Venezia e l’Egitto
La mostra illustra i rapporti tra “Venezia e l’Egitto” nel corso di quasi due millenni: dai ritrovamenti archeologici che documentano relazioni in età classica, fino all’apertura del canale di Suez, un’iniziativa proposta dal governo marciano già nel primo ‘500 e realizzata solo nel 1869 su progetto dell’ingegnere trentino Negrelli, all’epoca capo delle ferrovie del Lombardo-Veneto.
Comunicato stampa
Una mostra in cui s’intrecciano storia, avventura, scienza e commerci,
vicende umane e grande arte.
Come Cleopatra sedusse prima Cesare e poi, fatalmente, Marco Antonio, così il fascino
dell’Egitto seppe conquistare prima Roma e poi, nel tempo, l’intero Occidente.
La mostra che si tiene a Venezia, dal 1 ottobre 2011 al 22 gennaio 2012, nella spettacolare
Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale – cuore e simbolo della Serenissima – illustra i
rapporti tra “Venezia e l’Egitto” nel corso di quasi due millenni: dai ritrovamenti archeologici
che documentano relazioni in età classica, fino all’apertura del canale di Suez,
un’iniziativa proposta dal governo marciano già nel primo ‘500 e realizzata solo nel 1869
su progetto dell’ingegnere trentino Negrelli all’epoca capo delle ferrovie del Lombardo-
Veneto.
Nel mezzo stanno figure ed eventi spesso eccezionali, lungo un filo rosso storico finora
mai dipanato nel suo insieme. Dalla traslazione del corpo di San Marco da Alessandria
nell’828, alle avventure ottocentesche di esploratori come Giambattista Belzoni, uno dei
padri dell’archeologia italiana, e Giovanni Miani; dalle peripezie di mercanti e diplomatici
all’inseguimento di merci, tesori e terre, alle curiosità di umanisti e scienziati
alle prese con i misteri dei geroglifici, delle piramidi e dell’antica scienza dei faraoni. Il
tutto accompagnato da reperti preziosi, testi inediti e da opere d’arte che mostrano come
i grandi maestri veneziani – da Giorgione a Tiziano, da Tintoretto a Tiepolo, da Amigoni
a Strozzi, da Piranesi a Caffi – immaginarono l’Egitto.
Quello che emerge dalle sezioni in cui è articolata la mostra è un quadro vivido di contiguità,
di famigliarità, di rapporti tra mondi diversi: paesi “lontani” per lingue, tradizioni,
costumi e religioni che pure furono capaci di dar vita, grazie a relazioni protrattisi per
secoli, a quella che può essere definita una “civiltà mediterranea”.
Relazioni fortissime, se è vero che Venezia è l’unica città europea che sin dall’anno Mille
ha un nome arabo distinto da quello originale: “al-bunduqiyya”.
Una vicenda culturale dunque complessa e articolata raccontata in una mostra che saprà
sorprendere, per i risultati delle ricerche condotte e per l’eccezionalità di molte delle
oltre 300 opere riunite in questa occasione.
Il progetto scientifico, curato da Enrico Maria Dal Pozzolo dell’Università degli Studi di
Verona, e da Rosella Dorigo e Maria Pia Pedani dell’Università Ca’ Foscari di Venezia,
con progetto allestitivo di Michelangelo Lupo, ha visto infatti coinvolti quasi 70 specialisti
tra comitato scientifico, schedatori ed esperti impegnati nell’analisi dei materiali e
nelle indagini relative.
Un evento promosso dal Comune di Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia e Autorità
Portuale di Venezia, con un ampio e prestigioso comitato promotore del quale fanno
parte il Patriarcato di Venezia, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero
degli Affari Esteri, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, la Regione del Veneto e
la Provincia di Venezia, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Iuav, l’Università degli Studi
di Padova e l’Università degli Studi di Verona, con l’organizzazione dalla Fondazione
Musei Civici di Venezia e di Villaggio Globale International e un ricco catalogo Skira.
promotori e con organizzazione generale
Catalogo
Patriarcato di Venezia
Presidenza del Consiglio
dei Ministri
Ministero degli Affari Esteri
Ministero per i Beni e
le Attività Culturali
Regione del Veneto
Provincia di Venezia
Università Ca’Foscari
Univeristà IUAV
Università degli Studi di Padova
Università degli Studi di Verona
Fondazione Musei
Civici di Venezia
Villaggio Globale
International
Skira
Palazzo Ducale
Venezia
01.10.2011
22.01.2012
Comune di Venezia
Fondazione Musei
Civici Venezia
Autorità Portuale
di Venezia
Sin dalla metà dell’VIII secolo, quando il nascente impero abasside stabilitosi nella nuova
città di Baghdad cominciò a disinteressarsi del mare, le navi veneziane alzavano le
vele per dirigersi verso Oriente. Ma la storia dei rapporti pacifici tra Venezia e l’Egitto
prende il via già in epoca romana, come testimoniano i tanti reperti rinvenuti in area
veneta ed esposti in mostra, in una sorta di sezione-antefatto.
La conquista dell’Egitto da parte di Cesare aveva facilitato i contatti di Roma con l’Oriente
e manufatti e culti egizi non mancarono di giungere e diffondersi lungo le sponde
dell’Adriatico: eloquenti sono il tesoretto tolemico di Montebelluna, la testa di sfinge del
Museo archeologico di Verona, la Statuetta di Iside conservata ad Aquileia; così come la testa
di sacerdote isiaco dal Museo Civico di Trieste o la piccola statuetta bronzea di Anubi, del I-II
secolo d.C., rinvenuta a Costabissara vicino a Vicenza.
E se Cleopatra e la storia d’amore con Antonio, da cui esplose clamorosamente l’interesse
occidentale nei confronti dell’Egitto, vengono rievocati ad inizio percorso attraverso alcune
monete raffiguranti la regina e i due condottieri romani suoi amanti, sarà l’opera monumentale
di Francesco Fontebasso il Banchetto di Cleopatra, appartenente alla collezione
Terruzzi, a rievocare – nel seguito del percorso – il fascino e il mito della sovrana egizia.
Un’antichissima testimonianza dei contatti tra l’area veneta e quella egiziana si ritrova
del resto nella leggenda che fa di Marco evangelista il fondatore della chiesa alessandrina
e l’evangelizzatore della X regio, che comprendeva la Venetia e l’Histria e aveva il suo
capoluogo nella metropoli di Aquileia; così come alla medesima tradizione appartiene
anche il dono, nel 630, dall’Imperatore bizantino Eraclio al patriarca di Grado, della
cattedra di San Marco proveniente da Alessandria e conservata ora – inamovibile – nel
Tesoro marciano: tesoro da cui giungono in mostra, a documentare i contatti dei secoli
successivi, alcune preziosissime opere come l’Urna di Artaserse I o l’Ampolla degli Arieti
realizzata al Cairo alla fine del X secolo.
Ecco dunque che la figura di San Marco – di cui si ha una raffinatissima immagine nella
tavola di Lorenzo Veneziano – diventa nodale non solo nella legittimazione dell’autonomia
politica e religiosa della Serenissima ma anche nell’immaginario della millenaria
relazione tra Venezia e l’Egitto e in particolare tra la Serenissima e Alessandria, da dove
partì il lungo viaggio per mare dei due mercanti, Bono e Rustico, che condussero a Venezia
le spoglie del santo.
Un multimediale in mostra ci permette di “scrutare” i dettagli dei mosaici della basilica
di San Marco con le relative storie, di entrare nei teleri delle Gallerie dell’Accademia o
nell’enorme tela (intrasportabile) di Gentile e Giovanni Bellini della Pinacoteca di Brera,
mentre il reliquiario di San Marco, giunto appositamente dai Musei Vaticani, è accanto a
strepitosi manoscritti miniati e alla Pala Feriale di Paolo Veneziano, prestata eccezionalmente,
e mai prima d’ora, dal Museo Marciano: forse il più importante dipinto dell’intero
‘300 veneziano, con le varie fasi della vicenda di Marco. Nella formella scelta ad immagine
della mostra-evento si stagliano tutti i simboli della relazione fondante di questo
racconto: il santo che dialoga con un mercante, una nave che indica la via del mare come
mezzo e luogo dei contatti e delle relazioni, il faro di Alessandria d’Egitto – una delle
sette meraviglie del mondo, a quell’epoca ancora esistente, e icona della città egiziana –
gli edifici arabi chiaramente ripresi nell’architettura di Palazzo Ducale.
La mostra dà anche conto del progressivo affermarsi, a partire dal 1261, dell’immagine
del leone come simbolo dello stato marciano – da secoli legato a San Marco unicamente
in ambito religioso – proprio nello stesso periodo in cui il sovrano del Cairo Baybars
veniva soprannominato il “leone d’Egitto” e innalzava come insegna araldica un leone.
Ecco dunque bolle dogali, monete, il Capitolare del cottimo di Alessandria, il bellissimo
Leone marciano di Jacobello del Fiore accanto al Dinar d’oro di Baybar, con raffigurato il
“suo” felino.
I primi contatti: dal
fascino di Cleopatra,
all’affermazione del
Leone marciano
Durante tutto il Medioevo i rapporti tra Venezia e l’Egitto furono continui: la rotta del
Levante fu costantemente percorsa dapprima da singoli commercianti che si avventuravano
lontano dalla patria poi da vere e proprie imprese sostenute dallo stato veneto che
organizzava le mude: convogli di navi che trovavano, nel procedere insieme, maggior
sicurezza.
Il grande affresco offerto dalla mostra in queste sezioni è affascinante: carte di navigazione,
mappe, vedute del Cairo o di Alessandria come quella, eccezionale, di Georg Braun e Frans
Hogenberg; astrolabi e globi celesti anche di provenienza egiziana per definire le conoscenze
geografiche, la visione del mondo, le strumentazioni dell’epoca (bellissimo quello del 1225
prestato dal Museo di Capodimonte); monete veneziane e alessandrine, che consentivano
gli scambi, e le conseguenti contraffazioni, un modello di galea di 4 metri, diari e lettere
(anche quella in arabo del 10 gennaio 1473 inviata dal sultano mammalucco al doge Niccolò
Tron), resoconti di mercanti, relazioni di consoli e ambasciatori incaricati di negoziare
il miglior trattamento e la protezione per tutti i sudditi veneti. E poi, tessuti copti originali
– di cui dà testimonianza iconografica in mostra anche il Marziale nel dipinto con la Cena
in Emmaus – frammenti di antichissime ceramiche mammeluche, un tappeto cairota lungo
quasi 10 metri prestato dalla Scuola Grande di San Rocco: un pezzo unico al mondo.
A Venezia giungono e partono per le piazze di tutta Europa tanti prodotti esotici, ma la
città lagunare diventa anche il porto privilegiato per il viaggio dei pellegrini, desiderosi
di recarsi in Terra Santa: pensiamo a San Giovanni Elemosinario, nato a Cipro e le cui
spoglie furono traslate a Venezia nel 1249, ricordato in mostra da una tela di Francesco
Galizzi da Santacroce ambientata nella piazza di Alessandria d’Egitto e dal prezioso frontone
dell’urna in legno dorato e policromo.
Tanti sono i personaggi che riemergono dai documenti esposti nell’occasione, a testimoniare
i legami fortissimi e gli interessi che legavano l’Egitto a Venezia che, nonostante
i reiterati decreti papali che proibivano i commerci dei cristiani con mussulmani, continuavano
a operare per mantenere attivi e prosperi i contatti richiedendo concessioni al
Pontefice e se – del caso – pagando le dovute “penitenze” alla Camera Apostolica.
Davvero spettacolare la sezione dell’Egitto immaginato, raffigurato, eternato dagli artisti
veneti che affrontavano temi “egizi” nel dipingere le storie dell’Antico e del Nuovo
Testamento o episodi tratti da fonti classiche. Scorrono i grandi Maestri come Giorgione,
Tiziano, Bonifacio Veronese, Tintoretto, Paolo Fiammingo, Strozzi, Fontebasso, Pittoni,
Amigoni, Piazzetta, Giandomenico Tiepolo – con la serie completa di 27 incisioni sulle
Idee pittoresche sopra la Fuga in Egitto – fino ad arrivare ai pittori ottocenteschi come Molmenti
e soprattutto Pietro Paoletti, di cui viene esposta in mostra la grandiosa e appositamente
restaurata (come molti altri pezzi) Morte dei primogeniti d’Egitto, della Pinacoteca di
Brera, lunga quasi 3 metri e caratterizzata da un tale grado di resa filologica dei dettagli
archeologici da legittimare l’ipotesi di un suo contatto con l’ambiente di Champollion, il
decifratore dei geroglifici.
Tra i soggetti testamentari più rappresentati ci sono il Patriarca Abramo, raffigurato
per esempio nell’enorme tela di Antonio Zanchi proveniente da Santa Maria del Giglio
Abramo che insegna astrologia agli Egiziani, e suo pronipote Giuseppe, figlio di Giacobbe.
Giuseppe è ricordato sia nell’eccezionale opera di Tintoretto giunta per l’occasione del
Museo del Prado – Giuseppe e la moglie di Putifarre – in cui il protagonista, schiavo al servizio
del comandante della guardie del Faraone Putifarre, danza per la moglie del sovrano
egizio in un alcova dal soffitto cassettonato di sapore chiaramente veneziano; sia nella
sontuosa tela di Amigoni, sempre dal Prado, e in due disegni di Fontebasso.
Ma sarà soprattutto Mosè a ispirare artisti e committenti veneti: affascinante è il Mosè alla
prova del Fuoco di Giorgione dagli Uffizi; di magniloquente impatto il Ritrovamento di Mosè
di Bonifacio Veronese dalla Pinacoteca di Brera, ma anche i due strepitosi Pittoni (pure freschi
di restauro): Il passaggio al Mar Rosso e il Ritrovamento di Mosè. Una gemma inedita è il
Fontebasso, di collezione privata, che raffigura Mosè che calpesta la corona del Faraone.
Longo la rotta
del Levante: consoli,
ambasciatori,
mercanti e pellegrini
L’Egitto immaginato:
i grandi artisti veneti
alle prese con la terra
dei Faraoni
La carrellata ci consente anche di notare i diversi approcci con cui gli artisti affrontano il
filone egiziano: dall’indifferenza al contesto, di totale fantasia come nei capricci tiepoleschi,
alla ripetizione di schemi e di matrici iconografiche, all’oggettivazione descrittiva.
L’attenzione all’ambiente si coglie maggiormente nei grandi teleri che ornano la Sala
dello Scrutinio di Palazzo Ducale: perfettamente in tema con le scene della battaglia di
Lepanto, e quasi come contro altare, laddove la mostra non ha voluto soffermarsi sulle
divisioni (che furono sostanzialmente episodiche) ma solo sull’incontro pacifico tra Venezia
e l’Egitto. Poi ci sono i casi in cui il tema egizio è volutamente allegorico e sottende un
intento di polemica politica, come nel caso della xilografia con la Sommersione del Farone
di Tiziano, che si pone all’indomani dalla costituzione della Lega di Cambrai nel 1508 e
dell’attacco sferrato alla Serenissima dalle principali potenze d’Europa.
Quindi il filologismo erudito di Paolo Fiammingo, nell’inedita tela forse eseguita per
qualche letterato egittofilo, e gli esperimenti di due architetti come Piranesi e Jappelli,
che inventano un “plausibile” stile egizio: il primo nella progettazione dei camini – di cui
in mostra vi sono numerosi esemplari – il secondo nella famosa Sala Egizia del Caffè Pedrocchi
a Padova, operazione storicistica all’insegna di un brillante eclettismo indagata
anche grazie ad un video appositamente realizzato.
Momenti espostivi successivi riguardano gli “intrecci culturali” con il Terzo Libro del Serlio
che riporta il disegno della piramide di Cheope misurata addirittura dal patriarca di
Aquileia Marco Grimani, o i testi di medicina e di botanica egizia di Prospero Alpini di
Marostica, che portò notizie intorno a varie piante, tra cui quella del caffè; “l’editoria”
con alcuni assoluti unica qui proposti, come il primo corano stampato in arabo a Venezia
nel 1537-38; l’attenzione e la curiosità verso “i geroglifici” (pensiamo al Polifilo, all’Orapollo,
al libro di Pierio Valeriano: tutti esposti); il “collezionismo” con le fascinose gemme
gnostiche, con iscritte formule magiche, e alcuni bellissimi materiali egizi collezionati
dai nobili veneziani (i Grimani, i Nani di San Trovaso, ecc), da pochissimo rintracciati
e come tali qui presentati per la prima volta.
Quindi, le grandi avventure della ricerca storico-scientifica ottocentesca: con Giovanni
Miani geologo e naturalista che condusse una campagna di studio sul percorso fluviale
del Nilo, e con quella sorta di “Indiana Jones” che fu Giovanni Battista Belzoni.
Di Belzoni – personaggio straordinario, uno dei protagonisti dell’egittologia di cui si ricorda
l’impresa del trasporto della gigantesca statua di Ramesse II fino al Nilo, la scoperta
del tempio di Abu Simbel, della città di Berenice, della tomba di Seti I nella Valle dei Re e
dell’ingresso della piramide di Chefren – troviamo in mostra oltre al ritratto, al passaporto
e alle lettere autografe anche la serie completa delle incisioni acquarellate delle sue imprese.
Tante curiosità esposte, collegabili a questi due personaggi emblematici di un nuovo, ulteriore
interesse per l’Egitto: dalla straordinaria mummia egiziana di Nehmeket (1069-525
a. C.) conservata a San Lazzero degli Armeni, interamente ricoperta da una reticella realizzata
con perline in pasta vitrea di vario colore, restaurate per l’occasione, alla maschera
funeraria d’oro della XXVI- XXX dinastia proveniente da Trento; dalla collana di conchiglie
del Nilo lunga 86 cm alla Mummia di coccodrillo – incarnazione del Dio Sobek , signore
delle acque – recuperata dal Miani in una grotta nei pressi di Asiut e oggi conservata nel
Museo di Storia Naturale di Venezia, nella sala a lui dedicata.
Il lungo appassionante percorso si chiude con il vedutista bellunese Ippolito Caffi – 11
bellissimi dipinti e 4 disegni raffiguranti l’Egitto, di eccezionale rilevanza per la poetica
raggiunta e per il grado di oggettivazione documentaria e naturalistica – e con il Canale
di Suez. Lo spettacolare dipinto di Alberto Rieger del 1864 preannuncia la definitiva
apertura del Mediterraneo all’Oriente (l’inaugurazione del Canale è del 17 novembre
1869), grazie al progetto del trentino Luigi Negrelli e del veneziano Pietro Paleocapa, già
autore dei principi interventi alle bocche portuali di Venezia.
Il “canale del Faraone”, che il Senato veneziano aveva già progettato e perorato agli inizi
del Cinquecento, diventava finalmente realtà.
Questa mostra racconta di storia, cultura, arte, ma anche di sogni.
Intrecci culturali e
grandi avventure.
Dalla conoscenza
alla contaminazione