Francesco Bongiorni, l’illustratore dei luoghi misteriosi d’Italia

Intervista con Francesco Bongiorni, l'illustratore che ha accompagnato i lettori in un viaggio alla scoperta dei luoghi più incredibili del Pianeta. Assieme allo scrittore e giornalista Massimo Polidoro ha pubblicato “Atlante dei luoghi misteriosi d'Italia” e “Atlante dei luoghi misteriosi dell'antichità”

Lo scorso 3 novembre è stata inaugurata, presso la galleria CE Contemporary di via Tiraboschi a Milano, la mostra Francesco Bongiorni. Forme per contemplare l’inenarrabile, aperta fino al 28 febbraio. La rassegna, curata da Christine Enrile e Rebecca Piva, è un’occasione per fare il punto sui primi quindici anni di attività di Francesco Bongiorni (Milano, 1984) alla luce anche della medaglia d’oro ottenuta dalla Society of Illustrator di New York. Ne abbiamo parlato con lui.

Tra i numerosissimi riconoscimenti che hai ottenuto per il tuo lavoro, spicca senza dubbio la medaglia d’oro della Society of Illustrators di New York che hai appena ricevuto per il tuo libro edito da Bompiani, Atlante dei luoghi misteriosi dell’antichità. Già nel 2018 avevi ottenuto la medaglia d’argento. Quando hai capito che il linguaggio del disegno poteva essere la tua strada?
Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia con un’alta densità di artisti: disegnatori, pittori, scenografi, architetti. Sono cresciuto in un contesto in cui era normale il fatto che mio papà si sedesse a disegnare al mio fianco. Si respirava il fermento creativo nella vita quotidiana. Crescendo ho trovato naturale seguire una sorta di senso di emulazione nei confronti di mio padre, mio fratello o dei cugini più grandi, il cui modo di disegnare mi affascinava essendo loro più maturi nel loro percorso artistico. Fin da piccolo ho sempre disegnato e, una volta terminato il liceo artistico, mi sono iscritto ad Arti visive presso la NABA di Milano. L’amore per l’illustrazione sboccia però qualche anno più tardi, dato che nel periodo dell’accademia la parte della formazione che mi interessava di più era la pittura. Ho studiato con Claudio Olivieri, scomparso pochi anni fa: uno dei migliori maestri che potessi desiderare.

Quali consigli daresti a chi vuole diventare illustratore?
Ognuno ha il proprio modo di trovare la sua strada. Dirò una banalità: è necessario disegnare tantissimo. La pratica è essenziale. Oggi c’è la tendenza a concentrarsi più sull’imparare bene a utilizzare un software che sul disegno vero e proprio. Viviamo nell’epoca dei tutorial, dove sono sufficienti pochi click per poter replicare un processo creativo. Questo approccio è sicuramente interessante ma fa sì che, a volte, si brucino troppo le tappe. Per trovare il proprio linguaggio non bisogna avere paura di sbagliare, mentre l’errore nei tutorial viene aggirato. Il disegno mette a nudo i tuoi difetti e ti permette di affrontarli. Bastano anche solo una matita o un carboncino. C’è sempre tempo per imparare a utilizzare un programma. È fondamentale esercitarsi tantissimo.

Un ritratto di Francesco Bongiorni. Disegno di Thomas Emilio Villa

Un ritratto di Francesco Bongiorni. Disegno di Thomas Emilio Villa

L’ILLUSTRAZIONE SECONDO FRANCESCO BONGIORNI

Hai descritto la tua famiglia come se fosse una bottega rinascimentale.
Un po’ è così. Anche fuori dal nucleo familiare ho avuto la fortuna di trovare degli amici con il mio stesso amore per il disegno. Da ragazzi ci trovavamo al bar e disegnavamo per ore: era il nostro modo di scherzare e divertirci. Caricature, fumetti, vignette in cui rappresentavamo qualcosa che ci era capitato. Bastavano alcuni fogli bianchi e una decina di pennarelli e ci inventavamo un mondo. Io poi ho anche un po’ lo spirito dell’archivista, e quindi ho raccolto faldoni interi di questi disegni che conservo con affetto.

Era quindi naturale per te esprimerti attraverso il disegno: è stata una cosa che hai assorbito fin da piccolo.
Sì, assolutamente. C’era anche un aspetto quasi sportivo, una sorta di bisogno di pormi nuove sfide, di migliorare il mio disegno e le mie capacità. Erano le energie dei vent’anni. Terminati i miei studi di pittura, ho iniziato a provare sempre più interesse verso il mondo dell’illustrazione; un mondo per nulla semplice, fatto di consegne, spazi, argomenti da interpretare. Si trattava di limiti, e l’illustratore ha costantemente a che fare con i limiti, siano essi il formato dell’immagine, la tematica da affrontare, la chiave di lettura o le scadenze. Più che come limiti vedevo queste cose come delle sfide. Era lì dove mi trovavo a mio agio. Erano desencadenantes: degli stimoli che spingevano il mio lavoro a un livello più complesso. Ho scoperto che il mondo dell’illustrazione era il mio, perché metteva a confronto il lato creativo con quello pratico.

La dimensione che senti tua è quindi quella dell’arte applicata, che preferisci all’arte più “pura” e astratta ma avulsa da una dimensione di produttività.
Esattamente. Uscito dalla NABA ho deciso di fare un corso serale allo IED di Milano. Un corso brevissimo, di appena tre ore a settimana, ma che aveva degli eccellenti professori come Marco Ventura e Alessandro Gottardo. Lavoravo otto ore al giorno tutta la settimana per riuscire a presentarmi preparato a quelle tre ore e consegnare il miglior risultato possibile. È stata una palestra fenomenale, una preparazione veramente professionale. Oltre al corso, infatti, ho trovato fondamentale passare tante ore a lavorare a casa. Sbagliando e riprovando.

Atlante dei luoghi misteriosi dell'antichità (Bompiani, 2020)

Atlante dei luoghi misteriosi dell’antichità (Bompiani, 2020)

GLI ATLANTI ILLUSTRATI DI FRANCESCO BONGIORNI

Com’è stato lavorare ad Atlante dei luoghi misteriosi dell’antichità e Atlante dei luoghi misteriosi d’Italia con Massimo Polidoro, una vera e propria istituzione nell’indagine sui misteri della storia e dell’attualità?
In realtà è stato un progetto nato all’incontrario. La routine dell’illustratore può essere davvero stancante, creativamente parlando. Si lavora sempre in modo molto intenso, immersivo. Ci sono dei momenti in cui è necessario rinnovarsi, riprendere un po’ il fiato. Nel 2017 ero alla ricerca di un progetto che fosse in grado di darmi stimoli speciali. Desideravo illustrare qualcosa di mio, qualcosa in grado di emozionarmi profondamente. Io sono appassionato di misteri, di leggende antiche, di storia. Ripeto spesso che più che disegnare a me piace raccontare attraverso il disegno. E questo volevo fare. Avevo bisogno di raccontare quelle storie che mi stregano.

Quindi cosa accadde?
Seguivo già Massimo Polidoro nella sua attività di divulgazione e così gli ho scritto dicendogli: “Se devo pensare alla persona perfetta per realizzare un libro dedicato ai misteri, quella persona sei tu”. Lui mi ha chiamato subito e nel giro di una settimana avevamo già una risposta: Bompiani era interessata al progetto. È così che è nato il primo volume, l’Atlante dei luoghi misteriosi d’Italia.
Abbiamo pensato questo volume come un lavoro a quattro mani dove le mie illustrazioni erano influenzate dai testi di Massimo e i suoi testi influenzati dalle mie illustrazioni. Aver visto riconosciuto questo lavoro, con dei premi prestigiosi come le medaglie della Society of Illustrators di New York, è stato molto gratificante perché ho capito che i progetti più intimi possono essere quelli che arrivano di più alle persone.

Una illustrazione di Francesco Bongiorni

Una illustrazione di Francesco Bongiorni

RACCONTARE ATTRAVERSO IL DISEGNO

La passione per il racconto del mistero effettivamente emerge dai tuoi Atlanti. Il tuo stile grafico è estremamente elegante, quasi alla Depero: sono immagini potenti, che restano impresse nella memoria. Forse perché sono luoghi che suscitavano in te una profonda emozione, una sorta di attrazione irresistibile.
Sì, volevo raccontare non come sono o come erano questi luoghi, ma come li immaginavo io. Non sono illustrazioni “criticabili”, nel senso che non sono e non vogliono essere oggettive. Io non racconto l’evento storico in sé, ma racconto quello che l’evento o il mistero provoca in me, la mia personale reazione. Per capirci, non ho rappresentato Stonehenge ma la mia Stonehenge. Per Massimo è diverso, perché lui nel testo deve essere molto preciso e meticoloso. Deve raccontare (anche) dati oggettivi e in questo è molto scrupoloso. Io invece non ho la necessità di essere così aderente alla realtà: voglio raccontare l’emozione che nasce in me da quel racconto, non il racconto.

Hai recentemente curato la grafica di alcune lattine da collezione di Lemonsoda. La sensazione che si prova contemplandole è quasi di una nostalgia felliniana. Com’è stato ricordare i luoghi mitici del tuo Paese d’origine filtrati attraverso la tua arte?
Le illustrazioni raccontano più l’atmosfera che i luoghi realmente esistenti. Mi sono divertito da morire. Ad esempio sono andato a prendere tutti i castelli sforzeschi della Lombardia per distillarli in un’immagine che li raccogliesse tutti, da quello di Milano a quello di Vigevano. Ho disegnato in maniera più evocativa che descrittiva tanti panorami d’Italia, e l’ho fatto anche con una certa dose di nostalgia, dato che oramai vivo in Spagna da quasi quindici anni.

Nelle tue illustrazioni emerge la potenza del ricordo, come nella tradizione artistica del Romanticismo inglese. Wordsworth diceva che la poesia è “an emotion recollected in tranquillity”.
Sono d’accordissimo con questa affermazione. Nell’Atlante dei luoghi misteriosi d’Italia ho chiesto di inserire nell’introduzione questa citazione di Giacomo Leopardi: “All’uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obbiettivi sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione”. È un concetto che sento molto mio. Penso che Wordsworth e Leopardi parlino della stessa cosa.

Thomas Villa

https://francescobongiorni.com/

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