Christie’s festeggia 25 anni di aste d’arte italiana. L’intervista a Mariolina Bassetti

Inaugurata negli Anni Duemila a Londra, l'asta dedicata all'arte italiana moderna e contemporanea è diventata uno degli appuntamenti più importanti del mercato internazionale. E nella nuova sede di Parigi si preparano i nuovi cataloghi e i festeggiamenti per il 25° anniversario di “Thinking Italian” 

Si tiene a Parigi dal 2022 e ritorna questo ottobre la vendita internazionale dedicata da Christie’s all’arte italiana, Avant-Garde(s) including Thinking Italian. Inaugurata a Londra nel 2000-2001 e poi spostata a Parigi in una sessione autunnale in concomitanza con la fiera Art Basel, l’asta ha poi raddoppiato il presidio con una seconda sessione primaverile e nel 2026 festeggia il suo 25° anniversario. Lasciata la capitale del Regno Unito nel post-Brexit, che la piazza francese fosse pronta ad accogliere i cataloghi italiani è stato evidente dalla prima edizione, quando una Mappa a fondo rosa di Alighiero Boetti (1979) ha aggiornato il record per l’artista a €5,6 milioni. Ancora più in alto, la stessa sera, era arrivato Lucio Fontana con Concetto spaziale (1960), a oltre €15 milioni, protagonista anche nel 2023, con Concetto spaziale del 1961 a quota €7,9 milioni, insieme a Domenico Gnoli e al nuovo record d’asta per Tancredi. “Guanti bianchi” poi, per i maestri italiani, all’ultima Avant-Garde(s) including Thinking Italian del 2024, con record aggiornati in Francia per Piero Manzoni e Arnaldo Pomodoro e sul podio ancora Fontana, Manzoni e Gnoli. 

boetti Christie’s festeggia 25 anni di aste d’arte italiana. L'intervista a Mariolina Bassetti
Alighiero Boetti, Ammazzare il tempo, 1979. Courtesy Christie’s Images Ltd.

Un capolavoro di Yves Klein e i maestri italiani in asta da Christie’s a Parigi

A guidare la sessione parigina sarà un grande monocromo di Yves Klein, California, (IKB 71), offerto in asta ora per la prima volta e con stime su richiesta. Largo quattro metri, il dipinto del 1961 arriva da una collezione americana e rappresenta uno dei momenti di culmine dell’esplorazione del celebre “blu Klein”, il colore brevettato dall’artista francese nel 1960 come incarnazione perfetta e simbolo di infinito e immaterialità. Una storia, quella dell’IKB, che ha non pochi legami con l’Italia. Fu proprio alla Galleria Apollinaire di Guido Le Noci a Milano che l’artista francese presentò per la prima volta nel 1957 undici tele monocrome in quel blu oltremare profondissimo e creato sospendendo il pigmento asciutto in una resina sintetica, che il mondo avrebbe imparato a conoscere come “blu Klein”. Per la partita italiana, saranno invece schierati nei cataloghi parigini, lo anticipavamo, alcuni capisaldi della nostra storia passata e più recente: Domenico Gnoli, Alighiero Boetti, Lucio Fontana, Mario Schifano, Giovanni Anselmo, Jannis Kounellis, Maurizio Cattelan. 

In attesa del nuovo catalogo, che sarà esitato il prossimo 23 ottobre 2025, abbiamo raggiunto Mariolina Bassetti, Chairman di Christie’s Italia, per fare il punto su Parigi e sull’asta che è diventata prestissimo un appuntamento imperdibile per l’arte moderna e contemporanea italiana nel mercato internazionale. 

Mariolina Bassetti, Chairman Christie's Italia. Courtesy Christie's Images Ltd.
Mariolina Bassetti, Chairman Christie’s Italia. Courtesy Christie’s Images Ltd.

L’intervista a Mariolina Bassetti 

Tra poco entriamo nello specifico dei cataloghi italiani, ma prima: quale è la stima del grande monocromo di Yves Klein – di cui Christie’s detiene a oggi i tre migliori risultati in asta (incluso Anthropométrie de l’époque bleue, (ANT 124), venduto a Londra nel 2022 per £27,2 milioni) – California, (IKB 71) del 1961 e offerto ora in asta, con stime su richiesta?
La stima è su richiesta, sì, e posso dirti che eccede i €16 milioni. Si tratta di un’opera offerta in asta per la prima volta e per la prima volta di ritorno a Parigi dalla sua creazione, 64 anni fa. La presentazione all’asta di quest’opera monumentale e straordinaria, che incarna da sola la radicalità creativa di Yves Klein, rappresenterà senza dubbio uno dei momenti salienti della stagione autunnale di Christie’s in Europa. Con i suoi oltre quattro metri di lunghezza, California, (IKB 71) trova un equivalente in termini di dimensioni solo nei giganteschi pannelli realizzati da Klein per il Musiktheater im Revier di Gelsenkirchen, in Germania. Dal 2005 al 2008 è stata in prestito al Metropolitan Museum of Art di New York, per la sua ultima apparizione pubblica.

Questo capolavoro di Klein, lo ricordavamo, ha dei legami storici con il sistema dell’arte italiano, e allora spostiamoci proprio sul catalogo Thinking Italian. Anche in momenti di incertezza del mercato, come quello che stiamo attraversando, l’arte italiana riscuote risultati eccezionali oltralpe. É ancora e sempre così?
Sì, assolutamente. L’arte italiana mantiene un’attenzione vivissima nel mercato dell’arte e nel collezionismo, che però è sempre più selettivo. E attraversa un momento di difficoltà, data la situazione micro e macroeconomica, influenzata da due guerre, di cui una, quella mediorientale, particolarmente coinvolgente anche per il mercato dell’arte. Mentre i collezionisti russi erano già da tempo un po’ assenti dalla scena, più o meno dagli Anni 2000, il conflitto tra Israele e Palestina ha avuto un impatto fortissimo anche sul mondo dell’arte e sul collezionismo.

Tornando all’arte italiana, qual è il segreto della sua attrattività?
Io sono convinta che le opere di qualità resistano a qualsiasi crisi: l’arrivo di un capolavoro sul mercato non conosce incertezze e attese, il collezionista lo compra. E infatti l’asta di arte italiana è stata dedicata, in questi 25 anni, sempre di più alla qualità. Siamo partiti con selezioni da 70 lotti per arrivare a 30 e poi, oggi, magari a una decina, ma che puntano sempre di più alla qualità assoluta. Lavorando così non si risente dei “momenti di riflessione”, nemmeno per artisti che in alcuni momenti possono sembrare in fase più calante.

Come per esempio?
Per esempio Alberto Burri. In momenti del passato, si poteva vendere qualsiasi tipologia di opera di Burri. Oggi meno, magari, ma i lavori di grandissima qualità raggiungono ancora risultati altissimi, come quello visto a Londra a marzo.

Yves Klein, California, (IKB 71), 1961. Courtesy Christie's Images Ltd.
Yves Klein, California, (IKB 71), 1961. Courtesy Christie’s Images Ltd.

I top lot di arte italiana in catalogo da Christie’s

Quali i lotti più preziosi e le storie più avvincenti nei cataloghi di questo autunno parigino per l’Italia? Quelli da tenere d’occhio, anche secondo il tuo gusto personale, non solo per le stime presta.
L’asta di Parigi presenta una selezione accuratissima, a partire dalle opere provenienti dalla Collezione Alessandro Grassi, iniziata alla fine degli Anni ’70 all’insegna del colore. Per ragioni biografiche, perché il padre, un chimico, fu l’inventore dell’inchiostro a getto e fondatore dell’industria Colorama, da Alessandro poi portata avanti, che hanno poi influenzato la sua sensibilità nella scelta delle opere, dove il colore è appunto sempre centrale. Le opere dalla collezione sono nei cataloghi di Londra prima, come i lotti di Alex Katz (Kim II, 1989, stima £550.000-800.000; Study for Chance, 2000, stima £150.000-200.000; Sissel, 2000, stima £400.000-600.000), poi di Parigi e infine torneranno anche a New York (come Andy Warhol, Jackie, 1964, stima $650.000-850.000). 

Le opere più notevoli?
Un arazzo a quattro mani di Mimmo Paladino e Alighiero Boetti, l’unica collaborazione tra i due artisti, già esposto da Emilio Mazzoli, gallerista di riferimento per Grassi (Senza titolo, 1989-1991, stima €150.000-200.000). Un Gino De Dominicis, con una macchia rossa che si erge su foglia d’argento (Senza Titolo, 1997-1998, stimato €80.000-120.000). E poi un grande cavallo di Mario Schifano (Grande Quadro Equestre Italiano, 1978, stima €150.000-200.000), un soggetto atipico per l’artista, ma di fortissimo impatto, proveniente, anche questo, dalla galleria Mazzoli. 

E quali gli altri highlight, insieme alla Collezione Grassi?
Di certo Ammazzare il tempo di Alighiero Boetti, un lotto costituito da 30 arazzi realizzati in Afghanistan, come dimostrano i colori e i fili naturali impiegati, caldi e setosi. Un ritrovamento straordinario, perché il lavoro è stato conservato, come insieme unico, nella stessa collezione svizzera per circa 40 anni (stima €1.000.000-1.500.000). E poi nel mio cuore c’è un’opera della serie dell’alfabeto di Jannis Kounellis, Senza titolo, del ’59, con collage e scritte e con lettere in rosso sul retro della tela, quindi doppiamente lavorata, e molto rara: se ne trovano di analoghe nei grandi musei internazionali (stima €1.000.000-1.500.000).

Alighiero Boetti e Mimmo Paladino, Senza titolo,1989-91. Courtesy Christie's Images Ltd.
Alighiero Boetti e Mimmo Paladino, Senza titolo,1989-91. Courtesy Christie’s Images Ltd.

Parigi e il 25° anniversario delle aste “Thinking Italian” di Christie’s

Nel 2026 Christie’s celebra il 25° anniversario della sessione Thinking Italian, avviata a Londra nel 2000-2001 e migrata a Parigi nel 2022. Ti emoziona questo traguardo? 
Sì, sono emozionata: è un anniversario che ha attraversato tutto il mio percorso professionale. La prima asta è stata nel 2001, poi nel 2017 si è trasformata in Thinking Italian, con un salto di qualità. Siamo passati da 5 a 40 milioni di sterline come risultato aggregato, seguendo l’esplosione del mercato. E siamo passati da cataloghi più ampi, con 60-70 opere, in vendite dedicate esclusivamente all’arte italiana a una proposta molto più selezionata, ma più internazionale. Ora è tutto focalizzato sui grandi nomi della ricerca artistica italiana, che hanno però una popolarità internazionale e che pertanto sono inseriti in catalogo accanto ai colleghi di tutto il mondo. 

Che contesto, in termini di reattività, dinamismo e risposta dei collezionisti, avete trovato a Parigi? 
Abbiamo spostato l’asta da Londra a Parigi per la sua attrattività, seguendo e, al tempo stesso, orientando gli andamenti del mercato più storicizzato soprattutto. 

Hanno influito anche i cambiamenti e le condizioni fiscali dei due Paesi?
In parte sì, e oggi Parigi è molto più competitiva grazie all’IVA più bassa. Come l’Italia, dove resta però il grande tema dell’esportazione, con una normativa datata, che risale al 1939, e che di fatto blocca il mercato e rende difficile esportare anche artisti come Fontana o Burri. Così si rischia di impoverire l’offerta delle aste italiane, mentre cresce il traffico nero. Sarebbe importante riformare anche questa parte per permettere al nostro mercato di evolvere e di internazionalizzarsi.

Mario Schifano, Grande quadro equestre italiano, 1978. Courtesy Christie's Images Ltd.
Mario Schifano, Grande quadro equestre italiano, 1978. Courtesy Christie’s Images Ltd.

Le riforme per il mercato dell’arte in Italia

Senza questo pezzo rischiamo di restare indietro in ogni caso.
Esatto. È una questione di intelligenza politica: se non cambia questa cornice, continueremo a perdere terreno rispetto ad altri Paesi. Le revisioni sulla fiscalità sono state un passo intelligente, perché altrimenti saremmo stati sempre di più fuori dal mondo dell’arte, mentre ora, con il valore al 5%, lavoriamo con una soglia più bassa rispetto agli altri Paesi europei ed extraeuropei.

Ora serve però un altro passo, per completare il processo.
A questo punto dobbiamo, per poter veramente parlare di internazionalizzazione e competere con gli altri Paesi anche da un punto di vista legale, affrontare il tema di licenze d’esportazione artistica così stringenti e severe, che avranno un impatto preoccupante, nel prossimo futuro, sulle aste e sulla vendita, più in generale, dell’arte italiana storicizzata. 

E infatti tanti operatori, quando la riforma fiscale è andata in porto, hanno evidenziato subito che bisognava affrontare la disciplina sulle esportazioni.
Sì, e spero nell’intelligenza del Governo, nel riconoscere quanto una legge obsoleta oggi sia totalmente anacronistica.

Anche poi nell’impossibilità per lo Stato di far seguire alla notifica una politica di acquisizioni coerente, a beneficio della fruizione pubblica.
In assenza di fondi per acquistare quei beni, si ottiene come risultato quello di perdere la localizzazione di molti capolavori – quando non di alimentare traffici illeciti – che sarebbero preziosi, ad esempio, nell’organizzazione di mostre e progetti scientifici. 

Gino De Dominicis, Senza titolo, 1997-1998. Courtesy Christie's Images Ltd.
Gino De Dominicis, Senza titolo, 1997-1998. Courtesy Christie’s Images Ltd.

Londra, Milano, Parigi: Christie’s e il mercato dell’arte

Torniamo a Parigi, come avete trovato Parigi quando siete arrivati da Londra? 
Parigi per me, personalmente, è stata una grande gioia, per la mia passione per la cultura francese – io sono laureata in letteratura francese – e anche per l’accoglienza del team francese, per lo spirito collaborativo con cui abbiamo inaugurato questo percorso, anche grazie a una certa vicinanza umana, di indole, che ha creato da subito una grande empatia. Poi ovviamente sul piano più sistemico in quel momento Art Basel arrivava a Parigi, molti italiani hanno iniziato ad andare meno volentieri a Londra, per cui abbiamo potuto contare subito su un parterre di amici molto numeroso e presente. Il nostro pubblico è oggi composto per circa il 30% da italiani, il 30% da europei, il 30% da americani e un 10% da Medio Oriente e Asia.

Non solo Londra, ma anche Milano ha dovuto rinunciare però alla sua Thinking Italian. C’è qualcosa in serbo per la città?
Per ora posso dirti che lanceremo un’iniziativa dedicata proprio ai legami tra Francia e Italia. Non sarà un’asta, ma un’esposizione di vendita privata, che si terrà a Milano. Attraverso / À Travers – Italian and French Art in Dialogue raccoglierà, dall’11 novembre al 5 dicembre 2025, artisti che hanno lavorato e si sono incrociati tra Francia e Italia: e quindi, artisti italiani vissuti in Francia, francesi vissuti in Italia, con reciproche influenze. Da Picasso a Severini e a Balla, a tanti altri che hanno intrecciato i due mondi.

Qual è, invece, il tuo pensiero su come va oggi il mercato dell’arte rispetto al passato?
Io credo che il mercato dell’arte non sia in crisi, al contrario di quanto si sente dire. Perché la qualità non conosce crisi. I momenti di reale difficoltà sono stati altri, non è la congiuntura attuale, ma quei frangenti, nel passato, in cui nemmeno la qualità indiscussa dei beni garantiva le vendite. 

Per esempio quando?
La crisi più grande che io ho visto è stata quella del 1989-90, con il crollo dello yen che ha influenzato l’intero mercato. Oggi le valute oscillano e il loro potere si alterna, compensando eventuali debolezze. E la qualità si vende sempre. 

Bisogna però riconoscere che delle difficoltà sono oggettivamente presenti, e se non altro obbligano a stare in allerta e a metter in campo strategie adatte, o mi sbaglio?
Quello che è cambiato è che bisogna saper calibrare al meglio le aste, e non sovraccaricare il mercato con troppe opere. Quello che chiamiamo comunemente “crisi” in realtà è meno fatturato, dovuto a una scelta consapevole di proporre meno opere per non saturare il mercato.

Anche la flessione dei numeri non indica necessariamente una contrazione, dici? 
Sì, perché significa che si sono gestite magari meno opere, ma per venderle come meritano. E le percentuali di venduto, che restano alte, lo confermano. 

A Hong Kong a fine settembre è successo questo?
Sì, ed erano aste che ci facevano un po’ paura, perché erano le prime della stagione e il loro andamento poteva influenzare quelle future. Alla fine sono andate benissimo: Picasso è stato venduto a un prezzo record per l’Asia, Chagall per il doppio della stima iniziale. E le aste hanno avuto percentuali di venduto attorno al 96-98%. 

Cosa mette al riparo da rischi di invenduto, oggi? 
L’esperienza, nel saper navigare il mercato e nel saper lavorare bene sulle stime. Perché ora gli errori non vengono perdonati. In passato magari avveniva sempre un “miracolo”, e un’opera che pensavi di non vendere trovava, in modo imprevisto, un acquirente. Oggi non è più così: tutto deve essere calibrato con grande sapienza.

Jannis Kounellis, Senza titolo, 1959. Courtesy Christie's Images Ltd.
Jannis Kounellis, Senza titolo, 1959. Courtesy Christie’s Images Ltd.

Investimenti e digitale. Le nuove generazioni di collezionisti

E i collezionisti? Come li hai visti cambiare negli ultimi anni?
La grande differenza che noto è la mancanza di dialogo. Oggi c’è più la tendenza a vedere l’arte come bene rifugio, o come uno status symbol anche, piuttosto che come una grande passione e un’occasione di confronto. In passato, invece, c’era un dialogo continuo tra artista, gallerista e collezionista. Era uno scambio di idee, intellettuale, una vera occasione culturale. Questo oggi manca un po’.

Forse anche i valori economici raggiunti dall’arte hanno influenzato gli acquirenti e l’ottica dell’acquisto come investimento, ma credi che anche la dimensione online abbia alterato i comportamenti?
Sì, anche con alcune dinamiche digitali la fisicità delle relazioni si è persa. E con quella i momenti di confronto spontaneo, di discussione, perfino di leggerezza, che erano parte integrante della crescita culturale e dell’esperienza dell’arte.

Lasciando, in chiusura, per un momento da parte il mondo del mercato secondario e dell’arte più storicizzata, cosa ti convince sul fronte più contemporaneo della ricerca artistica? Cosa guardi, se ne guardi? 
Io colleziono solo arte contemporanea! La trovo più difficile, ma anche più stimolante. Ci sono tante proposte, e per me è una sfida capire chi ha davvero qualcosa da dire, oltre l’estetica. Inoltre attiva quello scambio di idee con gli artisti, di cui dicevamo: parlare con loro, ascoltarli, interpretarli, verificare e capire se ho colto il loro messaggio.

Un confronto che continua a motivarti.
Sì, e poi mi piace vivere con le opere d’arte contemporanea: penso che ci si debba circondare di ciò che piace, non di ciò che un giorno potrà rendere ricchi. Io scelgo perché mi diverte avere quell’opera in casa, perché guardarla mi fa sorridere, o mi crea disagio, perché mi suscita un’emozione profonda. L’importante è che smuova qualcosa, che mi ricordi o che mi rappresenti. Per fortuna il mio lavoro mi espone continuamente ai capolavori moderni, ma il contemporaneo mi rappresenta, ecco.

E di quello ti circondi.
Assolutamente sì, e a casa mia vivo con le opere contemporanee, perché parlano del nostro tempo.

Cristina Masturzo

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Cristina Masturzo

Cristina Masturzo

Cristina Masturzo è storica e critica d’arte, esperta di mercato dell’arte contemporanea, art writer e docente. Dal 2017 insegna "Economia e Mercato dell'Arte" e "Comunicazione e Valorizzazione delle Collezioni" al Master Accademico in Contemporary Art Markets di NABA, Nuova Accademia…

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