Twins

Informazioni Evento

Luogo
ABADIR - ACCADEMIA DI BELLE ARTI E RESTAURO
Via Giacomo Leopardi 8, Sant'Agata Li Battiati, Italia
Date
Dal al

Visite su appuntamento

Vernissage
22/04/2012

ore 12

Curatori
Katiuscia Pompili
Generi
arte contemporanea, collettiva
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Per due gemelli omozigoti fare arte insieme è forse un modo per rimarcare la propria individualità? Oppure l’opera diviene lo strumento per creare un mondo parallelo in cui essere ancora una volta in due?

Comunicato stampa

Il fatto è che ci troviamo di fronte a una realtà naturale: è incontrovertibile che una cellula si divida in due, poi in quattro e così via; che noi abbiamo due gambe, due braccia e due occhi e così via; che lo specchio raddoppi le immagini; che l’uomo abbia fondato tutta la sua esistenza su una serie di modelli binari, compresi i computer (…)
È evidente che questo concetto della coppia è uno degli elementi archetipi fondamentali della nostra cultura (…)

Alighiero Boetti, 1988

Se Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza i gemelli racchiudono in sé un frammento di divinità?
Il tema del doppio ha da sempre alimentato il mito e la letteratura; l’immagine dell’ombra, come dello specchio, simboleggia il gioco dello sdoppiamento dell’io che arriva, spesso, a distruggere l’identità individuale del protagonista. Se le differenze somatiche sono il mezzo più immediato per distinguere l’ identità dall’alterità, artisti come Candice Breitz, Damien Hirst e Carsten Höller si sono serviti del “doppio” per introdurre nell’opera un’ambiguità destabilizzante: per aumentare la consapevolezza della percezione nel loro pubblico, hanno concentrato l’attenzione sull’apparente uguaglianza dei gemelli e sulle loro difformità, meno evidenti eppure altrettanto inquietanti.

Per due gemelli omozigoti fare arte insieme è forse un modo per rimarcare la propria individualità? Oppure l’opera diviene lo strumento per creare un mondo parallelo in cui essere ancora una volta in due?

Il progetto Brevidistanze è un habitat condiviso dietro cui si celano le identità di Andrea e Marco Mangione. L’esigenza di avvicinare le loro opere porta i due artisti a cooperare alla creazione, nella piccola sala di Abadir, di uno spazio ex novo che diventa parte integrante del lavoro finale. La finestra scoperta sul paesaggio circostante sembra un tromp l’oeil al contrario: la realtà fenomenica si proietta nello spazio dell’opera, che fortemente denuncia la sua indipendenza di luogo in quel luogo che non rappresenta ma con cui si pone in continuità. Il wall painting dei gemelli Mangione si trasforma in una vera e propria installazione ambientale che dialoga con lo spazio e il pubblico creando percorsi visivi e attese giocose.
I Mangione sono cresciuti artisticamente con gli insegnamenti affettuosi del padre pittore: «Il primo contatto che abbiamo avuto con la pittura è stato vedere nostro padre dipingere. Da bambino lo incontravamo di notte mentre andavamo in cucina a bere l’acqua, c’era la radio accesa e l’odore di trementina, riaddormentarsi sapendo che c’era qualcuno che dipingeva ci dava un senso di assoluta serenità».
Marco Guè aggiunge al suo nome quello della sua creatura, in una sorta di matrimonio artistico. Pupa Guè è il suo alter ego: opposto femminile dalle linee morbide e fattezze infantili, ideato in antitesi o per una voglia di completezza.
L’urban artist porta in mostra per la prima volta Orange clash e Paper Pupa, sculturine di carta, riproposizioni moderne e dipinte dei classici origami giapponesi che, inserite nella scenografia, proiettano una piccola ombra che suggerisce l’uscita dai muri dei personaggi di Marco Guè.
Andrea porta in mostra piccoli quadri a olio dipinti in una scala di grigi freddi e atmosferici: Hotel e Portrait restituiscono una realtà in frammenti che apre l’immaginario a possibili narrazioni solo accennate. I modelli a cui l’artista si ispira provengono da vecchie foto di sconosciuti e da immagini trovate su riviste d’arte o cartelloni pubblicitari. Il giovane definisce il rapporto con la fotografia come un dialogo continuo in cui ricerca il dettaglio piuttosto che il totale. La cancellazione dei riferimenti spazio temporali dello scatto colloca i suoi lavori in una sorta di dimensione sospesa: i paesaggi urbani e i volti interagiscono con parole incomprensibili tagliate dal voluto “errore” editoriale.

Se l’esperienza artistica di Andrea e Marco Mangione si avvicina e si allontana in un moto che ricorda quello delle onde sulla riva, il modus operandi dei gemelli Ingrassia li conduce a procedere di pari passo.
Per TWINS Carlo e Fabio Ingrassia realizzano un lavoro speculare. Le veau blanc, opera romboidale collocata sulla parete della seconda sala dell’Accademia, è affiancata dal suo doppio speculare che, come il riflesso dello specchio, evoca un ”io” capovolto: come i gemelli, i due quadri sono solo apparentemente identici.
Operando attraverso un metodo/non metodo che impedisce loro la visione complessiva dell’opera, gli artisti catanesi disegnano con matite e gessetti una traccia senza segno, in cui riconoscere la mano dell’autore è opera improba. Il focus prospettico delle due tele si materializza attraverso la linea “terrena” - ancora una traccia priva di segno – situata sul pavimento che sembra condurre il fedele all’abside maggiore; l’allestimento della sala evoca un allure sacro, dove gli artisti conducono lo spettatore in una sorta di viaggio mistico in cui dal buio emergono le immagini.
Carlo e Fabio operano a quattro mani, l’uno destrimano, l’altro mancino. Sin da bambini hanno individuato l’uno nell’altro la completezza che cercavano: «io definisco e lui raccorda» dicono, esprimendo la loro individualità nell’assoluta cooperazione. Nelle loro opere il doppio elemento geometrico/animale non si contrappone perché si risolve in un’astrazione comune: il disegno realizzato attraverso un processo sottrattivo si materializza. Lo spazio della tela non è rappresentativo ma è una quarta dimensione in cui l’elemento disegnato prende vita, esce dall’area incorniciata ed entra nello spazio reale.

Katiuscia Pompili