crescita costituisce una barriera all’ingresso per, diciamo, i “pesci più piccoli”? 
Non credo, almeno non nel nostro caso. Proprio in risposta a questo abbiamo attuato una serie di misure che magari al grande pubblico (e intendo i non addetti ai lavori) possono apparire meno evidenti. Quest’anno a Basilea, per esempio, abbiamo lanciato una nuova sezione che è volutamente dedicata alle gallerie mid-size, che appunto non si possono più definire emergenti e allo stesso tempo non sono ancora in grado di fare il salto che le porterebbe nella Main Section, dove comunque per i primi due anni di partecipazione le nuove gallerie hanno un prezzo ridotto. Nella scorsa edizione di Art Basel Miami abbiamo modificato le dimensioni degli stand, creando una misura extra small all’interno della sezione principale proprio per agevolare ulteriormente chi vuole spendere di meno, abbassando quindi l’entry level economico della fiera. Tutte queste operazioni sono fatte con la consapevolezza, ovviamente, che non saranno sufficienti per soddisfare tutti i segmenti e tutti gli operatori. Ma significa certamente fare passi avanti in quella direzione, e venirsi incontro. 

A proposito di operatori soddisfatti e meno… ha fatto notizia la scelta della galleria francese Air de Paris di ritirare la sua partecipazione dalla prossima edizione di Art Basel a Basilea, accusando la fiera di aver spostato il suo stand in una posizione meno favorevole. Può chiarirci la sua posizione in merito? 
Quest’anno 58 gallerie sono state spostate, per le ragioni più svariate, ed è normalissimo. Abbiamo creato una sezione nuova senza espandere lo spazio fisico architettonico, e per fare ciò è necessario rivedere o ridimensionare la geografia della fiera. Organizzare un evento di questo tipo significa anche cercare di rendere la fiera il più possibile coerente con la visione di quel momento, ed è il lavoro che fa ogni direttore di fiera come me. Gli spostamenti sono una nostra prerogativa: ovviamente ci sono differenze di posizioni più o meno favorevoli, però sono secondarie rispetto alla necessità di rendere la fiera il più equa possibile. E il ricambio di certe posizioni è anche fondamentale per continuare a rigenerare un progetto. 

miart 2025 ph irene fanizza
miart 2025 ph irene fanizza

L’opinione di Vincenzo de Bellis sul mercato dell’arte italiano 

Dal 2012 al 2016 è stato direttore di Miart. Che opinione ha del panorama fieristico italiano in termini di saturazione, competitività, sostenibilità economica e possibilità di crescita? 
Mi fai una domanda difficile. Io penso che avere tre fiere di grandi dimensioni (Artissima, Miart e ArteFiera) in un Paese come l’Italia sia decisamente troppo. E se mi posso permettere, sono troppe anche due fiere. Non ti nascondo che questo tema è stato molto affrontato tra i direttori delle fiere italiane, almeno quando c’ero anche io. A mio avviso non sarebbe una cattiva idea, per non togliere a Torino, Milano e Bologna l’indotto economico e artistico delle rispettive fiere, pensare a un sistema a rotazione tra questi tre poli. Chiaramente qui si toccano degli interessi che non posso commentare a fondo perché non sono di mia pertinenza, ma se dobbiamo limitarci al panorama fieristico sono dell’idea che una fiera in Italia serva assolutamente. Il collezionismo italiano è storicamente molto attento e sofisticato, nonostante abbia – per ragioni di posizionamento economico rispetto a superpotenze come gli Stati Uniti, la Cina o anche la Francia con i suoi grandi gruppi del lusso – un potere d’acquisto magari inferiore. Il panorama fieristico italiano deve quindi avere, come in parte già fa, un target molto specifico e puntare soprattutto sulla qualità della ricerca. Ed è una cosa che auspico, perché un mercato interno forte è il primo passo per la stabilità, la longevità e la continua internazionalizzazione. Poi ovviamente non è solo responsabilità delle fiere, ci sono altre misure che andrebbero attuate. 

Ad esempio abbassare le aliquote IVA? 
Assolutamente sì, almeno al 5% per pareggiare la nostra posizione nei confronti della Francia, un Paese con cui condividiamo molto in termini di popolazione, di welfare e di cultura. Non c’è quindi nessun motivo per differenziarci (soprattutto con aliquote più alte del 17%) rispetto ai nostri cugini d’oltralpe. È una situazione molto grave per la competitività del mercato italiano, sia a livello nazionale che internazionale, e tutte le gallerie italiane con cui ho parlato sono concordi in questo. Non posso che auspicare in un rapido cambiamento di rotta. 

Alberto Villa 

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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, è critico e curatore indipendente. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di Josef Albers e attualmente frequenta il corso di…

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