Intervista a Luis Laplace, l’architetto di Hauser & Wirth

Parola all’architetto che collabora da anni con la celeberrima famiglia di galleristi. Ideatore degli spazi da poco inaugurati a St. Moritz.

È raro trovarsi di fronte a dei collezionisti che si potrebbero definire “di un’altra generazione”, più vicini al grande mecenatismo che al commercio di opere d’arte, soprattutto quando la famiglia in questione ha un patrimonio che non ha nulla da invidiare ai grandissimi come François Pinault e Bernard Arnault. All’età di 17 anni il giovane Iwan Wirth inaugurò all’Hotel Carlton di St. Moritz un’esposizione con artisti del calibro di Daniel Spoerri, Le Corbusier, Marc Chagall, sulla scia del primo gallerista della località Engadina Bruno Bischofberger. Qualche anno dopo conobbe la collezionista Ursula Hauser e sua figlia Manuela (che sposò) e nel 1992 a Zurigo ebbe inizio la prima di una ricca serie di avventure siglate Hauser and Wirth. Dal 2000 alla grande famiglia si è aggiunto Marc Payot, attualmente partner e vicepresidente, le sedi espositive in Svizzera sono salite a tre e altre nove sono state aperte nel resto del mondo, da Hong Kong a Londra, da New York a Los Angeles. In Italia per ora restiamo tutti quanti in attesa di vedere le esposizioni fuori-fiera da loro curate in occasione di miart. Oltre a un nutrito gruppo di professionisti, dai curatori agli artisti sino ai direttori delle singole gallerie, H&W ha accresciuto negli anni il numero di patrimoni d’artista che gestisce (da Manzoni a Melotti, passando per Ashile Gorky sino a Dieter Roth ed Eduardo Chillida, solo per citarne alcuni). Ben accolto dal pubblico è stato, dunque, l’approdo della galleria a St. Moritz, centro della valle Engadina ricca di rimandi all’arte e a molte menti brillanti del secolo scorso, da Alberto Giacometti e Giovanni Segantini che vi nacquero a Friedrich Nietzsche, Gerard Richter e Joseph Beuys che vi trascorsero molto tempo. Inaugurata nel dicembre 2018, la galleria diretta da Stefano Rabolli Pansera è stata realizzata su progetto dell’architetto Luis Laplace. Francese, partner dell’omonimo studio con il Christophe Comoy e di scuola newyorkese Selldorf Architects, Laplace è fidato progettista dei mecenati e ha rinnovato gli spazi, precedentemente commerciali, in una posizione assolutamente strategica nella cittadina. Abbiamo chiesto proprio a lui di raccontarci la sua esperienza con Hauser, i coniugi Wirth, e il nuovo spazio espositivo.

Hauser & Wirth, St. Moritz. Courtesy Hauser & Wirth. Photo Katharina Lütscher

Hauser & Wirth, St. Moritz. Courtesy Hauser & Wirth. Photo Katharina Lütscher

L’INTERVISTA

Com’è iniziata la sua relazione professionale con Iwan e Manuela Wirth e Ursula Hauser?
Ho incontrato per la prima volta Ursula Hauser durante i lavori di ristrutturazione della sua residenza estiva a Mallorca circa vent’anni fa, mentre collaboravo con lo studio Selldorf Architects. Stringemmo amicizia e Ursula mi fece lavorare sia sulla dependance degli ospiti, sia sulla sua casa a Zurigo. Tempo dopo ho conosciuto Manuela e Iwan Wirth, che si sono affidati a me per loro progetti privati prima di affidarmi i lavori della galleria. Nel corso degli anni siamo diventati buoni amici. Ogni progetto che iniziamo è un viaggio verso territori inesplorati: ci adattiamo a tutto ciò che il nuovo ambiente di lavoro ha da offrire. Loro sono delle persone incredibilmente stimolanti e lungimiranti: non si stancano mai di alzare il loro standard d’eccellenza!

Cosa ha portato della loro visione nel suo design?
Abbiamo sviluppato, negli anni, un chiaro senso di quanto l’arredo, il colore, i materiali, i tessuti possono apportare a un ambiente ricco di opere d’arte. I cubi bianchi non sono abbastanza. Si possono combinare gli approccio per mostrare l’arte, a casa come in galleria. L’arte ha sempre il primo posto, ma il muro bianco non è l’unica opzione esistente per esaltare un pezzo. Da collezionisti, mi hanno insegnato le priorità e i vincoli che i collezionisti incontrano quando devono disegnare la propria residenza: la possibilità di rotazione delle opere, l’importanza della luce, il peso delle sculture, ecc. In fase di progettazione le caratteristiche di un pezzo vengono prese in considerazione al punto tale da impattare sulle scelte architettoniche che mi trovo a fare, come ad esempio rinforzare un pavimento per creare una parete da esposizione. Identificare il muro cardine, quello che rende il progetto vincente agli occhi di tutti i visitatori, è altrettanto parte del mio lavoro.

Parlando di H&W Somerset: come ha creato il dialogo tra l’edificio esistente e la comunità locale?
Ho sempre iniziato dall’ambiente circostante. Non credo in egoistiche affermazioni di architettura fuori dal tempo e dello spazio, a maggior ragione quando non si comincia da una tela bianca. Gli edifici di H&W nel Somerset costituiscono da anni una tenuta attiva da secoli, costituiscono una pietra miliare del paese di Bruton. Le stalle, le fattorie, i fienili si sono strutturati in un ampio lasso di tempo creando una certa armonia, il mio intento era quello di non turbare l’architettura esistente: abbiamo mantenuto o migliorato ciò che potevamo.
È stato questo l’approccio individuato per le travi, le mura in mattoni, i pavimenti, le costruzioni insolite come i granai. Al contrario, per le nuove costruzioni, come gli spazi espositivi a chiusura della corte interna costituita dagli edifici preesistenti, non ho riprodotto lo stile esistente bensì utilizzato nuovi materiali (mattoni sottili per il tetto, tra gli altri) perfettamente compatibili con gli edifici circostanti.
Sin dal principio, abbiamo intuito che il successo della galleria sarebbe stato possibile se la comunità locale fosse stata coinvolta. Per questo gli edifici dedicati alle attività didattiche sono stati la chiave del successo del progetto, come il Roth Bar&Grill per tutti coloro che scelgono di godersi del buon cibo locale o un drink in un luogo unico. Tutti possono usufruire della programmazione della galleria, che l’anno scorso ha ospitato Calder, ad esempio, resa possibile dalla flessibilità degli spazi interni ed esterni che abbiamo creato e dalla loro versatilità in termini di usi e approcci.

Per la galleria Hauser and Wirth a St. Moritz avete progettato uno spazio che entra in relazione con lo spazio circostante, con la luce e il panorama della valle Engadina: qual è l’ispirazione dietro al progetto?
Il contesto in questo caso è incredibilmente forte: le montagne, il cielo, la luce, la neve… Sarebbe inimmaginabile concepire uno spazio simile senza considerare l’intorno. Qui la luce si è rivelata un problema, non per la sua scarsità ma, al contrario, per la sua abbondanza!
È venuto naturale utilizzare finiture molto nette e non abbiamo esitato a creare superfici espositive che fronteggiassero le aperture esistenti. Ho considerato H&W e i suoi valori per adattare lo spazio alle esigenze e all’approccio dei galleristi: gli spazi esistenti non erano stati concepiti come un unicum e per questo ho dovuto correggere la circolazione interna e la partizione nelle stanze.

Hauser & Wirth, St. Moritz. Courtesy Hauser & Wirth. Photo Katharina Lütscher

Hauser & Wirth, St. Moritz. Courtesy Hauser & Wirth. Photo Katharina Lütscher

Hai ritrovato qui qualche ispirazione proveniente dalla tua esperienza presso Le Vieux Chalet a Gstaad, sempre di H&W?
I due spazi sono molto differenti, visto l’impianto tipico dello chalet di Gstaad rispetto alla galleria in un edificio moderno. Inoltre, gli interventi su Le Vieux Chalet si sono limitati agli interni e all’installazione delle opere d’arte. Ho utilizzato la stessa formula di successo del Vieux Chalet all’ultimo piano della galleria di St. Moritz per offrire una disposizione differente, più residenziale e vicina al raccoglimento dello chalet.

Ci può dire qualcosa di più di quest’ultimo piano?
È possibile mostrare l’arte in galleria nonostante l’ambiente sia più confortevole e vicino a quello residenziale. L’ultimo piano della galleria è più intimo e appropriato per meeting privati, per dedicarsi a un singolo pezzo. Qui abbiamo utilizzato materiali più in linea con lo chalet.

In merito al progetto di riapertura del Chillida Leku a San Sebastiàn: quali sono gli elementi su cui avete focalizzato la progettazione?
Ho prima di tutto identificato il DNA di Eduardo Chillida parlando con la sua famiglia, studiando il suo lavoro, osservando il suo laboratorio, passando del tempo a San Sebastiàn, e ho trasportato la sua identità nel linguaggio architettonico che meglio rappresenti il suo lavoro. Ad esempio, utilizzando materiali come il metallo scuro o forme semplici ho volontariamente selezionato elementi che aiutino a sottolineare la semplicità del lavoro di Chillida. Non ho voluto reinterpretare gli spazi con un approccio non compatibile con il suo forte universo. Chillida ha uno spiccato senso dell’architettura, più di molti altri artisti su cui ho lavorato, e questo ha decisamente facilitato il mio processo progettuale. Non c’entra nulla l’ego personale. Si tratta di progettare il miglior spazio possibile per l’artista che celebriamo. Se i visitatori considerassero il risultato finale come frutto di una collaborazione tra me e l’artista, riterrei il mio lavoro un successo.

Flavia Chiavaroli

www.hauserwirth.com
http://luislaplace.com/

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Flavia ChiavarolI

Flavia ChiavarolI

Architetto, exhibition designer e critico freelance. Osservatrice attenta e grande appassionata di architettura ed arte moderna e contemporanea riporta la sua esperienza nell’organizzazione di workshop, collabora con artisti e fotografi e aggiornando i principali social network. Dal 2012 si occupa…

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