Dalla musica alla performance. Dialogo con Splendore

Mattia Barro, in arte Splendore, incontra la performance e ci racconta com'è andata. In esclusiva ci ha regalato anche alcuni video inediti.

Non ci bagniamo mai due volte nello stesso fiume”, sostiene Eraclito, “perché il fiume scorre di continuo e anche noi cambiamo di continuo”. Metafora sempre valida, che risulta particolarmente azzeccata per racchiudere in una frase la storia di Mattia Barro, in arte Splendore: nato a Ivrea, milanese di adozione, alle spalle più di dieci anni di carriera musicale iniziata con il cantautorato e proseguita con una profonda sperimentazione nell’elettronica.

MATTIA BARRO E LA MUSICA

Nel suo percorso musicale è insita la spinta al cambiamento: nel 2011 lo abbiamo conosciuto come L’orso, gruppo che ha scritto un pezzetto di indie italiano con successi come Con i chilometri contro o Il tempo passa per noi.
Era però un altro tempo, una fase diversa della vita, nella quale Mattia ha iniziato a non riconoscersi più: “In quel periodo mi ero come chiuso ermeticamente dentro il mio ruolo, dentro un personaggio in fondo lontano da me: non stavo pensando a chi fosse davvero Mattia”.
Il progetto si scioglie nel 2016, occasione per l’artista di prendersi un periodo di silenzio fondamentale per ricercare il contatto con se stesso, per concedersi tempo di capirsi ed esporsi al di là delle maschere.

IL COMING OUT DI SPLENDORE

Il suo ritorno in scena nel 2019 è decisamente forte, dopo un periodo delicato di profonda introspezione durante il quale ha in un certo senso riscoperto la propria persona. Mattia racconta di questo passaggio come una lunga riflessione non sempre semplice che tuttavia gli ha garantito la conquista più importante, cioè riuscire a essere serenamente se stesso in totale libertà, senza nascondersi dietro personaggi diversi: un traguardo che sceglie di condividere con il pubblico facendo coming out come artista bi+ e pansessuale vicino alla comunità LGBTQ+.
Così nasce Splendore, “an Italian queer artist” che scrive musica pop elettronica, dove fonde idee originali e prese da artisti di tutto il mondo, con testi scritti in lingue diverse e varie collaborazioni con altri autori. In questo nuovo e fortissimo flusso, Mattia sente l’ulteriore esigenza comunicativa di inserire nella sua produzione artistica il corpo, grande “amico ritrovato”: nella sua ultima pubblicazione ufficializza infatti il suo primo approccio al performativo, affiancando all’uscita dell’EP OMG un progetto visuale nel quale il corpo, suo e di altri artisti, è protagonista.
Si tratta di un lavoro in divenire che Mattia sta realizzando in collaborazione con artiste del performativo e attiviste postporno: il materiale creato finora è ancora totalmente inedito, l’artista ha però deciso di condividere con noi in esclusiva alcuni estratti. Una ricerca su identità, corpo e sessualità: queste le tre parole chiave. Ma chiediamo direttamente a lui di raccontarci di più.

L’INTERVISTA CON MATTIA BARRO

Da dove nasce, in cosa consiste e come si intitola questo studio collaterale al tuo EP?
A differenza del lavoro estetico e sonoro dell’EP dal titolo OMG, am I really feeling these feelings I’m feeling right now?, dove l’umano e il suo corpo sono il punto di partenza per una proiezione utopica, futuristica, aliena, in questo primo studio il mio processo di indagine va in direzione parallela ma opposta. Il corpo, piuttosto che volgere verso l’utopia, ritorna al suo essere: un corpo umano generico, normale, banale, come ogni corpo. Un nudo anatomico sospeso. La mia ricerca vuole liberare (e liberarmi) il corpo dalle sovrastrutture di senso conferite da società e capitalismo, riportandolo all’idea iniziale, muta e sospesa, di un corpo anatomico, un corpo in quanto tale. Carne. Un corpo che non possiede genere, identità, sessualità, e che dunque è tutto e nulla contemporaneamente. Questo pensiero mi dà un senso di liberazione.

Quali sono i tuoi riferimenti?
Se Charlemagne Palestine usava il suo stesso corpo come percussione, cassa di risonanza, strumento anatomico di produzione del suono, io nel corpo, mio o altrui, cerco il silenzio, l’alienazione, la sospensione. L’utopia e l’astrazione. Il fallimento del pensiero estetico dominante. Pretendo la banalità, unica specialità possibile. Se per Vanessa Beecroft questo avviene attraverso un’omologazione splendida dei corpi, nel mio lavoro si realizza nella banale singolarità astratta della singola rappresentazione. Il titolo di questo studio costruisce un dialogo con l’EP e ne ricalca l’(auto)ironia ideale di questa nuova normalità irreale: BTW, I still don’t know if I’m really really really feeling these feelings I’m feeling right now. Si sarebbe potuto chiamare Il corpo banale.

In che tipo di relazione si trova rispetto alla tua musica?
È una nuova costruzione di pensiero e progettualità a partire da un nucleo comune. È un terreno, per me, completamente vergine e fertile in cui la musica, da sola, non sarebbe riuscita a condurmi. Costruire una nuova e ulteriore dimensione visiva di significato. Nella serie di video di questo primo studio è presente la musica, ma riposizionata nella gerarchia. Anche l’introduzione di un narratore, o narratrice, è un riposizionamento del mio ruolo di artista-protagonista; non è più importante l’appartenenza di un corpo e di una voce all’interno della mia opera. A me non interessa più.

Cosa ti ha spinto verso la performance e quali nuove possibilità espressive trovi in questo linguaggio?
Da musicista sono abituato a lavorare focalizzandomi all’interno di me, utilizzando le protesi tecnologiche (strumenti analogici e digitali, hardware e software) del mio tecno-corpo per la costruzione di significati e immagini. Il mondo della performance mi ha invece svelato che posso realizzare il mio progetto interiore a partire dal mio stesso bio-corpo, aprendomi a un moltiplicatore di possibilità espressive, mostrandomi lande sconosciute in cui pellegrinare. Vorrei potermi considerare un figlio illegittimo di Vito Acconci e Annie Sprinkle, eternamente grato ai Virgilio che ho incontrato e incontrerò in queste glorificanti esplorazioni. Accetto curriculum.

– Giada Vailati

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Giada Vailati

Giada Vailati

Classe 1994, studia danza dall’età di nove anni, terminati gli studi classici frequenta l’accademia Dancehaus di Susanna Beltrami, diplomandosi in danza contemporanea e teatro. Nel 2018 viene selezionata per un master in danza contemporanea e somatic approach presso La Biennale…

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