The Line of Sight

Informazioni Evento

Luogo
RITA URSO ARTOPIA GALLERY
Via Lazzaro Papi 2, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

dalle 15 alle 19

Vernissage
14/12/2020

no

Generi
arte contemporanea, collettiva

La mostra ripropone una selezione di opere già esposte in galleria nel corso della sua attività dal 2001, riunendole attorno a quel tema affascinante e misterioso che è lo sguardo.

Comunicato stampa

Lo sguardo del ritratto non guarda nulla, e guarda il nulla
Jean-Luc Nancy in “Le Regard du portrait”

RITA URSO è lieta di presentare la mostra The Line of Sight, che ripropone una selezione di opere già esposte in galleria nel corso della sua attività dal 2001, riunendole attorno a quel tema affascinante e misterioso che è lo sguardo. È lo sguardo ad “esporre” il soggetto in pittura e a presentarlo ai nostri occhi, disvelando l’invisibile. Le sue implicazioni rimandano non solo alla relazione tra l’opera d’arte e lo spettatore, tra ciò che viene guardato e chi guarda, ma anche al processo creativo in quanto tale e al farsi dell’opera d’arte. Nello spazio espositivo gli sguardi delle opere sprofondano nei nostri occhi e rimangono sempre attuali nel continuum della relazione visiva, da qui il titolo della mostra. Lo spettatore si ritrova ad essere idealmente avvolto e osservato, quasi scrutato. Il meccanismo che viene a delinearsi è uno scambio reciproco, una dinamica che si sviluppa su diversi livelli temporali e fornisce un dispositivo per riflettere sul mondo contemporaneo e sull’arte stessa.

Così nell’opera Gauguin (2010) dell’artista Thordis Adalsteinsdottir, gli occhi spalancati della figura si aprono sui nostri. La dimensione temporale interpellata è quella onirica che stimola un profondo stato di malinconia e di instabilità del sé. Gauguin è imprigionato su di una superficie piana, in assenza di prospettiva perché coperta abbondantemente da un colore vivace. Nel contempo le armoniose fantasie floreali, in cui il corpo sembra essere immerso, indicano una dimensione redentrice, e quindi una possibilità di felicità e rinascita.
Anche l’immagine fotografica di Renata Poljak Alice Or Where I Am Not Afraid (2002), rimanda alla fantasia onirica: l’artista si autorappresenta ad occhi chiusi, forse dormiente, distesa su un campo di papaveri rossi. Qui si compenetrano uno stato di incertezza e disorientamento di fronte alla realtà della società croata e del comunismo, con una presa di consapevolezza mista al desiderio di andare oltre.
Il presente regna immobile nell’opera Life Interest (2008) di Jelena Tomašević. Il tempo appare sospeso nello sguardo di una donna oppressa contro una grande vetrata, a rappresentare l’impossibilità di realizzare sé stessa in un mondo in cui prevalgono stereotipi, una realtà in bianco e nero priva di ogni elemento emozionale. Il medium pittorico sembra irrompere in una scena di vita quotidiana dove fanno capolino ribaltamenti di luoghi di affezione in prigioni mentali, difficoltà e malesseri psichici, piccole e grandi violenze che turbano il sereno clima domestico.
Nell’opera 20.12.53-10.08.04 (gemellini) (2005/2006) Moira Ricci intreccia il presente con il passato. L’artista si insinua in vecchie fotografie della madre per imprimere in modo indelebile la sua presenza anche in un tempo che non è stato condiviso. I suoi occhi la osservano, indagatori ma affettuosi. Con uno sguardo coraggiosamente disponibile a mettere in gioco la propria emotività, genera un effetto specchio in chi guarda il suo lavoro: è un atto di amore verso la madre, una forma di elaborazione della perdita, che trae però ulteriore forza nella rimessa in questione radicale delle relazioni tra chi guarda e l’oggetto dello sguardo.
Le coppie sorridenti, conformi al cliché della “famiglia felice”, che Adrian Paci immortala pittoricamente in Icons (2001), sembrano non guardare direttamente lo spettatore. I loro occhi, impostati, sono diretti probabilmente verso l’obiettivo di una macchina fotografica. Quei visi hanno già perduto la loro identità individuale e quello che conta è la nuova identità di coppia, che il fotografo cerca di fissare. Con estrema essenzialità l’artista dirige l’attenzione sul potere collettivo esercitato dallo sguardo altrui, esprimendo dunque un comportamento ambiguo, che dapprima seduce lo spettatore per farlo accedere ad una sorta di album privato dei ricordi e poi gli impedisce di penetrarvi davvero, ponendogli di fronte lo schermo di un modello ideale.
Il presente è anche connesso allo sguardo di Emanuele Becheri che, potentemente diretto a chi guarda, sembra rivelare la dimensione dell’attimo in cui nasce l’opera. I disegni di Va, pensiero… (2013) diventano la condizione in cui è possibile esperire e definire il proprio mondo. L’artista si autoritrae in modi bizzarri, sperimentando differenti travestimenti, mutilato, aiutato da bastoni che servono a mantenere il suo fragile equilibro in un mondo capovolto, e mettendo a nudo la propria condizione di marionetta irriverente che ride di sé stessa e del proprio pubblico, ad esibire l’infinita possibilità di metamorfosi dell’autore.
Lo sguardo enigmatico ed inquietante, presentato da ZAPRUDER Filmmakersgroup nel dittico Cordiale. Studio sulla visione binoculare. Ritratto di dama B e G (2017), mette in atto una riflessione interna alla loro pratica artistica-cinematografica, sulle conseguenze di una concezione stratigrafica del tempo, fatto molto spesso di sovrapposizioni piuttosto che di scorrimento. Lo sguardo strabico, laterale, da un lato frammenta la visione divaricandola in due punti di vista, dall’altro le sottrae quella riunione prospettica che permette una dimensione in profondità, tipica del cinema in 3D.
Giada Giulia Pucci con Umano. Vestizioni al suk di Torino, 4/10/20 (2020) rappresenta, infine, uno sguardo senza tempo, assoluto, primitivo. Testimone della memoria del passato ma anche documentazione del futuro. Gli scarti trovati per strada con i quali si veste e si protegge divengono simboli dell'umanità, il suo sguardo si assimila a quello di tutti i popoli di tutti i tempi e registra tutti i mondi esistenti. Si tratta di uno strumento per la sopravvivenza perché, astratto dal contesto, analizza la realtà e si protende oltre, verso il nulla, ovvero verso la fine del mondo.

Gli occhi delle opere presentate in mostra si riflettono nei nostri ed introducono ad una pluralità di orizzonti temporali e di mondi possibili. La reciprocità intrinseca all’atto del vedere costituisce non solo un invito a conoscere e a prendere consapevolezza della realtà che ci circonda ma anche a resistere alle difficoltà dei momenti più bui, come quelli che stiamo vivendo, anche grazie al supporto che quegli sguardi attorno a noi sanno darci.

Thordis Adalsteinsdottir (Reykjavik, 1975) vive e lavora a New York. Ha esposto nei maggiori musei e gallerie internazionali, comprese le mostre al The Reykjavik Art Museum, al Knoxville Museum of Art, Henie Onstad Kunstsenter a Oslo, Den Frie Udstilling a Copenhagen, Konstakademien a Stoccolma e al Royal College of Art a Londra. Nel 2008, Adalsteinsdottir ha partecipato al prestigioso Carnegie Art Award for Nordic Painting. Nel 2010 ha esposto presso Artopia Gallery, Milano con Have no fear.
Emanuele Becheri (Prato, 1973) si diploma all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1995. Il suo lavoro mostra un’idea di disegno espanso attraverso varie modalità e mezzi diversi, gli ultimi lavori sono spesso legati al video. Becheri ha esposto frequentemente in Italia e all’estero tra cui si ricordano le personali presso: MAN, Nuoro (2013), Museo Marino Marini, Firenze (2009) e PAC, Padiglione d’Arte Contemporanea, Ferrara (2009). Ha preso inoltre parte ad importanti collettive presso: MART, Rovereto (2013), American Academy, Roma (2012), Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Guarene (2009) e Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato (2009). Rappresentato da Rita Urso, tra le esposizioni realizzate presso RITA URSO Artopia Gallery, Milano si ricorda la personale Va, pensiero… del 2015.
Adrian Paci (Shkoder, 1969) vive e lavora a Milano. Ha lasciato il suo paese natale, l'Albania, nel 1997, durante i tempi turbolenti dell'incertezza politica e dell'instabilità. Da allora, il suo lavoro autoreferenziale sviluppa il tema dello sfollamento e della perdita, spesso riflettendo sul trauma della separazione e della nostalgia del migrante. Ha rappresentato due volte l'Albania alla Biennale di Venezia, nel 1999 e nel 2005. Le sue opere sono state presentate in numerose mostre internazionali, come nelle personali al MAXXI, Roma (2015), Musée d'Art Contemporain, Montréal (2014), Galeries Nationales du Jeu de Paume, Parigi, (2013), Kunsthaus Zurich (2010), Kunstverein, Hannover (2008) o CCA, Tel Aviv (2008). Nel 2001 ha esposto presso Artopia Gallery, Milano con la mostra personale Home Sweet Home.

Renata Poljak (Spalato, 1974) utilizza nei suoi lavori diversi media: video, film, installazioni e foto. Le sue opere sono state esposte in numerose mostre personali e collettive nazionali e internazionali, biennali e festival cinematografici. Ha ricevuto numerosi premi, come il Golden Black Box per il miglior cortometraggio al Festival Black Box di Berlino, tenutosi a Babylon Cinema nel 2006, o il premio T-HT - uno dei più importanti premi d'arte contemporanea in Croazia, nel 2012. I suoi film sono stati proiettati in Prospective Cinema (Prospectif Cinéma) al Centre Georges Pompidou di Parigi. Al Palais de Tokyo le opere cinematografiche e video di Renata Poljak sono state proiettate nel novembre 2012 e nel 2013 la sua mostra personale alla Stephan Stoyanov Gallery di NYC è stata selezionata come la miglior mostra di gennaio a NYC dal Village Voice. Nel 2009 ha esposto presso Artopia Gallery, Milano con I need to believe in something.

Giada Giulia Pucci (Ginevra, 1974) vive e lavora tra Torino e Londra. Le sue opere sono state presentate in alcune mostre personali: Galleria FormContent, Londra (2009), Villa Capriglio, Torino (2007), A+M Bookstore, Milano (2005), Teatro delle Commedie di Livorno (2004); e mostre collettive: Fortezza Vecchia, Livorno (2009), Assab one, Milano (2007), Castello Colonna di Genazzano, Roma (2006), ArtandGallery, Milano (2005), Galleria Guidi, Accademia di Belle Arti Bologna (2002). Nel 2008 e nel 2010 ha esposto presso Artopia Gallery, Milano rispettivamente con ARTOPIA_008 e 009_010.

Moira Ricci (Orbetello, 1977) vive e lavora in Italia. Il suo lavoro (fotografia, video, installazione), spesso autobiografico, indaga l'identità individuale e sociale, la storia familiare, la casa e il legame originale con il territorio, intrecciando l'invenzione tecnologica alla riscoperta di un’immagine dell'apparenza popolare. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, come il Primo Premio Riccardo Pezza (2000), l'International Residency Program di Location1, New York (2007), il 23° Premio Gallarate Pezza (2009). Le sue opere sono state esposte in diverse personali e collettive nazionali ed internazionali tra cui: Leeahn Gallery, Daeigu (2014), MAMBO (Museo d’arte moderna di Bologna), Bologna (2013), Galleria D’Arte Contemporanea Laveronica, Modica, Ragusa (2012), Strozzina-Palazzo Strozzi, Florence (2009), Centre Pompidou, Paris (2009), Padiglione D’arte Contemporanea, Ferrara (2009), White Box, New York (2008). Nel 2006 ha esposto presso Artopia Gallery, Milano con la mostra Interfuit.

Jelena Tomašević (Podgorica, 1974) vive e lavora tra il Montenegro e la Bosnia Herzegovina. Ha conseguito la laurea in belle arti all’accademia di Cetijie, Montenegro. Il suo lavoro è stato esposto in diverse istituzioni museali quali la Kunstalle Fredricianum, Kassel, Germania, Centro per l’arte contemporanea di Podgorica, Montenegro, Il museo nazionale del Montenegro, la Whitebox Art Center di New York, USA, la nona Biennale Internazionale di Istanbul, Turchia. Ha rappresentato Serbia e Montenegro alla 51esima Biennale d’arte di Venezia. Nel 2017 ha vinto la 23esima edizione dell’Onufri Prize, presso la galleria Nazionale di Tirana, Albania, con la curatela di Gaetano Centrone. Artista rappresentata da Rita Urso, negli anni 2007, 2010 e 2019 ha esposto presso Artopia Gallery, Milano con le personali Just kidding, Apparent servitude e Mixed Memories.

ZAPRUDER filmmakersgroup è una art-film venture fondata nel 2000 da David Zamagni (Rimini, 1971), Nadia Ranocchi (Rimini, 1973) e Monaldo Moretti (Recanati, 1972), con sede a Roncofreddo e dedita all’esplorazione dell’immagine in movimento. Sono registi e artisti visivi italiani, ideatori e produttori di film, video installazioni e live performance finalizzate alla ripresa filmica. Il loro nome collettivo fa riferimento al cineamatore Abraham Zapruder, autore dei celebri fotogrammi che catturarono l’omicidio Kennedy. Nel 2011 le loro produzioni filmiche in 3D sono state premiate alla 68° Mostra del Cinema di Venezia. Nel 2016, hanno ricevuto il Premio MAXXI per l'arte contemporanea. Nel 2020 hanno partecipato al Festival Internazionale del Cinema – Berlinale e alla Quadriennale d’arte 2020 FUORI, Roma. Sostenuti da Rita Urso, nel 2015 hanno esposto per la prima volta presso RITA URSO Artopia Gallery, Milano con la mostra personale Fault.