Il Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto: chiuso senza progetto, tra ritardi e incognite sulla conservazione
Chiuso nell’agosto del 2024 per restauri, il MODO non ha mai riaperto, e non sono nemmeno partiti i restauri…

Il 29 agosto 2024 il presidente dell’Opera del Duomo di Orvieto, Andrea Taddei, annunciava la chiusura del Museo dell’Opera del Duomo (MODO), ospitato nei Palazzi Papali accanto alla cattedrale. La motivazione era un progetto di riallestimento: i lavori, si disse allora, non sarebbero stati particolarmente complessi e un anno di chiusura sarebbe stato addirittura “eccessivo”. A distanza di dodici mesi, però, il museo è ancora chiuso e di quel progetto non vi è traccia. Non è stato presentato, non è stato discusso con la città, non è stato illustrato al pubblico. Un’anomalia che solleva interrogativi sulla gestione di uno dei complessi museali più rilevanti dell’Italia centrale, custode di opere di straordinario valore, e che impone una riflessione più ampia non solo sulla tutela e valorizzazione delle collezioni, ma anche sulla governance dell’ente stesso.
La chiusura “preventiva” del Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto
La chiusura di un museo per lavori è un atto legittimo, anzi, in molti casi diviene necessario. La prassi consolidata, tuttavia, prevede una sequenza piuttosto chiara: prima si definisce il progetto, sia sul piano museologico che su quello architettonico, si approva il piano economico, si reperiscono i fondi. È soltanto al termine di questo percorso che si procede alla chiusura, affinché i lavori possano iniziare il giorno successivo. A Orvieto, invece, è avvenuto l’opposto: il museo è stato chiuso mentre ancora si discuteva sul da farsi, generando un vuoto che oggi rischia di trasformarsi in immobilismo. Altrove, le istituzioni museali stanno sperimentando strade diverse. È il caso della National Gallery di Londra, che ha avviato un’assemblea cittadina per coinvolgere direttamente i cittadini nelle decisioni strategiche sul museo. Non si tratta di sostituire i professionisti con i non addetti ai lavori, ma di riconoscere che un museo, soprattutto se pubblico, appartiene alla collettività e va gestito con un grado maggiore di responsabilità condivisa. Questa forma di “democrazia culturale” rafforza il legame tra istituzione e comunità, aumentando trasparenza, fiducia e senso di appartenenza.
In quell’intervista, Taddei aveva anche accennato alla volontà di replicare l’esperienza della Fabbriceria fiorentina. Un paragone che appare quanto mai azzardato. L’Opera di Santa Maria del Fiore ha potuto contare su 45 milioni di euro di risorse proprie per la realizzazione del nuovo Museo, con un progetto museologico guidato da Timothy Verdon e un intervento architettonico firmato da Adolfo Natalini e dallo studio Guicciardini & Magni. Parlare di “un’idea simile” a Orvieto rischia dunque di essere più che altro un’illusione, considerata la distanza di risorse, competenze e progettualità.
L’incerto destino delle opere conservate al MODO di Orvieto
Molte opere, intanto, rimangono in una condizione incerta. Alcuni dipinti sono stati trasferiti temporaneamente al Museo Faina, senza che siano stati comunicati tempi e modalità precise dell’operazione. Le grandi pale cinquecentesche sono state ricollocate nella Cattedrale, ma con modalità che hanno sollevato più di un dubbio, sia sul piano conservativo – trattandosi di opere concepite per altari barocchi e oggi appese lungo le navate, esposte a rischi strutturali – sia su quello museologico, poiché inserite in un contesto che ne snatura il significato originario. Altre opere ancora, come la Natività della Vergine di Cesare Nebbia o la già compromessa tavola del Circignani con la Probatica piscina, risultano attualmente non visibili. All’interno della Libraria Albèri resta inoltre il Reliquiario del Corporale di Ugolino di Vieri, capolavoro dell’oreficeria senese che necessita di condizioni specifiche di conservazione.
Rispettare la natura civica del MODO
Il caso del MODO solleva infine una questione più ampia: quella della natura civica del Duomo e delle sue collezioni. Il sito ufficiale dell’Opera del Duomo di Orvieto descrive l’origine della Fabbriceria come “ecclesiastica”, ma si tratta di una ricostruzione errata. Si ha l’impressione che l’Opera si stia orientando verso una gestione più confessionale che laica e che proceda sulla strada della “demusealizzazione” del Duomo, con buona pace delle sue collezioni e della sua originaria vocazione. L’auspicio, in ogni caso, è che il progetto possa essere condiviso con la comunità e che i lavori possano partire nel più breve tempo possibile per riaprire il MODO alla città e ai suoi visitatori.
Giordano Conticelli
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