La storia di Janis Joplin a cinquant’anni dalla morte

A guardare Janis Joplin nelle rare foto che la ritraggono ragazzina, colpiscono quel volto angelico e lo sguardo timido, illuminato da un sorriso dolce e solare. Dentro di sé covava un talento artistico capace di cambiare per sempre l’idea della donna nel mondo del rock e rendere la musica un luogo dell’anima. Ed è stata così brava che nessuno l’ha ancora raggiunta.

Timida, inquieta e impacciata a scuola, trovò sollievo nella musica di Bessie Smith e Big Mama Thornton, che sarebbero state le sue muse ispiratrici lungo il sentiero del rock e del rhythm  and  blues, la colonna sonora dei ribelli Anni Sessanta. Dopo un’adolescenza solitaria, Janis Lyn Joplin (Port Arthur, 1943 ‒ Los Angeles, 1970) lasciò a vent’anni la città natale per scoprire la California e la nascente scena hippie, che cercava di sviluppare uno stile di vita libero da pregiudizi, pacifista e a contatto con la natura. In questa San Francisco solare e vivace, Janis mosse i primi passi sulla scena musicale e nel 1964 incise alcuni standard blues con Jorma Kaukonen,  futuro  chitarrista dei  Jefferson Airplane.  Ma Haight Ashbury, il quartiere hippie della città, dove ben presto cominciarono a scorrere fiumi di stupefacenti, quasi la travolse con i suoi eccessi; alcool ed eroina erano diventati compagni abituali per vincere la timidezza, per essere finalmente accettata nel “gruppo”, per sentirsi amata. E paradossalmente, pur non amando l’ambiente provinciale e materialista di Port Arthur, il centro petrolifero dove era nata, aveva nostalgia della sua tranquillità. Nel 1965 scelse di tornare a casa, e poiché aveva una sensibilità che la portava a voler capire le problematiche degli altri, si iscrisse alla facoltà di sociologia della Lamar University di Beaumont, in Texas.
Ma il suo futuro d’artista poteva svilupparsi solo in California, così l’anno successivo interruppe gli studi e tornò a San Francisco, dove la sua carriera sarebbe decollata.

Il Fillmore West di San Francisco nel 1970

Il Fillmore West di San Francisco nel 1970

JANIS JOPLIN ICONA ROCK

Jeans, pellicce, magliette larghe e colorate, grandi occhiali che quasi le nascondevano il volto diventarono ben presto accessori irrinunciabili di uno stile pensato prima di tutto per piacere a se stessa, senza nulla concedere alla sensualità della moda classica femminile. Così si presentava anche sul palco, nei concerti con la Big Brother and the Holding Company, che nel frattempo era diventata la sua band stabile e con cui debuttò l’11 giugno del ’66.
La consacrazione agli occhi del grande pubblico arrivò un anno dopo, nel luglio del 1967, con la partecipazione al Monterey International Pop Music Festival, al culmine di un anno “vissuto pericolosamente”, in una San Francisco sempre più turbolenta, ma che le luci del Fillmore West rendevano anche seducente. Non è facile trovare una direzione nello sbandamento generale di vecchi valori che cadono e di quelli nuovi costruiti in tutta fretta, e l’utopia si sfalda rapidamente, ma quello che non trova consistenza in terra, in un certo senso lo trova nell’arte: l’album Cheap Thrills, uscito nel 1968, è la quintessenza del blues psichedelico, che racconta un’America “alternativa” e scapigliata, non subito compreso e rivalutato molti anni dopo. In quei brani Janis sembra guidare una rivalsa sull’esistenza, ricoprendo di sesso e poesia sette standard di rock e blues. La copertina disegnata dal fumettista Robert Crumb, grezza e scanzonata, non contrasta con l’atmosfera ma la completa, quasi fosse un diario di quegli anni folli.
Invece, per la copertina di Pearl, che sarebbe uscito postumo, Janis posa come una dama vittoriana, in un’atmosfera oscura che non sarebbe dispiaciuta a Klimt. Fu un album sperimentale, dai toni amari, denso di disillusione, una lotta all’ultimo sangue contro la solitudine. Che purtroppo venne persa.
Ma è sul palco che Janis dava il meglio di sé; qui, le sue esibizioni erano veri e propri riti orgiastici con la musica e le emozioni che, tramite lei, giungevano fino al pubblico trasportandolo nel regno dell’estasi.
Janis “sentiva” la musica, i suoi concerti erano riti collettivi di affratellamento, quasi sedute medianiche di una società in trasformazione. Già da due-tre anni, molti artisti avevano trasformato i concerti in esperienze orgiastiche legate al linguaggio del corpo, ma Janis fece qualcosa di più: portò sul palco la poesia, con quella rivestiva ogni sua mossa, mentre la sua voce era un ruggito stellare, una carezza infuocata, e, come un’esplosione matissiana di colori, riusciva a dare alle parole un corpo, una forma, un odore, un sapore, un colore, e le faceva diventare un tutt’uno con le vicende e le emozioni che raccontava cantando.
Da vera artista, intellettualmente superiore a tanti altri “idoli” di quegli anni, Joplin sapeva guardare alla società con maturo senso critico, e ne comprese subito le derive. Infatti, il gospel Mercedes Benz attacca la massificazione del consumismo cui avevano ceduto i “rivoluzionari” sessantottini,

La copertina di Pearl (1971) di Janis Joplin

La copertina di Pearl (1971) di Janis Joplin

JOPLIN PALADINA DELLE DONNE

Nel 1963, Betty Friedan pubblicò La mistica della femminilità, gettando nuova luce sulla coscienza delle donne americane che cominciavano a ribellarsi all’opprimente struttura della società patriarcale. In quest’ottica Joplin divenne una figura di riferimento per il movimento di liberazione femminile, scrivendo testi taglienti, dal linguaggio diretto, che deprecavano la concezione della donna come mero oggetto di piacere sessuale. Brani intensi che erano altrettanti “gridi di guerra”, come Piece of my heart (uno dei suoi più celebri), che con piglio autobiografico cela fra le righe un coraggioso messaggio a tutte quelle donne fragili, invitandole a reagire, a graffiare la vita come le donne-feline dipinte da Novella Parigini. Allo stesso modo, Move over, la traccia di apertura dell’album postumo Pearl, la scrisse riflettendo sul modo villano in cui, spesso, gli uomini trattavano (e trattano) le donne nelle relazioni. E aggiunse la sua voce a quella delle donne che scendevano in piazza, così come aveva fatto Joan Baez; anche per Janis la musica non era un fine, ma un mezzo per scoprire se stessi e contribuire alla causa. Inoltre, fu tra le prime artiste a dichiarare la sua bisessualità, cosa che, soprattutto negli Stati Uniti, destò scalpore.

JOPLIN POETESSA DELLA SOLITUDINE

Intensi ed esplosivi, i suoi brani avevano quasi sempre una nota autobiografica; nonostante il talento, l’intelligenza, e una bellezza non canonica, Janis non riuscì mai a essere apprezzata dagli uomini, come provano le sue relazioni fallite. Abbandono e solitudine sono le tematiche più ricorrenti, quelle che, come sfregi, aveva vissuto sulla propria pelle e che aggravarono la sua fragilità. Come dichiarò una volta, “sul  palco  faccio innamorare venticinquemila  persone, poi vado a  casa  da sola”. Temeva la solitudine perché non aveva armi per affrontarla, e soprattutto comprendeva la sua debolezza davanti all’eroina e all’alcool. Cosa cercava Janis? Un’anima gemella che la capisse e la amasse per quello che era veramente. In fondo, rimase sempre la ragazzina di Port Arthur, e conservò nel cuore il ricordo di quella tranquillità da cui era fuggita in cerca d’amore, senza mai poterlo raggiungere.

Niccolò Lucarelli

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

Scopri di più