Vincenzo Cabiati / Surplace Palestra – Polline

Informazioni Evento

Luogo
SURPLACE ART SPACE
via San Pedrino 4, Varese, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

su appuntamento al 3491746870

Vernissage
30/03/2025

ore 17

Artisti
Vincenzo Cabiati
Generi
arte contemporanea, personale, collettiva

Due mostre: la mostra personale di Vincenzo Cabiati e Surplace Palestra, il nuovo format espositivo di Surplace che inaugura con la collettiva Polline.

Comunicato stampa

VINCENZO CABIATI

Filosofo di cipria

Una porcellana e un disegno

30 Marzo - 3 Maggio 2025

Surplace presenta “Filosofo di cipria” una mostra di Vincenzo Cabiati che prende il titolo dalla serie di opere esposte presso la galleria Mazzoli di Modena nel 2023. Realizzate nel periodo 2020-2022, in queste opere emerge un’iconografia che deriva e si ispira, come spesso nell’opera di Cabiati, alle storie dell’arte e dell’architettura, e alle storie del cinema. Da Surplace è presente un lavoro che si riferisce direttamente all’opera di Peter Fischli/David Weiss, alle loro bizzarre storie minime e banali, ad esempio a quelle realizzate in argilla, trattate nella serie aperta all’inizio degli anni’80 “Plötzlich diese Übersicht / Suddenly this Overview”, opere in cui ci si chiede cosa è importante e cosa no. Frammenti di storie all’apparenza trascurabili, colte tra finzione e realtà, per votarsi alla narrazione surreale, alla creazione di una reliquia o ex-voto quasi. In un passaggio/paesaggio dalle suggestioni transizionali, da cui partire per ri-presentarle, l’opera di Vincenzo Cabiati riscrive, cambiandone il medium, un fotogramma preciso di un loro film. Si mette in relazione dialettica con le opere “Der Geringste Widerstand” del 1981 e “Der Rechte Weg” del 1983, in cui un ratto e un orso antropomorfi, un po’ fuori scala (rat è Peter Fischli, bear è David Weiss), si muovono in diversi scenari come inaspettati spettatori-attori che attraversano incuriositi il mondo. I due ambigui animali-filosofi intraprendono un viaggio esplorativo ed educativo, un assurdo Gran Tour, vagando alla ricerca di una chiave di lettura delle regole del mondo civile, esplorando le leggi dell’universo, ma sono solo due maschere, uomini/animali, che si interessano e interrogano sulle proprietà delle leggi della natura, registrando a tratti una parodia di una storia di improbabili e confusi detective. Cabiati li coglie e modella persi in contemplazione estatica di un paesaggio fiabesco sul bordo di una piscina. Una palmetta. Forme antropomorfe e organiche in stato di trasformazione, forme sfiorate dalla luce, presentano la loro fragilità, intimità psicologica e vulnerabilità. Qui la plasticità che formalizza il frame, è anche quella della luccicanza che nobilita la materia, data dal lustro della porcellana, una preziosità cangiante alla luce. La porcellana, con quella luce ancestrale e quasi psichedelica che emana, Cabiati dice che è “come uno schermo… è meravigliosa per assecondare le immagini che arrivano dal cinema”.

Il codice espressivo è ancora quello plastico della scultura, del modellare, ma translitterato. Cabiati ne registra anche la provvisorietà, sopratutto la fragilità, rimarcando al contempo l’ironia e il paradosso del tema scelto. Come in un reenactment l’opera, si adagia sul modello narrativo prescelto e se ne appropria distaccandosene, per congelare la storia in un istante, sospenderla in una posa, con un taglio deciso del suo scorrimento, che blocca la diegesi, rievocando così il racconto con un frammento e con la libertà di inserire anche digressioni personali, visioni inedite per ridisegnare la rappresentazione, riformularla.

Il titolo della sua serie, filosofo di cipria, è un riferimento al pulviscolo creato durante la produzione della porcellana, trasformato nella mente dell’autore in una nuvola di cipria profumata che avvolge le sue figure decantate in una leggera un’atmosfera sognante. Un pulviscolo che è la metafora di un pensiero leggero, un pulviscolo di pensieri leggeri. Le sue sculture di porcellana (anche la ceramica policroma è per Cabiati un medium privilegiato) generalmente sono evocazioni e “appropriazioni”di immagini, sono una storia critica, nuove riflessioni e commenti, voci fuori campo, sono frame suggestivi appartenenti alla cultura comune, esaminate e indagate, quasi interrogate. Con decisa mutabilità e interpretazione ne rinnova l’immaginario, lo sguardo che le riscrive è però quello anti-narrativo, la sua immagine nasce da un’idea, da una scelta. L’immagine è un fotogramma, che fissando l’istante lo rende estatico, come se fosse andato a rendere plastico un determinato momento per portarlo ad un certo grado di intensità, per sottolinearne il suo senso profondo, quasi il suo punctum direbbe Barthes. C’è una sospensione e una dialogo tra la stasi e il movimento, la sua scultura sembra proprio collocarsi nel tempo impalpabile che divide il prima e il dopo, nella congiunzione-dialogo di un momento congelato nel tempo. Un’immagine ricordo. Una pausa.

Poi il disegno, realizzato nel 2025. Mai come un sottoposto, ma un esercizio di potenziamento, a volte di studio, ma sempre autonomo, con i suoi tempi e le sue dimissioni di attesa, di meditata registrazione dei segni, lento e appassionato, che racconta sempre qualcosa di cinematico, un disegno che a volte apre e a volte chiude il film.

Luca Scarabelli

Vincenzo Cabiati è nato a Vado Ligure (SV). Vive e lavora a Milano. Si è formato nello studio del padre Achille, pittore che dagli anni Quaranta ha aderito al realismo e alla fine degli anni Ottanta si è trasferito dalla Liguria a Milano. Nelle sue opere attinge a un variegato repertorio iconografico fatto di arte, cinema e architettura, da cui preleva frammenti significativi, astraendoli dal contesto originario e attribuendo loro un rinnovato valore poetico e affettivo. Ha esposto presso Galleria Mazzoli a Modena, Villa delle Rose a Bologna, Museo della Ceramica di Savona, MASI e Museo Cantonale d’Arte di Lugano, Assab One, Studio Marconi, Galleria Massimo De Carlo di Milano, Galleria Mazzoli di Modena, Galleria Continua di San Gimignano, Museo Internazionale Design Ceramico, Laveno Mombello (VA), Certosa di San Lorenzo, Padula (SA), FRAC Corsica e FRAC Montpellier, Francia.

POLLINE
30 Marzo - 3 Maggio 2025

CAMILA BRACI

Nidino per scarabei (infra-strato), DAS, acrilico, legno e colla, 2024

BEATRICE GAVARINI

11 stelle in un cielo terso, sepali di pomodoro, 2024

ELISA PINI

Eden (Dalle ombre dei lenti nei boschi), acrilico e olio su tela, 2025

Il polline è nell’aria. Ovvero come cogliere inaspettamente ma positivamente delle intrusioni, delle sollecitazioni. Utilizzato dagli insetti, il polline si presenta con forme diverse, è ricco di molti elementi dal valore nutrizionale. Tuttavia il suo uso come alimento e integratore alimentare è da attuare con attenzione a causa delle contaminazioni causate dalle pratiche agricole (qui si può cogliere una metafora che riguarda il sistema dell’arte nelle sue complesse articolazioni e intromissioni nell’operato dell’artista). La sua funzione principale è la volatilità, il trasporto, e presenta l’idea della potenzialità. "Polline" è anche il titolo di un libro di Novalis. Apparve nel primo numero della rivista “Athenaeum”, nel 1798, su iniziativa di Friedrich Schlegel. Il polline è un elemento vitale che permette la formazione di nuovi fiori, di nuova vita. I frammenti di Novalis aspirano alla formazione di una nuova umanità, con un pensiero rinnovato, che sappia, indagando nella propria interiorità e aprendosi alle possibilità, generare un mondo in continua trasformazione. Anche nell’atto più semplice, è possibile, quindi, predisporsi ad una positiva congiunzione tra il mondo dello spirito e il mondo dei corpi, fatti di polvere finissima e di stelle. È l’idea del contatto.

32. Siamo in missione:

siamo chiamati a istruire la terra.

(Novalis)

Camila Braci modella un piccolo nido con il DAS, di per sé un materiale anonimo che asciuga e si indurisce a contatto con l’aria, ma colorandolo. Camila ne fa una minuscola casetta multicolore che si potrebbe trovare al di là dello specchio, assieme ad Alice, in un possibile viaggio psichedelico e postmoderno in un mondo infra-stato; difatti è per scarabei, stravaganti scarabei (DAS è un acronimo e sta per Dario Sala, l’inventore di questa pasta da modellare che risale al 1962, una pasta grigia dall’inconfondibile odore umido di calce e muschio. Uno dei lanci pubblicitari era “tutti scultori con DAS” e “dai forma alle tue idee”). Il linguaggio di Camila, in genere molto teatrale, dialoga con la scorribanda e con la linguaccia che si fa per dileggiare qualcuno, ma con il sorriso: il nidino decorato è una piccola messa in scena, di una plasticità esuberante condita d’ironia. Per entrare nel suo mondo occorre mettersi nella prospettiva letteraria; ecco leggetevi “Casa di foglie” di Mark Z. Danielewski e la troverete in mezzo alle pagine.

Beatrice Gavarini dialoga con lo spazio attraverso un’installazione organica ed effimera; utilizza dei sepali di pomodoro per creare una costellazione inattesa, senza linee e confini riconoscibili. L’elemento naturale è un segno discreto, ma anche sovversivo, un rimando alla dimensione della crescita spontanea e resiliente. Un “polline” organizzato dal desiderio cieco del vento. Impronte del mondo reale, i suoi sepali sono anche il soggetto di alcuni dipinti recenti. Che differenza c’è tra un sepalo e una stella?

Elisa Pini dipinge il corpo, la pelle, la superficie limite dell’uomo, il luogo del contatto. Il corpo-carne è essenzialmente una pittura, la pittura che si fa corpo. È un libro di carne la sua immagine-superficie, in cui pittura e colore, riscrivono il limite esterno del corpo formalizzandolo in movimenti magmatici che fanno perdere il senso generale della figura, per sottolinearne l’energia, il calore, per scoprirlo allo sguardo aptico, per sondarlo, indagarlo nei sui minimi sommovimenti, per far sentire la sua forza biologica mediata dal fare pittura. Lo sguardo è come se si fosse appoggiato direttamente sulla superficie del corpo stesso. Così compone un corpo segmentato, smarrito, particolare, frammentato, fisiologico e sopratutto non virtuale. Un corpo-paesaggio-pittura, sensore di strati sensuali e umorali, meditativi, leggeri e nello stesso tempo materiali e carnali. Nel lavoro in mostra è il colore verde, anche con intonazioni quasi fluorescenti, acide, un colore che riscrive il corpo e richiama a sé il mondo vegetale. Un corpo-natura, ma eccentrica, un corpo ambizioso ma tranquillo. Un corpo prima o dopo l’Eden?

Luca Scarabelli

Camila Braci (Ivrea, 2002), Beatrice Gavarini (Desenzano del Garda, 2002), Elisa Pini (Milano, 2001) frequentano l’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano.

opening domenica 30 Marzo 2025
ore 17-20

Surplace Palestra è un nuovo format espositivo di Surplace che nasce dalla volontà di esplorare e rileggere i confini tra arte visiva, installativa e performativa, all'interno di un processo creativo che evolve continuamente. Sviluppato negli spazi comuni di R+S/AK, Palestra è uno spazio in cui giovani artisti, studenti dell'Accademia di Belle Arti, possono sperimentare e confrontarsi, proponendo opere, performance e interventi che sfidano le convenzioni e le aspettative. L’idea di Palestra si fonda sulla ricerca continua e sulla sorpresa: ogni evento è una sorta di “allenamento”, dove gli artisti ma anche il pubblico, sono chiamati a mettersi alla prova. Non si tratta di un luogo fisso né di un programma definito, ma piuttosto di un’interstizio, un momento che accade inaspettatamente. Ogni momento di Palestra porta con sé la possibilità di nuovi incontri, esplorazioni, si apre a spazi inediti e liminali, inusuali, con interventi che pongono l’accento sulla fluidità e l’adattabilità dell’esperienza artistica. Il nome Palestra, suggerito con ironia e affetto da Giancarlo Norese, evoca proprio questo spirito di allenamento continuo, di crescita personale e collettiva, per prendersi cura dell’arte, per mettersi alla prova e per uscire dall'ora di lezione.