Video show Così lontano/così vicino2

Informazioni Evento

Luogo
CIRCOLO UFFICIALI
Via Marsala 12 , Bologna, Italia
Date
Dal al
Vernissage
24/01/2014

ore 12

Curatori
Gabriele Perretta
Generi
arte contemporanea, collettiva, new media
Loading…

Il lavoro di Così lontano/così vicino2 – (In weiter ferne so nah2) si basa sulla letteratura in materia di media e società, su blog di video artisti praticanti e professionisti e su interviste in profondità a operatori del settore.

Comunicato stampa

Circolo Ufficiali dell'Esercito – via Marsala, 12, presenta:

video show Così lontano/così vicino2 - (In weiter ferne so nah2):
TecnoevoLabfactory, curated by Gabriele Perretta:

(in concomitanza con/along with:I Codici dell’Apocalisse)

Bologna, 24 gennaio/january – 7 febbraio/february

Artists:
Karin Andersen/ Christian Rainer
Az.Namusn.Art
Carlo Caloro
Alessio Chierico
Luca Coclite
Gabriele Dini
Marco Donnarumma
Maurizio Elettrico
Gianpaolo Guerini
R’B
Francesco di Loreto
Giulio di Mauro
Boaz Kaizmann & Erik Sick
Opla+
RETROPHUTURE (Fabrizio Passarella)
The Peer Gallery
Stefania Rota
Debora Vrizzi

Tales, little stories, adventures with the camera and take-away framing, small and large frames, video performances, experiments in sound design and in graphic design, poetical fragments and polymorphic icon, animals, robots, remixes and mashups, samples, blood loops, cut-and-mix shadows, perfect crimes, embed, height, width, ride, autostart, time-lapse, posts, links, loops, computer code, nest, geoposition, tag, quote, retweet, update, share, cancrene and anger, disasters and parallel times... throughout this ancient, modern and contemporary repository, the performance of the new media, that of creative practices, made possible by the digital image, goes forward! Such practices have carried every fragment of everyday life to the media continuum. In fact, the digital micro-events, or, if you will, the visual pastiches that make up this collection, were born almost for exhibition coincidence.

Storie, storielle, avventure con la telecamera e framing d’asporto, piccoli e grandi fotogrammi, video performance, esperimenti di sound design e di graphic design, lacerti poetici e icone polimorfe, animali, automi, remix e mashup, sample, loop di sangue, ombre di cut and mix, delitti perfetti, embed, height, width, ridde, autostart, time-lapse, post, link, loop, computer code, nest, geoposition, tag, quote, retweet, update, share, cancrene e rabbie, catastrofi e tempi paralleli … su tutto questo magazzino antico, moderno e contemporaneo, l’esibizione dei new media, quella delle pratiche creative, rese possibili dall’immagine digitale, avanza! Tali pratiche hanno trasportato ogni frammento di quotidianità nel continuum mediale. Infatti, i microeventi digitali, o, se si vuole, i pastiches visuali che compongono la presente raccolta, sono nati quasi per concomitanza espositiva. Si tratta di una forma-cinema-fusion lo.tech e hi.tech: forma formata a basso costo, ripresa quasi sempre con geniali idee e solo raramente con alcune tecniche di abbellimento estetico, in certe serie che funzionano da raccordo con la tradizione scritta e illustrata del fantastico tecnomedievale. Più usualmente si dice videografie artistiche, magari anche quando non lo sono in senso stretto, dato che per un aspetto, propriamente mediale, vi alludono: la riduzione delle informazioni e delle estetiche post-concettuali ad una essenzialità oscena (nel senso di a/scena), fuori dalla scena. Un tempo erano i film di Antonioni, Pasolini e di Federico Fellini a fare scandalo parlando di ciò che una buona famiglia di registi può dire e non può dire; nelle case della gente allora gli eroi della televisione si concedevano al massimo qualche parola un poco forte e la violenza non aveva corpi nudi da mostrare ne ferite troppo profonde. Ora il flusso delle immagini e delle parole ha conquistato e diffuso la sfera dell’intimo. Un privilegio che era di collezionisti d’arte facoltosi e di conoscitori molto intelligenti, ora esplode nei videofonini, sugli schermi dei mini ipad e degli iphone: dispositivi e censure pseudo illuministe non riescono a frenare l’inclinazione tecnologica che i consumi di massa hanno per il piacere della simulazione. Il paradosso per cui la profondità coincide con la superficie, e la realtà con la sua manifestazione fenomenica, è insito nella natura stessa dell’esperienza mediale. Non riposa su una perversione del giusto ordine della comunicazione, che tende a leggere nella produzione di apparenze sensibili una forma di alienazione, la corruzione di uno scambio originariamente autentico, capace di mettere in contatto interiorità e interiorità in modo trasparente, senza bisogno di mediazioni artificiali. È il modo in cui le persone appaiono, tra schermi e WhatsApp a fornire il medium dei loro rapporti reciproci e a costituire la sostanza del mondo condiviso. L’io si volge all’altro io e instaura il legame sociale attraverso la propria apparenza di schermo o schermata: grazie a un sorriso sul volto dell’utente skype possiamo attrarre gli altri, o allontanarli da noi, suscitando la loro invidia e antipatia; con una smorfia di dolore possiamo respingerli, ma anche risvegliarne la compassione e la pietà. In ogni caso, l’apparenza crea il legame intersoggettivo della psicologia tecnoevica, lo istituisce e lo rappresenta, rivelando la società come una nuova rete (un nuovo Web) di relazioni sensibili. La vita attuale delle persone di tutto il mondo e in particolare di quelle che vivono nelle democrazie capitalistiche occidentali non può essere capita senza i media, senza comprenderne non solo i contenuti, ma anche l’organizzazione del lavoro e i processi che vengono attuati al loro interno»: questo è il presupposto basilare da cui nasce, sin dal 1984, la riflessione mediale del TecnoevoLabfactory. Il motivo per cui questa riflessione risulta interessante è innanzitutto il fatto che i processi che per la prima volta sono avvenuti all’interno delle strutture creative sono arrivati oggigiorno a coinvolgere il mondo del lavoro in senso generale: insicurezza, rischio, individualismo, flessibilità, precariato, necessità di continuo rinnovamento personale sono tutte “creature” dell’industria della conoscenza e del nuovo scenario tecnoevico, poi passate negli altri ambiti dell’economia e, inoltre, è proprio l’immersione nel mondo dei media a cui tutti siamo sottoposti che dovrebbe spingerci a comprenderne a fondo i meccanismi. Il lavoro di Così lontano/così vicino2 - (In weiter ferne so nah2) si basa sulla letteratura in materia di media e società, su blog di video artisti praticanti e professionisti e su interviste in profondità a operatori del settore. Cosa significa lavorare nei media viene indagato in quattro generi chiave: la pubblicità, il giornalismo, la produzione cinematografica e televisiva e lo sviluppo informatico e dei videogiochi che formano un’estetica videofusion. Il viaggio di In weiter ferne so nah2 all’interno del mondo del lavoro nella video arte inizia con una considerazione sulla pratica temporanea d’artista (non però nel campo della comunicazione mediale, ma in tutti gli ambiti) e lo strapotere delle agenzie di promozione galleristica, il cui slogan “creating oppurtunities for all people to partecipate in the work-force” è in realtà il simbolo di un mondo della creatività in cui il domani è incerto e le cui condizioni sono soggette a molteplici fattori che sfuggono al controllo dell’artista. Non si utilizza impunemente la lingua forgiata nello scenario mediale che si vuole contestare o criticare. Da questo punto di vista la medialità acquista l’inconveniente, come l’ideologia e la morale, di essere sempre la lingua degli altri, di quel nemico che si vuole contestare. Ma allora, dopo tutto, l’ideologia mass-mediatica, nata dalla marginalizzazione del medialismo sarà soltanto una forma elegante, truccata da tecnologia del fare, di ignorare la lingua del cinema e della foto come si usa realmente, dentro i conflitti della società dell’immagine? E ancora: se si può credere di sfuggire alla medialità e alla forme generaliste della comunicazione contemporanea, rifiutando ogni ideologia e ogni morale della tecnica, si può forse rifiutare la forma di medialità prevalente, la lingua dei media in quanto tale? Di questa ideologia mediale e di questa grammatica tecnologica noi siamo, chi più chi meno, i commessi viaggiatori ogni volta che facciamo uso di un media, loro veicolo privilegiato, e ogni critica condotta attraverso la lingua mediale all’ideologia della tecnica, ogni discorso che tenta di opporsi ai discorsi ufficiali, diviene illusorio, poiché si trasforma in tramite proprio di ciò che intende negare. Se è così, allora la critica lenta, ostinata e aggressiva della “lingua mediaEvale sulla lingua mainstream” è la sola ad offrire qualche risorsa. E proprio questo è, a questo punto lo si sarà capito, il fine di questa piccola rassegna interstiziale e intermedievale che si insinua tra i Codici dell’Apocalisse e di quelli che già nel 1994 furono Così lontani e così vicini. L’idea chiave attorno alla quale ruota la riflessione proposta è riassunta nel termine mediaevo,che funge anche da sottotitolo per una manifestazione che dopo il 1994 si ripete, per la seconda volta. Come lo stesso curator osserva,il mediaevo rappresenta una «condizione d’essere dei media di comunicazione», e nel contempo il «contesto in cui le relazioni tra il sé e l’altro si intrecciano nell’arena collettiva globale». «Spazio mediato dell’apparire e nel quale il mondo sorge», nel mediaevo ciascuno ha la possibilità di «entrare in contatto con chi ci somiglia e con chi è diverso da noi». E il nostro «essere umani (o disumani)» acquista sostanza «grazie alla comunicazione che la medialità veicola nel suo spazio». Ne deriva che qualsiasi società che aspiri a essere «genuinamente civile, sensata ed etica» nonché espressione di una «cittadinanza globale», deve «necessariamente considerare e prendere sul serio le modalità con cui, oggi, i mezzi di comunicazione di massa rappresentano il mondo».
Gabriele Perretta