Sala d’aspetto. E l’arte va negli studi medici

Dialogo con le curatrici e gli artisti coinvolti nel nuovo progetto inaugurato in concomitanza con Miart e nato a maggio 2014. Con l’obiettivo di portare l’arte nelle sale d’aspetto degli studi medici.

Ci potete raccontare il progetto espositivo? Come nasce, ipotesi iniziale, tematica sviluppata…
ANNA MUSINI – ELISA PENAGINI: Il progetto nasce con l’intento di porre l’arte contemporanea in dialogo con momenti comuni della vita quotidiana, come l’attesa dal medico. Una situazione di tempo sospeso in cui si è costretti a una pausa forzata dalle normali attività e in cui si entra quasi involontariamente in contatto con se stessi e con altre persone, condividendo uno spazio e un tempo determinati che provocano le sensazioni più differenti dalla noia all’angoscia.
A partire da queste suggestioni e dagli stimoli della particolare realtà espositiva, gli artisti invitati hanno di volta in volta sviluppato una tematica, un pensiero, un’idea in relazione alla loro ricerca che trova espressione nelle opere inserite nello spazio e rivolte a stimolare l’attenzione del pubblico dei pazienti.

Il luogo nel quale esponete i lavori è non convenzionale/deputato. Quali rapporti spaziali si instaurano, nell’insieme, tra le opere e tra lavori (singoli) e spettatore? In che modo l’arte trasforma i posti in spazi agiti?
A.M. – E.P.: Dall’aprile 2014 abbiamo iniziato a invitare ciclicamente due artisti a mettere in dialogo i loro lavori e a interagire con il pubblico di spettatori inizialmente inconsapevole. I pazienti dell’ambulatorio, nel momento dell’attesa di essere visitati, assumono il ruolo attivo di fruitori e interlocutori delle opere, diventando inaspettatamente loro stessi visitatori. Il silenzio e il chiacchiericcio che contraddistinguono la sala d’attesa sono interrotti da un concerto di relazioni che s’intrecciano: il dialogo tra gli artisti e le loro ricerche, tra le opere e gli spettatori, nella cornice di uno spazio, lontano dall’essere neutro ma fortemente connaturato da una serie di oggetti e informazioni che lo rendono tale.
La sala d’aspetto, che di volta in volta si trasforma grazie all’intervento di artisti diversi, diventa dunque luogo d’interesse che incuriosisce trasformando l’attesa in un momento di incontro, di scambio culturale e di riflessione.

Sara Enrico, Pillows, 2011 -photo Maurizio Elia

Sara Enrico, Pillows, 2011 -photo Maurizio Elia

I lavori che hai presentato sono pensati per questa mostra o sono opere già esistenti? Potresti parlarci delle tue riflessioni a vederle esposte in “sala d’aspetto”? Come si inseriscono nella tua ricerca personale?
ADRIAN WILLIAMS: La serie di lavori su carta sono stati selezionati, ma non specificamente realizzati per la mostra. Sono opere che costituiscono un aspetto della mia routine quotidiana.
La sala d’aspetto è un logo di contemplazione e preoccupazione, dove si ricerca una distrazione. In posti come questo, mi ritrovo attratta da qualsiasi cosa che mi si offra come una finestra verso l’esterno. Il desiderio di separare momentaneamente se stessi dallo spazio, di andare altrove con la mente, è quello che questi lavori fanno per me mentre li realizzo, e forse quello che mi piacerebbe offrire allo spettatore che li legge.

In che modo si rende necessario tale displacement?
A.W.: Perché le storie che racconto sono storie che si sviluppano in scenari quotidiani, che ho sempre immaginato esistere in uno spazio come questo, in una sala tra le sale, un luogo tra i luoghi, dove il tempo è sia abbondante sia scarso.
Per me l’arte è sempre stata un potenziale connettore tra le persone, e non credo che questa connessione sia – o possa in qualche modo essere – limitata all’esposizione in luoghi espositivi tradizionali.

Adrian Williams & Sara Enrico - Sala d'aspetto, veduta della mostra presso lo Studio medico, Milano 2015 - photo Adrian Williams

Adrian Williams & Sara Enrico – Sala d’aspetto, veduta della mostra presso lo Studio medico, Milano 2015 – photo Adrian Williams

Nel tuo caso, Sara, i lavori sono site specific o hanno una loro storia?
SARA ENRICO: I Pillows sono lavori che realizzo in maniera discontinua dal 2011. Sono calchi in gesso ottenuti da frammenti di tele dipinte, accumulatesi nel tempo in studio. Volumi scultorei, forme rapprese e fossilizzate che registrano la dinamica della visione, spostandone però i parametri di ordine e linearità sui quali si fonda. Essi, come tanti altri, appartengono a una costellazione di lavori estratti dal paesaggio dello studio.
Penso molto spesso al mio spazio di lavoro come a una matrice dalla quale, gradualmente, prendono forma delle cose che poi si separano l’una dall’altra, seguendo un movimento alternato tra l’autonomia e la consequenzialità. Alcune di queste non hanno una collocazione definitiva, cambiano a seconda del contesto e della presenza di altri lavori, e talvolta ritornano a essere semplici materiali che rigenero secondo altre necessità. Non c’è dunque una definizione o una volontà univoca, piuttosto uno stato di sospensione e di interazione.

Le tue suggestioni in relazione a Sala d’aspetto e alla tua ricerca personale?
S.E.: Ho trovato interessante uno spazio diverso da quello deputato a ospitare una mostra, poiché connotato da una certa routine e da una frequentazione eterogenea che probabilmente non nutrono aspettative se quelle contingenti. La presenza di elementi e di oggetti funzionali in questo senso è intrigante perché creano uno spostamento di senso, diventano un orizzonte, un panorama da osservare per il tempo di un’attesa, in maniera libera e disincantata. L’opera si spoglia, si nasconde e diventa vulnerabile.
I Pillows nello specifico si legano a una memoria visuale e tattile, le superfici sintetizzano passaggi e lavorazioni in una forma che a volte sfugge nella sua interezza. La presenza dei lavori in questa sala d’aspetto è risultata piuttosto naturale e legata alla dinamica dello sguardo che interpreta l’idea di transizione. Essi danno corposità a un movimento, ad un passaggio precedente, riempiono un vuoto. Come quel vuoto che c’è tra due vignette, la zona del non detto nella quale nella quale transita il nostro pensiero cercando una continuità di significato. Una sorta di intercapedine nella quale si annidano tensioni narrative, tra la ricerca di una continuità logica e lo stimolo a seguirne una più intuitiva. Potremmo dunque pensare al “gutter” come a una sala d’aspetto, a una pausa da riempire?

Giangavino Pazzola

Milano // fino al 12 giugno 2015
Sala d’Aspetto – Sara Enrico / Adrian Williams
a cura di Anna Musini ed Elisa Penagini
STUDIO MEDICO
Via Bellini 1
338 4985082
[email protected]
http://studiomedico.tumblr.com/

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/43737/sala-daspetto-sara-enrico-adrian-williams/

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Giangavino Pazzola

Giangavino Pazzola

Laureato in Lettere e Comunicazione all'Università di Sassari. Attualmente vivo a Torino, dove studio Comunicazione Pubblica e Politica. Curatore indipendente e blogger, nel 2011 ho vinto il Premio MANizos, per giovani curatori d'arte in Sardegna (Museo MAN/AMACI). Dal 2009 collaboro…

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