Tappeti di guerra

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA SPAZIA
Via Dell'inferno 5, Bologna, Italia
Date
Dal al
Vernissage
23/11/2013

ore 18

Curatori
Enrico Mascelloni
Generi
arte etnica
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Verranno presentati Tappeti di Guerra realizzati in Afghanistan e nella Frontiera di Nord-Ovest del Pakistan tra gli anni ’70 e oggi. Dunque tra gli ultimi fasti dell’ Hippy Trail, che conduceva molti giovani occidentali verso l’India, in genere via terra, e lo scoppio (1979) della sequenza incessante delle guerre afghane, ancora in pieno corso.

Comunicato stampa

Dopo la mostra sui feltri dell'Asia Centrale, la Galleria Spazia torna a distanza di oltre dieci anni ad indagare una delle più sorprendenti manifestazioni visuali dell'Asia Centrale. Si tratta ancora di una grande tradizione collettiva, ma assai più recente e carica di tutte le inquietudini e gli allarmi della Storia in atto. Verranno infatti presentati Tappeti di Guerra realizzati in Afghanistan e nella Frontiera di Nord-Ovest del Pakistan tra gli anni '70 e oggi. Dunque tra gli ultimi fasti dell' Hippy Trail, che conduceva molti giovani occidentali verso l'India, in genere via terra, e lo scoppio (1979) della sequenza incessante delle guerre afghane, ancora in pieno corso.

Ormai noti anche in occidente, esaminati in articoli divulgativi e saggi specialistici che ormai formano una vasta bibliografia, i tappeti di guerra di alta qualità sono però rari, appartenendo alla prima fase del periodo preso in esame. La maggior parte delle opere in mostra appartiene a tale categoria, sebbene abbiamo ritenuto opportuno inserirne alcune delle fasi successive, di minore qualità tecnica ma capaci di restituire la complessità “pop” di uno tra i più sconvolgenti fenomeni della visualità contemporanea. Insieme alle grandi mappe del mondo circondate dalle bandiere dei rispettivi Paesi e da sequenze di veicoli militari (così contigue alle celebri “Mappe” di Alighiero Boetti e ai tappeti di Aldo Mondino), verranno esposti manufatti più recenti, come il “Tappeto con il Dollaro”. Altri tappeti rappresentano paesaggi urbani, legati alle aree di provenienza (come Sidney o San Francisco) da cui arrivavano in un Afghanistan ancora pacificato i giovani “frikkettoni” in viaggio verso l'India.

I tappeti di guerra hanno goduto di notevole fortuna in musei e gallerie d’arte contemporanea. Ne sono stati capaci grazie all’originalità e alla tensione innovativa delle rappresentazioni e dei linguaggi, in quanto opere d’arte capaci di toccare le corde più esigenti di una visualità contemporanea che ha bisogno, per non addormentarsi, di emozioni forti. I più pregiati sono da tempo ricercati oggetti da collezione. Ma la loro origine è in parte ancora misteriosa e per il curatore della mostra, Enrico Mascelloni, gli esemplari più vecchi precederebbero persino la sequenza delle guerre afghane recenti, iniziata con l’”aiuto fraterno” dell'impero sovietico (1979) e tutt'ora in corso grazie all'”esportazione della democrazia” dell'impero americano.

Prima di diventare un oggetto del conflitto (il suo oggetto par excellance), i Tappeti di Guerra erano un oggetto della modernità (l’oggetto moderno par excellence, soprattutto nelle celebrazioni marziali dei paesi del cosiddetto terzo mondo, ricalcate sul modello delle parate sovietiche). In alcuni esemplari assai vecchi le armi circondano infatti scene tutt’altro che belliche, come l’immagine che celebra la costruzione di una diga o il planisfero politico del mondo circondato dalle bandiere di quasi tutti i paesi o il ritratto di Amanullah, il re modernista. Ormai sono considerati “tappeti di guerra” anche quelli in cui non compaiono armi ma che rappresentano vedute contemporanee. I Tappeti di Guerra non sono dunque un cortocircuito nel corpo di una tradizione inerte, ma lo sviluppo pur imprevedibile di una modernità che li precede e li suggerisce, o per meglio dire che li rende possibili dentro e oltre la guerra stessa.
La produzione continua massiccia per tutti gli anni ’80 e ’90. Persino l’ossessiva iconoclastia talebana tollererà la sua rappresentazione, e nei non rari gadget di propaganda filotalebana in vendita nei banchi di arruolamento della Frontiera di Nord-Ovest scintilleranno spade e scimitarre, ma saranno altrettanto scintillanti, contro un cielo immacolato o sopra le cupole blu dell’Hazrat Ali di Mazar, i più moderni caccia e tank che molto debbono all’iconografia dei tappeti di guerra. Dopo il 2001 si assiste a una proliferazione senza precedenti di tappeti di guerra di propaganda filoamericana, come quello con le due torri in fiamme. La qualità è sempre più scadente, ma la potenza “pop” dell'immagine può arrivare a ideare un tappeto in forma di dollaro e delle dimensioni di una “preghiera”. Chi ci si siederà sopra potrà trovarlo inadeguato agli esercizi spirituali, ma non avrà alcuna difficoltà a sentircisi nell'epoca globale.

“Sono stati necessari altri ritrovamenti per risalire da quel tappeto di guerra che mi aveva sorpreso nella Peshawar della metà degli ’80, ad una vera e propria tradizione modernista che affonda nei decenni precedenti e di cui di tanto in tanto affiorano esemplari sorprendenti come un tappeto con le Geishe e gli aeroplani. Nonostante ben sapessi che nemmeno le più audaci rivoluzioni formali dell’avanguardia fossero nate dal nulla per semplice cortocircuito creativo o sotto la meccanica pressione di eventi epocali, anch’io ero arrivato a ritenere che i tappeti di guerra, confortati in questo dal disastro in corso, fossero il portato di un atto collettivo la cui origine, pur recente (allora recentissima), era già annegata nel macello in opera. Ci volle più tempo e soprattutto la scoperta dei “Tappeti con il mondo” eppoi di altri manufatti non meno sorprendenti per convincermi che i Tappeti di guerra erano soltanto l’atto più recente, e in qualche modo finanche “decadente”, di una produzione modernista che li precedeva di molti anni. Le armi moderne, avevo notato, figuravano in molti esemplari di soggetto vario che plausibilmente precedevano l’occupazione sovietica e lo scoppio del conflitto” (Mascelloni)

Inaugura l’11 ottobre DECORUM al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris