“Ogni Biennale dovrebbe essere una Triennale”. Ecco come fare
No, niente paura: non si propone di cambiare la tempistica della mostra che va benissimo ogni 24 mesi. Si propone piuttosto di modificare radicalmente i ritmi di nomina del curatore
“Ogni Biennale di Venezia dovrebbe essere una Triennale come quest’anno” era la frase che si è sentita non di rado saltare di bocca in bocca presso gli addetti ai lavori durante i giorni di apertura e inaugurazione della rassegna curata da Cecilia Alemani.
Perché questa istanza? Perché l’anno aggiuntivo avuto in dotazione da Alemani per la preparazione della mostra, lo studio, la ricerca, il fund raising si è percepito tutto. Rassegna più minuziosa, catalogo accuratissimo e articolato, un approfondimento curatoriale che ha avuto tempi meno infami per dipanarsi.
Chiaramente si è arrivati anche stavolta all’ultimo istante per terminare allestimenti e montaggio, ma questo è semmai ascrivibile alla drammatica situazione in cui versa il mondo della logistica e dei trasporti: per il resto, l’anno che la pandemia – e dunque il rinvio della Biennale che si sarebbe dovuta svolgere nel 2021 – ha regalato ad Alemani ed al suo team si è potuto apprezzare con beneficio di tutti: chi ha lavorato alla mostra e chi la deve fruirne come addetto ai lavori o come visitatore.
TRASFORMARE LA BIENNALE IN TRIENNALE?
E quindi “every biennial should be triennial” andavano ripetendo giornalisti, critici e direttori di museo. E pure qualche artista. Ma perché non farlo davvero? Tranquilli, non si propone di cambiare la cadenza alla mostra. Una mostra internazionale ogni 24 mesi è un ritmo idoneo, oltre che inscalfibilmente tradizionale. A diventare triennale potrebbe (dovrebbe!) essere l’incarico affidato al curatore: non ci vorrebbe poi molto, anche senza attendere la prossima pandemia… Basterebbe nominare il curatore dell’edizione successiva quando quella in corso ancora non si è inaugurata. Per la Biennale del 2024 si sarebbe dovuto incaricare il nuovo responsabile già nel 2021 o al massimo ai primissimi del 2022. Esattamente come è avvenuto per Alemani, nominata a gennaio del 2020 per una mostra che si è poi tenuta ad aprile 2022.
NOMINARE IL CURATORE DELLA BIENNALE IN ANTICIPO
È evidente insomma – anche vista la complessità del panorama contemporaneo e la necessità di dar conto delle ricerche artistiche che si svolgono ai quattro angoli del pianeta e non più meramente in occidente – che il tradizionale anno anno e mezzo di tempo non basta più e obbliga a lavorare talvolta in maniera approssimativa, non sostenibile, ansiogena, rinunciando a approfondimenti o viaggi di studio. Certo ci sarebbe un rischio: il curatore della Biennale in corso dovrebbe lavorare e inaugurare la sua mostra sotto l’occhio attento (vigile, critico, benevolo?) del già nominato curatore della mostra successiva. Ma sarebbe davvero un rischio? O forse un’opportunità? In ogni caso se la cosa venisse considerata inopportuna, il nuovo curatore potrebbe essere nominato proprio in occasione dell’inaugurazione: nell’ambito delle cerimonie di apertura, uno degli appuntamenti potrebbe essere l’incoronazione del curatore successivo il quale, per lo meno, avrebbe a disposizione due anni pieni di lavoro. La nomina, peraltro, costituirebbe un contenuto aggiuntivo atto a rinforzare i giorni di opening, come avviene per l’assegnazione dei Leoni.
E invece, chissà perché, dovremmo attendere il prossimo dicembre o gennaio nominando un professionista che in tutta onestà non avrà i tempi adeguati per lavorare in maniera pienamente accurata. Salvo che il presidente della Fondazione Biennale Roberto Cicutto, personaggio non scevro da coraggio e voglia di innovare, non si faccia convincere da queste riflessioni.
– Massimiliano Tonelli
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