Fra Dostoevskij e Agenzia delle Entrate. Parla il commercialista Franco Broccardi

Mercato e gallerie d’arte: quali strategie economiche dovrebbero essere messe in campo per combattere la crisi delle piccole e medie gallerie?

Per Dostoevskij “fare un nuovo passo, dire una nuova parola, è ciò che la gente teme di più”, eppure ciò è inevitabile e necessario. Niente è mai come prima, tutto cambia e il mondo dell’arte non è esente. Cambiano i meccanismi del mercato e basta parlare di blockchain per averne solo un indicatore; cambiano gli attori perché la finanziarizzazione ha modificato il modo di pensare l’arte; cambia l’arte stessa se si pensa, ad esempio, a come cambiano i media e alla corsa verso il nuovo sapere, scienza e tecnologia.
L’attività delle gallerie è sempre stata quella del commercio, certamente, ma soprattutto di essere talent scout, osservatori di nuove visioni, promotori dell’arte e dei suoi nuovi valori, premiando coloro che possedevano intuizione e passione. Ma oggi tutto questo è ancora vero? A quali condizioni il futuro del mercato passerà ancora dalle gallerie? E infine: come può la politica agevolare queste ultime nello svolgere il proprio ruolo in un sistema globale?
La condizione per la sopravvivenza è il rinnovamento. Questo vale sia per la struttura delle gallerie, sia per l’investimento che le istituzioni devono operare in un settore che in Italia è già in ritardo. Servono norme certe e non penalizzanti, moderne, che vadano a semplificare un mondo divenuto sempre più complesso e competitivo.
Da un lato la presenza “fisica” delle gallerie rimane imprescindibile. Queste devono però farsi luoghi di proposizione e inclusivi, farsi impresa, istituzioni culturali. Promuovere valori artistici con un linguaggio che non può avere le caratteristiche sofisticate di una clientela d’élite ma stabilire un rapporto personale con nuove generazioni di collezionisti/clienti.
D’altro canto, il mercato vive anche dell’ubiquità della Rete. Negli ultimi dieci anni la quasi totalità delle case d’asta ha aperto un sito e buona parte accetta offerte online. Nel 2005 erano solo il 3%. Le trattative concluse tramite siti sono cresciute in maniera esponenziale e anche le gallerie dovranno fare i conti con questa realtà che di virtuale, a ben vedere, ha solo l’infrastruttura e che può garantire un’impressionante presenza.

MERCATO E GALLERIE

Oggi chi opera nel mercato dell’arte gioca in un campo globale; chi lo fa fisicamente partecipando a fiere, chi, strutturalmente, aprendo una propria sede all’estero e chi, come detto sopra, approfitta della visibilità della net economy. Solo così si può pensare a una reale crescita, ma con l’azione combinata di questi diversi fattori, mettendo in atto una strategia ben precisa.
In Italia assistiamo alla crisi delle piccole e medie gallerie, che faticano ad assimilare i nuovi paradigmi. Se da un lato stiamo procedendo verso una concentrazione del mercato, una polarizzazione obbligata dai crescenti costi di gestione (si pensi alla necessaria presenza alle fiere così come, solo per fare un esempio, ai costi per l’assolvimento a obblighi normativi come privacy e sicurezza) dall’altro la necessaria presenza online obbliga gli operatori a ripensare radicalmente il marketing mix delle proprie imprese.
Tutto questo nel contesto italiano sconta una penalizzazione dovuta a una legislazione che non permette alle gallerie di essere concorrenziali rispetto a chi opera al di fuori dei confini nazionali. Chiarezza normativa, semplicità nell’applicazione, abbassamento dell’interpretabilità delle norme garantirebbero uno sviluppo del settore, l’emersione di transazioni che, ad oggi, rimangono in un sottobosco ammantato di convenienza ma che non fa il bene del mercato. Un mercato in cui – tra regime del margine, diritto di seguito e altri ammennicoli – il prezzo finale non è mai certo e le conseguenze dell’acquisto lo sono ancora meno. In cui Agenzia delle Entrate e SIAE non hanno certamente aiutato a venire a capo delle complessità del sistema.

DEFISCALIZZARE E SEMPLIFICARE

Il contesto nazionale nel suo complesso risulta scoraggiante per chi voglia operare in questo settore e non attrae investimenti dall’estero. Mentre sarebbe auspicabile una defiscalizzazione della materia, è ancor più necessario un programma di semplificazioni che favorisca e snellisca le transazioni, trasformando l’attuale sistema in uno semplice da conoscere e applicare. Questo significa muovere le leve fiscali per favorire gli scambi e farli emergere dalle acque melmose in cui troppo spesso navigano. Operare sull’aliquota IVA sulle importazioni anche per soggetti non residenti così come, sul modello dell’Art Bonus, riconoscere un credito d’imposta a chi investa in opere di artisti viventi esibite al pubblico darebbero una decisa sferzata al sistema quanto detassare i ricavi derivanti da cessione di opere d’arte se reinvestiti in altre opere o regolamentare la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di opere o applicare una esenzione sui ricavi derivanti dalla cessione di opere a musei, biblioteche e archivi pubblici. Ma anche agire, ad esempio, per la creazione di settori bancari specializzati nel finanziamento degli operatori così come dell’art lending, incentivando l’imprenditoria e l’educazione culturale.
Da Dostoevskij a Yoda una cosa però non è cambiata: “Fare o non fare, non c’è provare”. E sarebbe anche ora.

Franco Broccardi

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #47

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Franco Broccardi

Franco Broccardi

Dottore commercialista. Esperto in economia della cultura, arts management e gestione e organizzazione aziendale, ricopre incarichi come consulente e revisore per ANGAMC, Federculture, ICOM, oltre che per musei, teatri, gallerie d’arte, fondazioni e associazioni culturali. È coordinatore del gruppo di…

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