Fisco. Un’opportunità per il mercato dell’arte

Che cosa prevede la normativa fiscale per il mercato dell’arte in Italia? Dalle successioni alle imposte, un focus dettagliato.

Il mercato italiano dell’arte cresce in misura modesta e comunque minore rispetto al mercato mondiale. L’anacronistica disciplina fiscale è senza dubbio una delle ragioni di tale stagnazione. Per converso, una fiscalità equa e adeguata ai tempi può rappresentare uno strumento efficace di sviluppo del settore. Diversi sono i profili della normativa fiscale che hanno impatto sul mercato delle opere d’arte e possono risultare strategici nell’ambito di una politica che ambisca a favorire la crescita dell’intero comparto culturale.

IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO

Le cessioni di opere d’arte sono soggette a IVA se poste in essere nell’esercizio d’impresa o di arti e professioni, mentre le transazioni tra privati non sono soggette al tributo. Quanto all’aliquota applicabile, attualmente le vendite di opere d’arte effettuate dall’autore o dai suoi eredi o legatari scontano l’IVA del 10%. La stessa aliquota si applica all’importazione di opere d’arte e da collezione. Negli altri casi, per esempio per la vendita di un’opera d’arte effettuata da una galleria a un privato, le cessioni sono imponibili con l’aliquota ordinaria del 22%. Peraltro, la normativa europea in materia di aliquote IVA – che, com’è noto, limita la libertà di azione del legislatore nazionale – consentirebbe all’Italia di ridurre dal 10 al 5 per cento l’aliquota applicabile alle importazioni di opere d’arte e alle vendite effettuate dall’autore o suoi eredi. Tale misura, in realtà, era prevista in una bozza dell’ultima Legge di Bilancio, ma è stata poi accantonata. In ogni caso, posta la natura comunitaria di tale tributo, una revisione del sistema di tassazione ai fini IVA delle opere d’arte va coordinata a livello europeo.
Sotto questo profilo, occorre segnalare che la Proposta di modifica della Direttiva 2006/112/CE pubblicata il 18 gennaio scorso dalla Direzione Generale della Fiscalità e Unione Doganale della Commissione Europea contiene un’importante novità, in quanto sostituisce l’attuale elenco di beni e servizi cui possono essere applicate aliquote ridotte con un elenco “negativo” di operazioni alle quali non possono essere applicate aliquote ridotte, e in questo nuovo elenco figurano le cessioni di opere d’arte. Se tale proposta andasse in porto, rappresenterebbe un ostacolo a una vera politica di incentivazione fiscale del mercato delle opere d’arte. È auspicabile che in sede di comitato IVA vengano approfondite le ragioni tecniche di tale scelta per evitare che, proprio nel 2018, celebrato come Anno Europeo della Cultura, si introduca una normativa penalizzante per lo sviluppo del settore culturale.

Diversi sono i profili della normativa fiscale che hanno impatto sul mercato delle opere d’arte e possono risultare strategici nell’ambito di una politica che ambisca a favorire la crescita dell’intero comparto culturale”.

Altro profilo critico è quello relativo all’imposta sulle successioni applicabile al trasferimento di opere d’arte per successione. L’imposta si applica sul valore netto dell’eredità secondo aliquote differenti stabilite in relazione al rapporto di parentela esistente tra defunto e beneficiario del trasferimento. Esse variano dal 4 all’8%, ma per i coniugi e i parenti in linea retta è prevista una franchigia di un milione di euro (la franchigia è pari a 100mila euro per fratelli e sorelle e a 1.5 milioni di euro per beneficiari portatori di handicap).
Le opere d’arte dichiarate “beni culturali” in base alle norme del Codice dei beni culturali (D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) prima della morte del proprietario, sono escluse dall’attivo ereditario a condizione che siano stati assolti gli obblighi di conservazione e protezione. Spetta, invece, una riduzione di imposta del 50% del valore dei beni qualora gli stessi non siano stati sottoposti a vincolo anteriormente all’apertura della successione.
Per le opere d’arte cadute in successione occorre tener conto di una norma specifica per la quale si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo minore, salvo che da inventario analitico redatto ai sensi del codice di procedura civile non ne risulti l’esistenza per un importo diverso. A tale riguardo, si considera “mobilia” l’insieme dei beni mobili destinati all’uso o all’ornamento delle abitazioni.
Si tratta della cosiddetta presunzione di appartenenza all’attivo ereditario di denaro, gioielli e mobilia nella misura del 10% dell’attivo stesso. Il legislatore, infatti, in considerazione del facile occultamento di tale genere di beni, ne presume l’esistenza in ragione di una percentuale dell’attivo, sebbene si tratti una presunzione che può essere vinta dal contribuente mediante la redazione di un inventario.
Tale regola, tuttavia, comporta una disparità di trattamento tra le opere d’arte appartenenti al deceduto che erano destinate a ornamento dell’abitazione (che beneficiano della presunzione del 10%) e le opere d’arte situate in gallerie, musei, mostre o che siano custodite nei caveau delle banche, alle quali la suddetta presunzione non si applica.
È evidente che questa disciplina obsoleta induce i collezionisti a destinare le opere d’arte a ornamento delle loro abitazioni e quindi disincentiva la libera circolazione delle stesse.

Si avverte l’assenza, per il mercato dell’arte, di una normativa tributaria chiara e coerente”.

In via di principio, la compravendita di opere d’arte effettuata dal privato collezionista non comporta imposizione tributaria, qualora il collezionista non agisca nella veste di imprenditore, vale a dire non eserciti “per professione abituale” una delle attività elencate dall’art. 2195 del Codice Civile, tra le quali è compresa quella di intermediazione nella circolazione di beni.
A questo riguardo, si distingue la categoria del collezionista – che compra e vende opere d’arte per soddisfare il proprio interesse ad ampliare e modificare la collezione di opere d’arte – da quella del “mercante d’arte”, che investe professionalmente in opere d’arte per trarre profitto dalle operazioni di acquisto e vendita sul mercato.
La giurisprudenza ha individuato una serie di circostanze in presenza delle quali si può ritenere che l’acquisto e la vendita di opere d’arte realizzi un’attività commerciale: carattere continuativo dell’attività, rilevanza del business, mancanza di altri redditi, breve lasso di tempo tra l’acquisizione e la cessione del bene, svolgimento di attività dirette a incrementare il valore del bene.
Posto che gli utili realizzati dal collezionista “privato”, che non agisca nell’esercizio d’impresa, sono di regola irrilevanti ai fini fiscale, tuttavia, può accadere che – nonostante l’assenza di una effettiva attività organizzata in forma d’impresa – il commercio di opere d’arte posto in essere da collezionisti realizzi una “attività commerciale occasionale” produttiva di “Redditi diversi” soggetti a IRPEF, secondo l’art. 67, lett. i), del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, come “redditi derivanti da attività commerciale non esercitata abitualmente”. Il verificarsi di tale circostanza va accertato caso per caso avendo riguardo alle caratteristiche dell’operazione e tenendo presenti i criteri interpretativi elaborati dalla giurisprudenza e dalla prassi.
In primo luogo, deve escludersi che le operazioni di mera dismissione di opere d’arte ricevute per effetto di successioni o donazioni integrino un’attività commerciale occasionale. Infatti, per potersi parlare di intermediazione nella circolazione di beni, è necessario che i beni venduti siano stati acquistati a titolo oneroso.
Sebbene la norma in esame faccia riferimento a una “attività”, la condizione dell’esercizio di attività commerciale può verificarsi anche in caso di svolgimento di un singolo atto di compravendita se caratterizzato da complessità di organizzazione e rilevanza del reddito. Anche la presenza di un’attività di promozione del bene svolta dal collezionista durante il periodo di detenzione del bene può essere sintomatica di un’attività commerciale occasionale.
Nel corso di un convegno tenutosi a Milano, un alto esponente dell’Agenzia delle Entrate ha enumerato una serie di circostanze rivelatrici del carattere commerciale dell’attività: atti preparatori per reperire fondi per l’acquisto delle opere, iniziative dirette ad accertare l’autenticità e il valore della collezione oppure la conservazione e il restauro del bene, la stipula di una polizza, la custodia in un caveau, la catalogazione, la promozione mediante mostre, e in genere tutti gli atti diretti a incrementare il valore del bene.
Peraltro, il contribuente può presentare all’Amministrazione finanziaria una richiesta di interpello per avere certezza sulla tassabilità dell’operazione se sussista oggettiva incertezza circa la qualificazione fiscale della fattispecie.
Quanto alla determinazione del reddito imponibile, in base all’art. 71 del Testo Unico delle imposte sui redditi il reddito derivante da attività commerciali occasionali è costituito dalla differenza tra l’ammontare ricevuto nell’anno e le spese connesse alla produzione del reddito, con la precisazione che l’ammontare delle spese non può eccedere l’ammontare del reddito percepito.
Secondo l’orientamento prevalente, l’indeterminatezza della disciplina e le incertezze interpretative potrebbero essere superate con l’introduzione di un regime analogo a quello previsto per i capital gain derivanti dalle operazioni su titoli o per le plusvalenze immobiliari, prevedendo, ad esempio, la tassazione della plusvalenza da cessione di opere d’arte qualora la vendita intervenga entro un determinato periodo di tempo dall’acquisto e tenendo conto delle spese sostenute. In alternativa, potrebbe applicarsi una tassazione forfetaria del prezzo di cessione, con una riduzione progressiva della base imponibile in ragione degli anni trascorsi.

CONCLUSIONI

In conclusione, si avverte l’assenza, per il mercato dell’arte, di una normativa tributaria chiara e coerente. Il legislatore italiano ha, in verità, manifestato segnali di interesse per il settore prevedendo una riforma in materia di circolazione delle opere d’arte e predisponendo una proposta di revisione dei reati contro il patrimonio artistico.
Sul fronte fiscale, lo scorso autunno si era paventata una riforma della tassazione dei proventi derivanti dalla compravendita di opere d’arte che appariva più diretta a recuperare gettito per l’Erario che non a introdurre un regime equo e incentivante, in quanto prevedeva una indiscriminata tassazione della compravendita delle opere d’arte ed equiparava le operazioni poste in essere dai collezionisti a quelle realizzate da meri speculatori.
Ci si augura che quell’approccio errato sia stato definitivamente superato e che il legislatore fiscale si orienti finalmente verso una politica di effettivo sostegno di questo settore strategico per l’Italia.

Federico Solfaroli Camillocci

Sintesi dell’articolo pubblicato su Tafter Journal il 15 gennaio 2018

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #44

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Federico Solfaroli Camillocci

Federico Solfaroli Camillocci, tax advisor, già in UniCredit Tax Affairs, si occupa da anni di fiscalità delle attività e dei beni culturali. È autore con Stefano Monti di “Industrie culturali e fisco – Una guida facile” (TAB Edizioni, 2020) e…

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