Museo come luogo dell’empowerment di comunità. Nuovo incontro del ciclo Open Doors a Brescia

Il ciclo di talk organizzato da Fondazione Brescia Musei ci porta a conoscere un nuovo, fondamentale ruolo dell'istituzione: quello che spinge il pubblico a rivendicare un ruolo al suo interno. Ne abbiamo parlato con il vicepresidente della Museums Association Simon Brown

E se il museo non fosse solo un luogo di conoscenza ma anche uno strumento di realizzazione di sé? Questa la promessa racchiusa nel terzo incontro delle talk Open Doors organizzate da Fondazione Brescia Musei insieme a Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali e al Network of European Museum Organizations. Dedicato a La partecipazione che crea possibilità, l’incontro individuerà una serie di punti chiave attraverso cui realizzare un percorso di empowerment delle comunità di riferimento dei singoli musei e i benefici che ne derivano per entrambe le parti. L’appuntamento, che si terrà il 15 giugno alle 16.30 online e all’auditorium Santa Giulia a Brescia, aprirà alle istituzioni la possibilità di creare nuovi dialoghi culturali fungendo da vettore di promozione della comunità e dei suoi membri.

Abbiamo chiesto al vicepresidente della Museums Association, l’organizzazione britannica che supporta i musei socialmente impegnati e i loro dipendenti, Simon Brown – già curatore alla Newstead Abbey di Nottingham dove nacque Lord Byron – di raccontarci come si possa instaurare questo rapporto di cooperazione e fiducia.

Simon Brown

Simon Brown

OPEN DOORS: PARLA IL VICEPRESIDENTE DELLA MUSEUMS ASSOCIATION SIMON BROWN

L’empowerment è un concetto che include l’emancipazione, la responsabilizzazione e il raggiungimento di un pieno potenziale: ma cos’è in ambito museale, e come funziona?

L’empowerment sociale dà potere a una comunità, ne recepisce gli stimoli e le necessità per poi restituirle a un ambito collettivo di dialogo. Si tratta di uno strumento chiave per i musei, e deve esserne il cuore. Per fare un esempio di come funzioni, l’abbiamo usato alla Newstead Abbey, dove sono curatore, per catturare sia il pubblico sia gli artisti in un discorso aperto sull’arte nera e il ruolo della comunità nera nella storia della città e dell’istituzione. Ne è scaturita una vera azione antirazzista ad altissimo coinvolgimento.

Una prospettiva non comune in Italia: potrebbe essere importabile?

Questo modello potrebbe assolutamente funzionare in Italia, ma è cruciale regolarsi con la governance e i fondi. In UK i grant e gli heritage fund attribuiscono dei fondi specifici per dare potere alla comunità. Per il resto, in Italia, ho notato dai colleghi che lavorano nei musei in crescente sviluppo che le istituzioni culturali sono un riflesso della comunità: se hai quell’approccio hai tutte le basi per l’empowerment.

In cosa l’empowerment è diverso dalle strategie di coinvolgimento tradizionali?

Prima i musei si consultavano con il pubblico e poi prendevano le decisioni da soli: ora le decisioni le prende davvero il pubblico. Vogliamo cedere il potere alle comunità. Alla Newstead Abbey ho parlato con artisti e cittadinanza con l’impegno di raccogliere e mettere in pratica tutto quello che arrivava da loro senza scremare con il mio giudizio. Stessa cosa con le Open Exhibit, mostre a cui chiunque volesse poteva mandare le proprie opere: abbiamo messo in mostra tutto ciò che ci è arrivato con una curatela davvero minima.

Museums Change Lives

CC Museums Change Lives

Come si coinvolge il pubblico che non sia già affezionato al museo o non abituato ad andarci?

Anche se il pubblico inglese si sta sempre più abituando a far sentire la propria voce, questo non è necessario e non è universale perché l’empowerment funzioni. Con il National Justice Museum di Nottingham, di cui ero project curator, avevamo messo al centro dell’ethos il coinvolgimento di persone che non venivano al museo. Per farlo, prendevamo e portavamo oggetti della collezione negli spazi pubblici e nelle biblioteche chiedendo alla gente cosa ne pensasse. Tutti avevano qualcosa da dire.

Il rischio millantato di voler “riscrivere la storia” può scoraggiare i musei ad aprirsi a nuove interpretazioni non professionali?

Capisco perfettamente, ma non ci deve essere paura di riscrivere perché non abbiamo una storia completa di niente. La missione è quella di riportare diverse interpretazioni della storia passata imparando gli uni dagli altri.

L’empowerment è uno strumento utilizzabile anche dai musei più tradizionali?

Assolutamente, l’ho visto accadere. Anche i musei con gli staff più rigidi quando vedono gli effetti positivi che queste strategie portano, cambiano idea: il documento Museums Change Lives (disponibile online a questo indirizzo) presenta esempi di musei che fanno questo lavoro con le loro comunità e riporta i più meritevoli che hanno vinto i relativi premi, ne parlerò in conferenza. Quando incontriamo resistenze – e accade – basta farli parlare con chi cambia il paradigma e mostrargli quanto cambia la situazione. Gli si illuminano gli occhi.

– Giulia Giaume

www.bresciamusei.com/

www.museumsassociation.org/

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Giulia Giaume

Giulia Giaume

Amante della cultura in ogni sua forma, è divoratrice di libri, spettacoli, mostre e balletti. Laureata in Lettere Moderne, con una tesi sul Furioso, e in Scienze Storiche, indirizzo di Storia Contemporanea, ha frequentato l'VIII edizione del master di giornalismo…

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