Ulderico Marotto – Cantar Verona

La città di Verona rende omaggio ad uno dei più grandi e apprezzati artisti veneti che, nel corso della sua lunga carriera, ha ritratto il paesaggio con indimenticabile maestria.
Comunicato stampa
Dopo il successo dell’ultima mostra tenutasi presso la Loggia Barbaro - Torre del Capitanio nel 2013,
venerdì 19 dicembre 2014 alle ore 18.00, inaugura presso il Palazzo della Gran Guardia, la mostra
“Cantar Verona”, antologica dedicata all’artista Ulderico Marotto.
La città di Verona rende omaggio ad uno dei più grandi e apprezzati artisti veneti che, nel corso della
sua lunga carriera, ha ritratto il paesaggio con indimenticabile maestria.
Il nucleo centrale dell’esposizione, curata da Federico Martinelli, Presidente di Quinta Parete, presenta
opere dedicate a Verona, città natìa dell’artista raccontata attraverso il filtro e la sua sensibilità artistica.
Non solo le grandi piazze, i ponti famosi e i palazzi del centro storico, ma anche bambini vivaci che
rincorrono una ruota di bicicletta o accovacciati in un polveroso vicolo del centro, donne sedute a
crocchio intente a ricamare e ad accudire i fanciulli, animali da cortile e tutti i mestieri dell’epoca:
sabbionari, traghettatori, contadini, pescivendoli, spazzacamini, impegnati nelle loro attività. Non di
meno sono presenti vedute d’epoca come i ponti provvisori sul fiume, i mulini, le chiatte, le case, tutto
ormai perduto, ma immortalato dal pennello gentile di Marotto, di chiaro sapore ottocentesco.
Artista precoce, Marotto inizia a lavorare a 12 anni per esigenze familiari, e contemporaneamente si
iscrive e frequenta la “Scuola di Arti e Mestieri” che continuerà anche dopo il trasferimento a Milano;
successivamente partecipa ai corsi all’Accademia e una scuola serale presso il Castello Sforzesco.
Marotto dipinge a tempera e a olio, ma predilige l’acquerello, tecnica difficile che non permette
incertezze e che inizia a sperimentare insieme all’amico Vincenzo Castelli.
Marotto è artista che fa vita ritirata, ama la solitudine, è schivo e modesto, poche le mostre realizzate e
poche le esposizioni, mai un concorso; è un uomo che ha conosciuto la fatica e le avversità ma non si è
mai arreso, sostenuto dall’amore per l’arte, confortato dalla fede e rassicurato dalla Provvidenza Divina.
La mostra in Gran Guardia, organizzata dall’Associazione Culturale Quinta Parete, che in questi anni
ha proposto numerosi eventi culturali nel segno del teatro, della pittura e della fotografia, presenterà
circa 90 opere, a testimonianza di un percorso artistico che ha visto Marotto raccontare, con estrema
poesia, la città e, con altrettanto lirismo magico il mondo della provincia. A completare l’esposizione
saranno anche alcune opere dedicate a città limitrofe: Mantova, Venezia, Milano.
La mostra ha l’intento di accompagnare il visitatore all’osservazione di una città “nascosta”, ma pur
sempre da scoprire anche attraverso la luce, che è caratteristica delle opere di Marotto, quella luce
dell’anima che l’ha consacrato tra i più grandi artisti veneti del Novecento.
L’ingresso alla mostra è libero.
Orario di apertura:
dal 20 dicembre 2014 all’8 gennaio 2015
tutti i giorni dalle 10.00 alle 19.00
chiuso il 25 dicembre e il 1° gennaio
il 26 dicembre dalle 14.00 alle 19.00
Per informazioni: www.quintaparete.it
Saggio di Federico Martinelli, curatore della mostra
Cantar Verona, e chi meglio di Ulderico Marotto? La magia della città e della provincia rivive, in Marotto,
attraverso una tavolozza dai colori sublimi e dalle tonalità gentili. Quella di Marotto è una Verona
assolutamente autentica, che racconta l’epoca in cui l’artista vive, strizzando però l’occhio al passato più
recente di metà Ottocento. È Verona di ieri, vivacizzata dai giochi di strada, con protagonisti bambini
che si divertono semplicemente rincorrendo una ruota di bicicletta o che trascorrono il loro tempo
accovacciati in un polveroso vicolo del centro. I fanciulli protagonisti delle opere giocano per le strade
di una città non ancora invasa dal traffico.
Marotto è il pittore della Verona nascosta; in Cantar Verona, difatti, ad accompagnare l’osservatore,
sono le opere dedicate a strade e vicoli, a piazzette e campielli più intimi e raccolti, che costituiscono
il nucleo centrale del percorso espositivo. È un’esposizione costruita sul fascino della prospettiva e
dell’angolazione, peculiarità che fanno di Marotto uno dei più sorprendenti cantori di una Verona da
scoprire quotidianamente, muovendosi per i numerosi vicoli della città. Sono vedute che, per l’epoca,
potrebbero essere considerate “minori” ma che, in realtà, sono oggi un documento storico di grande
valore. E questo emerge nelle raffigurazioni di ponti provvisori sul fiume, di mulini, di chiatte, di case
ormai abbattute, nelle raffigurazioni di ricordo ottocentesco di Interrato dell’Acqua Morta, in quelle
dedicate ai mercati rionali o nelle opere della “Verona” delle attività artigianali: “Lo Scarpino”, “Il
moleta a Piazza Erbe”, “Lavandaie, un lavatoio a Parona”, “Lavandare ad Avesa”, “I sabbionari”, gli
edicolanti, i contadini. Ci sono poi particolari di capitelli, che spuntano dagli angoli delle strade, e di
campanili che svettano tra piazze e palazzi.
Poi Cantar Verona ci conduce verso la provincia dove, con le sue opere, Marotto sembra riecheggiare il
Tolo da Re più malinconico, quello de l’Adese, che ormai stanco e lento si prepara alla fine del suo lungo
viaggio per abbandonare la città. Qui le opere raccontano la malinconia in un turbine di emozioni:
dai vivaci colori dell’estate ai policromi paesaggi autunnali di forte impatto emotivo, con platani gialli
che irradiano, pur nella fine della loro stagione vegetativa, un’energia incredibile, valorizzata da una
pennellata che si fa piena, intensa, vibrante, quasi pastosa e materica, pur trattandosi, molte volte,
di acquerello. C’è poi la poesia malinconica dei cieli grigi e plumbei, quelli monocromi, di paesaggi
nebbiosi con alberi spogli o con ormai rare foglie essiccate. È il susseguirsi delle stagioni a consentire
all’artista di mostrare come la luce giochi un ruolo fondamentale nella sua pittura e questo risalta nelle
raffigurazioni del Lago di Garda, dove abbandona la malinconia per far trionfare il blu dell’acqua di
“Malcesine” o di “Tremosine”.
Cantar Verona è uno spartito musicale divino, in infinite variazioni enigmatiche, che catturano l’osservatore
e gli fanno guardare il mondo da una prospettiva diversa, quella dell’Artista.
(estratto dal catalogo)
Biografia
Ulderico Marotto nasce il 22 agosto 1890 a San Michele Extra, frazione di Verona, dove i genitori
gestiscono una piccola osteria. Qui rimane fino al 1892, anno in cui la famiglia si trasferisce nel quartiere di
S. Toscana, dove frequenta la scuola elementare, che sospende pochi mesi prima del termine per lavorare
prima come garzone, poi come magazziniere infine come cameriere: tali esperienze lo convincono a
terminare gli studi da privatista per poter seguire la sua passione. La madre, che ben conosce i sogni del
figlio, gli trova lavoro come “piccolo” in una bottega di decorazioni, imbiancature e verniciature cosicché
al giovane Ulderico non par vero di poter tenere un pennellaccio tra le mani tutto il giorno.
Il faticoso impegno quotidiano non lo priverà della gioia di iscriversi alla Scuola Serale di “Arti e
Mestieri”, scuola che continuerà anche dopo il trasferimento della famiglia a Milano, nel 1906, dove
Ulderico frequenterà l’Accademia Braidense e una scuola serale presso il Castello Sforzesco. È questo
un periodo di grande impegno, di duro lavoro, ma le fatiche e le avversità non spaventano l’artista,
sostenuto dal sacro fuoco dell’arte.
Nel 1910, purtroppo, arriva la chiamata alle armi che lo allontana dalla famiglia per partecipare alla
guerra italo-turca e successivamente, nel 1914 lo invia sul fronte austriaco. Tornato a Milano riprenderà
a frequentare la “Scuola d’Arte Applicata all’Industria”, ma per poco, perché nel 1915 sarà richiamato
al fronte fino al 1919.
Rientrato a Milano, Marotto apre uno studio, riprende il lavoro, ha la fortuna di incontrare il pittore
Vincenzo Castelli: fu per me la scoperta di un vero tesoro...questo nome io lo dovrei scrivere non solo a tutte lettere
maiuscole, ma in oro!! Sarà proprio Castelli, che lo inviterà nel suo studio, ad avviarlo alla pittura ad acqua:
da quel momento inizierà un sodalizio che durerà fino alla scomparsa dell’amico.
Il punto di intesa tra i due artisti portò l’uno a dedicarsi all’arte pubblicitaria, che gli procurava di che
vivere, l’altro a comprendere e immergersi nella pittura del paesaggio dal vero. Nelle varie tecniche
di pittura, diceva Marotto, si può ottenere più o meno, a seconda dell’abilità, ciò che si vuole, tranne
nell’acquerello. È un signore che comanda proprio lui. Se riesce è di getto, alla prima, diversamente perde freschezza e
trasparenza, indispensabile perché si dica “riuscito”.
L’entusiasmo tra i due amici cresceva ancor più in attesa delle nevicate: erano occasione per
avventurarsi in campagna muniti dell’“intrachen”, termine umoristico coniato da Castelli per definire
l’equipaggiamento brevettato dall’amico Marotto per affrontare il gelo. Completava l’attrezzatura, un
cavalletto provvisto di scannellature, sostegni, cinghie per borraccia, elastici, viti e un ombrello, insieme
al combustibile che sarebbe servito per intiepidire l’acqua usata per amalgamare i colori.
Marotto è artista modesto, spesso autocritico, estremamente scrupoloso nella realizzazione delle sue
opere: utilizza ottimi colori, buoni pennelli, ottima carta per acquerello perciò, se l’attrezzatura è buona
e il risultato no, la causa è da imputare all’esecutore.
Nel 1942 iniziano i bombardamenti su Milano e Ulderico trasferisce la famiglia a Verona dove aprirà
uno studio in via Fogge; in questi anni si dedica ai paesaggi, ispirato dall’amore per la sua Verona,
la provincia, ma anche suggeriti dai viaggi estivi in Liguria e sulla costa adriatica, soprattutto nella
romantica Chioggia, utilizzando sia la pittura a tempera, l’olio ma soprattutto l’acquerello.
Grande amante della natura, Marotto avvertì sempre la necessità del contatto diretto con il soggetto
rappresentato ed è chiaro, nelle sue opere, l’amore che egli riserva agli alberi, ai fiori, ai ruscelli, ai
campi e alle creature, tutte, che vivono in questi ambienti.
Ma per Marotto è l’uomo elemento indispensabile del paesaggio; è l’uomo con le attività primarie
dell’epoca, quello che troviamo nelle rappresentazioni dell’amata Verona: lo spazzacamino, il
sabbionaro, il traghettatore, il contadino sui carri e al ritorno dal pascolo, il brumista. Non di meno è
pura poesia la donna intenta a ricamare, a rammendare, ad accudire i bambini, a lavare i panni sul
greto dell’Adige. Sono tutti protagonisti della realtà quotidiana, rappresentanti di quei valori morali ai
quali l’artista crede, protagonisti di quel realismo pittorico che tanto caratterizzerà la sua arte. Marotto
rimarrà sempre un artista dalla pittura fresca e giovanile, continuerà con umiltà, giorno dopo giorno
a studiare, a mettersi alla prova e mai penserà che la sua affermazione e l’apprezzamento dei critici
siano per lui un traguardo d’arrivo. Nelle sue opere sono l’anima e la sensibilità a emergere, è un uomo
che pur avendo sofferto vive serenamente, conquistato e rassicurato dalla Provvidenza Divina che, in
tante occasioni della sua vita, lo ha ritenuto meritevole del suo intervento. Sono equilibrio e armonia
il filo conduttore della sua vita, elemento principale della sua arte ma non di meno la luce, quella luce
dell’anima che l’ha caratterizzato e consacrato tra i più grandi artisti veneti del Novecento.
Muore il 27 febbraio 1985 nella sua casa a San Michele Extra.
Federico Martinelli
curatore della mostra