Nuovi sguardi sull’Art Brut. A Parigi

La Maison Rouge di Parigi ospita una mostra davvero singolare, che riunisce opere Art Brut e manufatti antichi e rituali, legati a diverse civiltà. Ne abbiamo parlato con Lucienne Peiry.

Da dove nasce l’idea di riunire in un’unica mostra opere e oggetti di così varia provenienza? Qual è il fil rouge che attraversa l’esposizione?
Ho costruito la mostra Inextricabilia. Enchevêtrements magiques partendo dall’Art Brut e in particolare dal lavoro di Judith Scott. Questa creatrice americana di Art Brut cominciava recuperando o talvolta rubacchiando ogni sorta di oggetto (ombrelli, riviste, ruote di bicicletta, chiavi) che andavano poi a costituire il cuore delle sue composizioni. Li assemblava e poi li avvolgeva con fili, stringhe, corde e cordini, in maniera da proteggere e occultare integralmente il corpo centrale. Le sculture di Judith Scott hanno un valore riparatore: sono state realizzate quando Judith ha ritrovato sua sorella gemella Joyce, dopo oltre trent’anni di separazione.

Da questo nucleo originario come si è sviluppata la concezione della mostra?
Ho progressivamente accostato le creazioni di Judith Scott a un corpus di opere e oggetti provenienti da contrade, culture, espressioni ed epoche diverse, che tuttavia intrattengono fra loro sorprendenti rapporti di parentela a livello di tecniche e materiali utilizzati, ma anche per quanto concerne i processi creativi. Allestiti in dialogo gli uni con gli altri nello spazio, questi “oggetti”, queste “opere” realizzate da artisti contemporanei, da creatori di Art Brut, da guaritori o da sciamani, da pellegrini o da religiosi comunicano, si rispondono ed entrano in relazione in maniera sbalorditiva.
Al di là delle somiglianze formali e stilistiche, tutti questi oggetti hanno in comune una forte dimensione simbolica, e in certi casi anche un ruolo spirituale, religioso o magico. Ci espongono a una maniera non razionale di considerare il mondo e fanno appello ai nostri pensieri, alle nostre sensazioni e alle nostre emozioni.

Inextricabilia. Virginie Rebetez. La Maison Rouge, Parigi 2017. Photo © Marc Domage

Inextricabilia. Virginie Rebetez. La Maison Rouge, Parigi 2017. Photo © Marc Domage

L’aspetto materico ricorre nella rassegna: che valore ha e come si relaziona al contesto attuale, dominato da approcci, comunicazioni e anche modi di fare arte sempre meno “concreti” e sempre più volatili?
L’osso avviluppato di un santo, una stele funeraria ricoperta di stoffa (Virginie Rebetez), immagini mascherate da una rete o talismani legati con lo spago – come le sculture di Judith Scott, Heide de Bruyne o Cathryn Boch – comportano sempre una parte velata o nascosta; questo procedimento conferisce una dimensione misteriosa ed enigmatica agli oggetti, lasciandoci immaginare che ciò che è posto al riparo dagli sguardi sia interessante, prezioso, raro, forse potente. Gli autori giocano tra la presenza e la dissimulazione, fra la trasparenza e l’opacità, l’apparizione e la sparizione. Non tentano forse di agire fra il visibile e l’invisibile, apportando un effetto redentore a ciò che Claude Lévi-Strauss ha definito “uno dei più grandi disagi della nostra civiltà”, ossia “aver totalmente separato l’ordine del razionale dall’ordine del poetico, mentre in tutte le cosiddette civiltà primitive […] sono due ordini strettamente legati”?

La mostra è quasi giunta alla sua conclusione: quali sono state le reazioni del pubblico?
Sapevo che questa mostra era audace e, lo confesso, nutrivo qualche dubbio in merito alla sua ricezione. Ero allo stesso tempo convinta dalle confluenze che innegabilmente si producono fra le opere e dalle prospettive originali che proponevo al pubblico. In effetti, sin dall’inaugurazione, i visitatori hanno manifestato un interesse molto acceso e numerose persone mi hanno scritto, mi hanno inviato dei messaggi, mi hanno messo a parte delle loro riflessioni e testimonianze personali.
Penso che il pubblico fosse assolutamente pronto a scoprire relazioni di questo genere, e direi quasi avido di visitare una mostra che propone uno sguardo nuovo, che coniuga queste molteplici forme espressive, provenienti da Paesi così diversi come il Senegal, il Congo, l’India, il Brasile, gli Usa, la Svizzera, l’Italia, la Francia, il Belgio o la Germania, ed epoche differenti, separate talvolta da parecchi secoli – tutte collegate dal simbolismo dell’intreccio magico.

Inextricabilia. Exhibition view at La Maison Rouge, Parigi 2017. Photo © Marc Domage

Inextricabilia. Exhibition view at La Maison Rouge, Parigi 2017. Photo © Marc Domage

L’Art Brut, che in Italia annovera alcuni dei suoi esponenti più noti, si è spesso dimostrata un terreno “scivoloso”, preda di generalizzazioni che ne hanno messo in luce solo alcuni aspetti, come il legame con il mondo della psichiatria. Quali componenti dell’Art Brut vuole evidenziare questa mostra?
Le creazioni di Art Brut (quelle di Giuseppe Versino, di Judith Scott, di Marie Lieb, di Jeanne Triper o di Marco Moret) sono messe in relazione con opere d’arte contemporanea (Louise Bourgeois, Annette Messager, Chen Zhen), di arte popolare o sacra. Le analogie sono sorprendenti nella maniera di legare, di allacciare, di aggrovigliare corde di canapa, capelli, cordoni di cuoio, fili d’oro, lame d’erba o alghe, rafia, corde o strisce di tessuto. Che siano vegetali, organiche o metalliche, queste fibre assemblate – ingegnosamente cucite o allacciate, annodate con forza, prese in grovigli inestricabili – compongono degli oggetti di natura particolare. Ci colpiscono, generano emozione, attrazione, inquietudine, stupore o ancora repulsione. Si possono reperire dei valori o delle virtù simboliche comuni, o almeno analoghe, fra queste produzioni? Tento di porre questa domanda ai visitatori: cosa cercano questi artisti contemporanei, questi sciamani, questi indovini, queste suore e questi pellegrini, questi autori di Art Brut, avviluppando, tessendo, annodando, creando con tanta attenzione questi strani grovigli?
Spingendoci all’introspezione, queste stravaganze annodate, allacciate e tessute ci mettono in relazione con le nostre sensazioni e i nostri pensieri più intimi e profondi, spesso sepolti e rimossi, con ciò che sappiamo e percepiamo in potenza – delle reminiscenze. Questi oggetti e queste opere fanno eco all’inesplicabile e all’indicibile e ci mettono in collegamento con i vasti interrogativi esistenziali, filosofici e metafisici, soprattutto con quelli che oltrepassano la formulazione verbale. L’innominabile è sotto i nostri occhi.

Ci racconta quali sono stati i rapporti con il MAET di Torino? Che genere di manufatti provengono da quel museo? Ci sono stati rapporti con altri musei o collezioni italiane?
Da anni conosco gli abiti conservati al MAET di Torino, poiché sono in contatto con Gianluigi Mangiapane, che li ha studiati. In questo contesto, ci tenevo a evidenziare e a far riconoscere il valore e la portata simbolica di questi abiti fuori dal comune. Mangiapane ha fatto sì che questo prestito potesse essere fatto (nelle migliori condizioni possibili) e che potesse essere stabilita la collaborazione con un museo privato a Parigi.
Va ricordata la storia di queste creazioni tessili eccezionali: dopo aver assolto ai suoi compiti di pulizia all’ospedale psichiatrico di Torino, Giuseppe Versino si appropriava di stracci e strofinacci usati, li lavava e li sfilacciava, poi li tesseva a mano e aveva costruito un completo. Benché pesi più di quaranta chili, Versino indossava questo imballaggio corporeo protettivo, d’estate come d’inverno.

Inextricabilia. Giuseppe Versino. La Maison Rouge, Parigi 2017. Photo © Marc Domage

Inextricabilia. Giuseppe Versino. La Maison Rouge, Parigi 2017. Photo © Marc Domage

C’è da sempre una questione anche terminologica che riguarda questo tipo di arte: Art Brut in ambito francofono, Outsider Art in ambito anglofono. In entrambi i casi si evidenziano aspetti precisi di questo “genere”. Cosa ne pensa di questo dibattito linguistico, solo apparentemente accademico?
Personalmente utilizzo il termine “Art Brut”, concetto che è stato creato, definito e sviluppato dal pittore francese Jean Dubuffet a partire dal 1945. Il termine “Outsider Art”, soprattutto negli Stati Uniti, è molto più ampio e a mio avviso più confuso, poiché comprende anche degli oggetti di arte popolare. Resto fedele a Dubuffet per assicurare una più grande chiarezza agli specialisti, agli storici dell’arte così come ai neofiti. Poiché si tratta di una designazione, l’espressione non si traduce.

Se dovesse descrivere la mostra usando tre aggettivi, quali sarebbero?
Innovatrice, sorprendente, singolare…

Marco Enrico Giacomelli e Arianna Testino

Parigi // fino al 17 settembre 2017
Inextricabilia. Enchevêtrements magiques
a cura di Lucienne Peiry
LA MAISON ROUGE
10 Boulevard de la Bastille
http://lamaisonrouge.org

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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