Intervista con il grafico. Parola a Francesco Valtolina
Prende il via una serie di chiacchierate con i grandi nomi della grafica italiana. Al confine tra linguaggi che spaziano dall’editoria alla comunicazione, dagli allestimenti espositivi al product design.
Creative Director e Graphic Designer con base a Milano, Francesco Valtolina dal 2008 è Art Director del magazine e della casa editrice Mousse. Dal 2013 è membro del collettivo Rio Grande. Nel 2015 con Kevin Pedron fonda lo studio di progettazione e art direction Dallas. Lo studio ha collaborato con diverse realtà come la Biennale di Venezia, Kunstahalle Wien, Triennale di Milano, Istituto Svizzero, Phaidon, Sternberg Press e segue l’art direction del magazine di moda Muse. Nel 2018 è co-founder del brand di moda Cabinet Milano. Insegna Editorial Design alla laurea specialistica presso l’ISIA di Urbino. Tra i lavori recenti dello studio Dallas: il restyling grafico di Mousse magazine, il ruolo di art direction e comunicazione grafica del nuovo spazio milanese ICA diretto da Alberto Salvadori. Inoltre ha già collaborato e sta collaborando per la progettazione grafica del MAN di Nuoro ed è stato art director per la campagna di miart 2018 con il fotografo Jonathan Frantini (progetto che segue dalla prima edizione di miart diretta da Vincenzo De Bellis).
L’INTERVISTA
Quali problematiche stai affrontando nel mondo dell’attuale comunicazione digitale e globale? Tenendo conto del campo di azione che ti sei ritagliato, tra lo spazio del libro e quello della mostra, tra comunicazione, grafica e arte.
La mia ricerca si è strutturata attorno al design editoriale e tipografico, coinvolgendo elementi dal mondo dell’arte, del design e della moda. Nella pratica quotidiana, attraverso l’attività di Dallas, studio co-fondato con Kevin Pedron nel 2014, e Mousse Magazine, del quale sono art director, mi confronto con la costruzione di strutture narrative che possono assumere svariate forme, più o meno lontane da quella dell’oggetto libro. Un approccio analogo è riscontrabile in alcune esperienze apparentemente distanti dalla mia formazione professionale, come nel caso di Cabinet, marchio di abbigliamento che dirigo con Rossana Passalacqua, o di Rio Grande, collettivo di ricerca sul product design del quale sono co-fondatore con Natascia Fenoglio e Lorenzo Cianchi dal 2013.
Libro come display ma anche il display come libro. La tua ricerca si interroga non solo su come realizzare una grafica comunicativa, ma anche sul perché comunicare e a chi.
Alla base vi è un trittico di relazioni fra la progettazione grafica, il contesto di fruizione e le figure che lo animeranno. Mi è capitato spesso di confrontarmi con la progettazione di allestimenti per il display di libri, o altri stampati cartacei, sia che si tratti di fotografarli, come per la rubrica di Mousse Magazine che ospita ipotetici set design per l’esposizione di libri, sia che si tratti di esporli fisicamente. Dallas ha realizzato nel 2016, in collaborazione con Caterina Riva, il progetto Riviera, un bookshop temporaneo all’interno dell’Istituto Svizzero di Milano, e nel 2018 l’allestimento per Publishing as an Artistic Toolbox: 1989–2017, mostra curata da Luca Lo Pinto alla Kunsthalle di Vienna. Nel primo caso, insieme alla designer Matilde Cassani, realizzammo una scala cordonata che si disponeva all’interno dello spazio, occupandone 3/4 della superficie. Trovammo interessante scardinare il rapporto tradizionale tra bookshop e spazio della mostra: gli artisti dovevano confrontarsi con la struttura, facendo coincidere il tempo e lo spazio delle mostre con quello della lettura. Un analogo effetto “straniante” è quello ottenuto con l’allestimento per la mostra di Vienna realizzato in collaborazione con Rio Grande; il progetto consisteva nel realizzare una serie di strutture a tetto spiovente, ricoperte di tegole in ceramica, sulle quali erano esposti i volumi. Rimpiango ancora di non essere riuscito a fare approvare l’installazione di un camino fumante su uno dei tetti…
Un caso a sé è il progetto per miart. Quelle che utilizzi non sono immagini riferite al mondo dell’arte…
Nel 2013 Vincenzo De Bellis, al tempo direttore della fiera, contattò Mousse per realizzare la comunicazione dell’evento. Allontanandoci da un sistema di branding convenzionale, abbiamo costruito una narrazione in cui la declinazione dell’identità fosse subordinata all’impiego della fotografia, individuando ogni anno un tema specifico e un fotografo. Lo scorso anno la campagna è stata realizzata in collaborazione con il coreografo e regista teatrale Alessandro Sciarroni, vincitore del Leone d’Oro alla Carriera alla Biennale di Venezia quest’anno, e scattata da Alice Schillaci; quella dell’edizione 2019, diretta da Alessandro Rabottini, è stata affidata al fotografo Jonathan Frantini.
Se penso alla divisione classica tra grafica di pubblica utilità (Albert Steiner) e grafica creativa (Armando Testa), ti collochi in una terza via…
Non riesco a figurarmi una distinzione così netta tra pubblica utilità ed esigenze estetiche. Credo che la creazione di un’immagine innovativa e di qualità sia da considerarsi un intervento dal valore sociale e culturale a tutti gli effetti.
Sei docente all’ISIA di Urbino. Cosa insegni ai grafici di domani?
Insegno all’ISIA da sei anni. I corsi che propongo, pur differenziandosi per le tematiche, mantengono una continuità a livello strutturale che porta gli studenti a confrontarsi con una manifestazione di carattere pubblico, per generare interferenze tra l’ambiente didattico e il mondo esterno. Ogni anno, infatti, diversi professionisti partecipano ai corsi. Ne sono un esempio la collaborazione con l’archivio online di video d’artista vdrome, il progetto Yes Yes Yes Alternative Press o le pubblicazioni realizzate dagli studenti assieme a un corposo gruppo di fotografi rappresentativi della nuova generazione della fotografia italiana. Il corso di quest’anno ha visto una collaborazione con Reading Room, spazio dedicato alla cultura dei magazine, curato da Francesca Spiller a Milano.
‒ Lorenzo Bruni
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #50
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