Una filosofia ecologica rivoluzionaria. Intervista alla start up Urban Reef

La startup di Rotterdam mette in discussione il rapporto dell’uomo con la natura proprio nel contesto urbano, per rivederne la convivenza e basarla su uno scambio reciproco. Abbiamo intervistato i fondatori

Urban Reef vede la città come un paesaggio vivente, una barriera corallina che può essere stimolata per creare habitat che diano spazio alla crescita spontanea della vegetazione. Per vivere insieme a più specie, alla natura selvaggia, spontanea sia fisicamente che nel pensiero collettivo.
La start up di Rotterdam, nata nel 2021 e fondata da Pierre Oskam (concept designer) e Max Latour (designer computazionale e ricercatore), vuole mettere in discussione il rapporto dell’uomo con la natura proprio nel contesto urbano, per rivederne la convivenza e basarla su uno scambio reciproco, efficace e rivoluzionario.
Le barriere coralline sono rifugi porosi e labirintici. Sono strutture in grado di trattenere l’acqua piovana e bacini preesistenti, possono ospitare uno spettro di tamponi e microclimi, fornendo così il terreno per un mondo multi-specie e adattato al clima. Attraverso lo studio di questi processi, la ricerca, il design e la tecnologia, la start up sviluppa strutture generate da algoritmi naturali e stampati con materiali viventi che consistono in esperimenti con diversi generi di materia compostabile da utilizzare per la stampa 3D, ad esempio miceli, batteri e argilla. Queste strutture vengono chiamate Reef e, a seconda della loro applicazione e dalla tipologia di spazio urbano e non, hanno un nome specifico: Rain Reef, Tidal Reef, Zoo Reef. La loro capacità capillare crea più opportunità per gli organismi di vivere in città e permette agli esseri umani di connettersi con la barriera attraverso sensi e sensori.
La città è un rifugio per tutta la vita, non solo per gli esseri umani. L’innovazione tecnologica permette di tornare alle origini e sfruttare ciò che c’è di più primordiale: acqua, piante e animali per dare nuova vita e nuovo futuro allo spazio collettivo urbano, con un nuovo impatto visivo, evolutivo e filosofico.
Di tutto questo abbiamo parlato con i fondatori di Urban Reef.

Pierre Oskam e Max Latour, fondatori di Urban Reef

Pierre Oskam e Max Latour, fondatori di Urban Reef

L’INTERVISTA A URBAN REEF

Quali bisogni e quali idee hanno ispirato questo progetto e perché un concetto come Urban Reef è così importante in questo momento?
Durante l’insegnamento di filosofia ecologica a studenti universitari, ci siamo trovati a ripensare allo spazio e all’ambiente come “environment” e alla possibilità di integrazione del design con i processi naturali per migliorare la convivenza tra città e natura, arrivando a chiederci come fosse possibile rendere “materia” qualcosa che fino a quel momento era solo una teoria. Abbiamo iniziato diverse tipologie di sperimentazione legate ad alcune specie animali, come uccelli e farfalle. Nel primo caso le strutture non sembravano appetibili per la nidificazione e abbiamo apportato delle modifiche, riprovando con gli insetti: allora è risultato funzionale. In questo momento è fondamentale avere un impatto efficace per sensibilizzare il cittadino a reintegrare nel suo concetto di “urbano” la convivenza con la natura.

Come immaginate e quali opportunità pensate che i vostri reef possano avere tra dieci anni?
Immaginando il progetto tra una decina di anni, lo pensiamo migliorato sotto ogni punto di vista: scultoreo, visivo, ma soprattutto tecnico, dato che siamo ancora in una fase primitiva e vorremmo arrivare a una produzione in larga scala. Il nostro obiettivo è svilupparlo a un punto tale da renderlo versatile e applicabile a qualsiasi ambiente e città. Uno dei requisiti fondamentali è infatti che sia aperto a tutte le condizioni climatiche, affinché si possa inserire con facilità e naturalezza all’interno del paesaggio. Ogni luogo merita una seconda possibilità.

RDM Campus, Innovation Dock, Rotterdam, Reef. Photo by Urban Reef

RDM Campus, Innovation Dock, Rotterdam, Reef. Photo by Urban Reef

Come pensate di rendere la “barriera corallina urbana” pienamente sostenibile dal punto di vista ambientale? C’è chi dice che la spesa energetica è troppo elevata per essere sostenibile nel lungo periodo.
Per rendere i Reef totalmente sostenibili, la prima modifica efficace sarebbe quella di sostituire le parti in ceramica con materiali compostabili; per quanto riguarda il miglioramento tecnologico, siamo aperti a collaborazioni per migliorare le parti tecniche del progetto: una maggiore influenza di esperti farebbe crescere la start up. Un lavoro comunitario è un lavoro sicuramente più proficuo, ma pensiamo che l’utilizzo di fonti come l’acqua piovana e una struttura che crea da sé un proprio equilibrio di crescita sia già un buon punto di partenza per evitare sostentamenti non ecologici o troppo dispendiosi di energia. Il progetto è ancora in fase di studio e sviluppo: poiché al momento non è completamente sostenibile, dovremmo smettere di investirci? Qualsiasi genere di critica è fonte di domande e quindi di progresso.

Lo scopo del progetto è quello di affrontare questioni globali e si spera possa avere un impatto positivo. Dal momento che la vostra iniziativa è finanziata con fondi governativi, come considerereste l’opportunità di lavoro all’estero, specialmente se finanziate da aziende o privati?
I progetti ecosostenibili hanno costi importanti e anche Urban Reef ha bisogno di un sostentamento economico non indifferente per poter crescere e avere un maggior numero di applicazioni. Questo implica che, nel momento in cui ci si interfaccia con il finanziamento da parte di un’azienda o di un privato, non ci si discosti dai propri principi, ma allo stesso tempo non ci si dimentichi quali sono gli obiettivi di crescita. Niente è o bianco o nero, ci vuole sempre una corretta via di mezzo. Se un’azienda con strategie di comunicazione greenwashing ci fornisse finanziamenti per produrre ecosostenibilità, non accettare sarebbe perdere un’opportunità. Al momento non ci siamo ancora interfacciati con questo genere di contraddizione, ma pensiamo che la modalità più corretta sia non rinunciare ai nostri principi e allo stesso tempo non perdere di vista l’obiettivo.

Cosa vi augurate per il futuro?
Ci auguriamo di produrre un prototipo che soddisfi a pieno la nostra filosofia, di attirare esperti appartenenti ad ambiti tecnici diversificati e non solo nel campo delle arti visive e del design, ma soprattutto di iniziare a vedere un effetto positivo sulle persone, che venga condiviso ma soprattutto conosciuto.

– Iris Volpato

https://www.urbanreef.nl/

Intervista elaborata nell’ambito del I anno del corso di Critical Writing, Biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali, NABA – Nuova Accademia di Belle Arti, a.a. 2021/2022

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