Storie della prima Parma

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA NAZIONALE - PALAZZO DELLA PILOTTA
Piazza Della Pilotta , Parma, Italia
Date
Dal al

martedì - venerdì: ore 9,00-17,00 / sabato, domeniche e festivi: ore 12,30-19,30

Vernissage
12/01/2013

su invito ore 16.30, Sala dei Busti al II piano del Palazzo della Pilotta) con successivo trasferimento al piano sottostante (I piano) dove ha sede il Museo Archeologico Nazionale, sede della mostra

Contatti
Email: info@spsadpr.it
Biglietti

€ 4,00; Per informazioni 0521233718

Patrocini

La mostraè promossa da Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per le Antichità e Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, in collaborazione con Fondazione Cariparma e con il contributo del Comune di Parma

Curatori
Luigi Malnati, Daniela Locatelli, Daniele F. Maras
Uffici stampa
STUDIO BEGNINI
Generi
archeologia
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Attraverso i materiali provenienti dagli scavi più recenti condotti a Parma e nel suo circondario, la mostra illustra il processo di formazione della città, dai villaggi sparsi di età preromana che documentano i forti legami con il mondo etrusco e gli altri ambiti culturali circostanti, fino alla fondazione della colonia romana, definitivamente collocata là dove la città si è poi sviluppata nel corso dei secoli successivi.

Comunicato stampa

La mostra “Storie della prima Parma. Etruschi, Galli, Romani: le origini della città alla luce delle nuove scoperte archeologiche” offre la possibilità di apprezzare le più recenti scoperte archeologiche sulle origini della città di Parma, grazie all’esposizione dei risultati di una serie di fortunati scavi condotti dalla Soprintendenza negli ultimi dieci anni.
Parma è una città dalle molte storie, nata più volte a partire dall’età del Ferro, quando una serie di villaggi sorgevano tutto attorno all’area urbana moderna: a via Saragat, S. Pancrazio, Casalora e Petrignano.
L’esposizione illustra gli scavi di abitato e necropoli che evidenziano la natura composita della cultura di Parma arcaica, città di “frontiera”, che ad una componente etrusca aggiunge influenze liguri e celtiche.
Tra V e IV secolo a.C. la città si restringe fino quasi a sparire, per tornare poi nel III secolo a.C. ad ospitare un insediamento gallico, che prelude alla fondazione della colonia romana del 183 a.C., sul luogo ancora occupato dalla città moderna.
Le ricche testimonianze di questa fase comprendono monete, statuette di metallo e terracotta, vasellame ed altri oggetti, riuniti in una suggestiva esposizione, che permette di entrare nell’atmosfera dell’antica città, attraversando un ponte tra il tempo e lo spazio.
La Direzione Generale per le Antichità e la Fondazione CariParma intendono così restituire ai cittadini il patrimonio di notizie storiche scaturite dal lavoro della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, un’attività resa possibile dalla capacità di conciliare le esigenze dell’archeologia moderna con le necessità di scavo derivanti da lavori pubblici e dall’attività edilizia.
La mostra è promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per le Antichità, e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, con il sostegno di Fondazione Cariparma e il contributo del Comune di Parma.
L’esposizione è corredata da tre pubblicazioni (Storie della prima Parma. Etruschi, Galli, Romani: le origini della città alla luce delle nuove scoperte archeologiche, catalogo della mostra, Storie della prima Parma, guida breve alla mostra, e Parma etrusca, volume di studi miscellanei) edite dalla casa editrice «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER che è anche concessionario unico per la realizzazione dell’esposizione. Il catalogo è stato realizzato con il contributo dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili di Parma.

Comitato scientifico:
Daniela Locatelli (Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna)
Luigi Malnati (Direttore Generale per le Antichità)
Daniele F. Maras (Sapienza Università di Roma)
Main sponsor: Fondazione Cariparma
Con il contributo di: Comune di Parma
Da un progetto di: «L’Erma» di Bretschneider
cartella stampa su http://www.studiobegnini.it/index.php?section=eventi
Ufficio Stampa mostra: StudioBegnini – Roma tel. 06 83902768 [email protected] www.studiobegnini.it
Il percorso della mostra

L’esposizione si articola in quattro sezioni, disposte lungo il normale percorso di visita del Museo Archeologico Nazionale di Parma, a partire dalla stanza che normalmente ospita il ciclo scultoreo giulio-claudio di Veleia.

Sala 1 – Sulle tracce degli Etruschi
I pannelli didattici e le vetrine formano una sorta di teatro attorno alla grande carta del territorio di Parma che campeggia al centro della sala; su questa sono indicate le scoperte archeologiche e gli scavi illustrati dall’esposizione, per lo più riferibili a un periodo compreso tra la fine del VII e gli inizi del V secolo a.C.
Sul lato destro sono trattati temi generali sulla civiltà etrusca e la sua presenza nella pianura Padana: apparati grafici e immagini proiettate introducono il visitatore al panorama storico e culturale che fa da cornice ai materiali in mostra.
Una piccola gradinata coronata dalle silhouette di tetti di capanne immaginate come uno sfondo lontano, consente di assistere seduti alla presentazione delle immagini. Ai lati della gradinata due grandi spazi vetrati ospitano i materiali archeologici che meglio illustrano i legami della Parma arcaica con l’Etruria, nonché le svariate e possibili sfaccettature che tali rapporti potevano assumere, dalla presenza di persone che parlano e scrivono in etrusco (iscrizioni su vasi), agli scambi commerciali (le importazioni di bucchero con stampiglie), all’imitazione di forme e oggetti tipici, che segnalano così la vicinanza culturale dei due ambienti.

Sala 2 – Vivere in un villaggio dell’età del Ferro
La seconda sezione affronta i temi della vita quotidiana e del lavoro nei villaggi di Parma arcaica, tramite ricostruzioni grafiche e ambientali disposte ai lati di una rampa che porta alla sala successiva.
Su un lato il visitatore è illusoriamente introdotto nello spazio interno di una capanna di VI secolo a.C., ricreata sulla base dei resti rinvenuti in quella scavata in Via Saragat: la riproduzione a terra di quanto messo in luce in scavo, è completata a parete dalla ricostruzione ipotetica del suo interno, mentre alcuni pannelli illustrano le fonti grazie alle quali possiamo immaginare l’aspetto di queste abitazioni e il loro evolversi nel corso del tempo.
L’altra metà della sala è invece occupata dalla riproduzione a grandezza naturale di un settore dello scavo in località San Pancrazio dove è stato rinvenuto un grande impianto per la produzione della ceramica, caratterizzato dalla presenza di molte fornaci di cui rimangono le fosse delle camere di cottura con le pareti arrossate dal calore della combustione. Il funzionamento delle strutture antiche e la loro struttura in alzato è illustrato da pannelli disposti lungo le pareti.
Due vetrine espongono infine materiali provenienti dai villaggi parmensi di S. Pancrazio, strada Baganzola, via Saragat, Casalora di Ravadese, appositamente scelti per illustrare, oltre alla produzione di vasi e alle sue caratteristiche, i principali aspetti della vita quotidiana, quali abbigliamento, tessitura, conservazione e consumo dei cibi.

Sala 3 – Rituali sacri e funerari
Apre la terza sala l’esposizione di uno scheletro di bue, conservato ancora all’interno del proprio pane di terra, asportato in blocco in corso di scavo. Lo scheletro è stato rinvenuto con altri animali all’interno di una fossa in località via Saragat, dove – ai margini dell’area abitata – erano anche alcune sepolture. La posizione dell’animale al momento del ritrovamento, con le zampe legate a due a due tra di loro, fa pensare che fosse stato ucciso e intenzionalmente deposto integro, forse come offerta alle divinità dell’oltretomba. Sulla parete soprastante, un video illustra le principali fasi della scoperta, ripulitura, consolidamento e asportazione dello scheletro stesso.
Sempre ai margini di una piccola necropoli, in località Pedrignano (area SPIP), è stata rinvenuta una grande quantità di vasellame in bucchero di forme e dimensioni del tutto particolari, che è stato possibile ricostruire parzialmente grazie al paziente lavoro dei restauratori della Soprintendenza. Si tratta di alti sostegni e di vasi di grandi dimensioni probabilmente utilizzati per cerimonie rituali legate al culto dei morti e poi intenzionalmente fratturati e raccolti all’interno di una grande fossa collocata in prossimità delle sepolture.
I corredi di due tombe a dolio rivenute in strada Baganzola servono a illustrare un aspetto tipico dei rituali funerari di VI secolo a.C. nella parte più occidentale della pianura emiliana. In questo periodo essa è infatti disseminata di piccole necropoli in cui tombe a inumazione entro fossa si mescolano a sepolture nelle quali le ceneri dei defunti vengono deposte in grossi contenitori (dolî) insieme a oggetti di abbigliamento in bronzo come fibule, ganci di cintura e pendagli. Una di quelle rinvenute più di recente a Casalora di Ravadese – esposta in modo da riprodurre fedelmente la situazione di scavo, con il dolio ancora sepolto e l’imboccatura appena affiorante dal terreno – doveva forse appartenere a un guerriero di origine straniera sepolto insieme al suo pugnale, in cui la particolare terminazione del fodero ricorda armi della zona alpina e transalpina nord-orientale.
Si riferiscono a necropoli di un periodo leggermente più recente, datate tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C., le tombe scoperte recentissimamente in località Botteghino: qui si riscontra invece l’uso di coprire le sepolture con grandi calotte di terra, fino a formare i cosiddetti tumuli, presenti sia in molte culture dell’Italia antica, che nel mondo celtico transalpino. Spesso completati da recinti e palizzate, i tumuli funerari racchiudevano le sepolture di più individui membri di uno stesso gruppo familiare, di cui celebravano l’importanza proprio per la loro caratteristica di ‘marcare’ il paesaggio e di essere visibili anche da lontano. I corredi della necropoli di Botteghino sottolineano inoltre - con la presenza di ornamenti in ambra, corallo e conchiglie - i legami di carattere ‘internazionale’ che queste famiglie altolocate intrattenevano con il mondo mediterraneo, tramite doni reciproci o scambi commerciali.
Conclude la sezione dedicata alla fase preromana di Parma, un gruppo di piccole teche inquadrate da un ricco apparato illustrativo, nelle quali sono esposti vasi, frammenti ceramici e ornamenti in bronzo che per la loro forma o decorazione si avvicinano a quelli prodotti nelle aree culturali limitrofe, come quella veneta e ligure, o quella celtica della cosiddetta cultura di Golasecca. A dimostrare che, sebbene profondamente etruschizzati, i villaggi della Parma arcaica erano collocati in “territorio di frontiera” esposto a molteplici influenze, nonché alla possibilità di un popolamento misto proveniente dalle regioni circostanti.

Sala 4 – Un nuovo inizio: la romanizzazione
L’ultima sala intende illustrare il processo di formazione che porta alla costituzione della colonia romana di Parma nel 183 a.C. e le prime fasi di vita della città fino al triste periodo delle guerre civili, quando essa, schierata con il Senato, venne distrutta dalle soldataglie di Marco Antonio.
Il passaggio di quasi due secoli che porta dal popolamento sparso dell’età del Ferro alla costituzione di un villaggio unico e stabile presso un guado del torrente Parma nel III secolo a.C., fino alla fondazione coloniaria, è scandito da un ponte in legno che simbolicamente attraversa, con il corso del fiume, anche quello del tempo. A destra del ponte sono esposti prima i reperti relativi agli strati più antichi della città, attribuibili al villaggio dove convivevano Galli e Liguri ma in cui già giungevano anche importazioni dall’area centro-italica, poi tre grandi falci in ferro rinvenute sovrapposte l’una sull’altra, deposte secondo un probabile rito di fondazione di origine celtica.
Il ponte conduce verso il guado del torrente Parma: il corso del fiume è reso grazie a un effetto multimediale proiettato sul pavimento, dove sembrano immerse le due vetrine che espongono i reperti del recentissimo scavo presso piazza Ghiaia. Qui è venuta in luce una grande stipe votiva piena di reperti in metallo (statuette, elementi decorativi e di abbigliamento, placchette iscritte, oggetti simbolici, tutti spesso frammentari) e moltissime monete. Si tratta della testimonianza di un rito di passaggio che consisteva nel sacrificare alla divinità fluviale un obolo per garantirsi la buona sorte: le monete si datano a partire dalla fine del III secolo a.C., quindi all’epoca del villaggio gallico, e arrivano fino alla prima età imperiale.
Un altro importante santuario di età repubblicana, datato tra il III e il II secolo a.C., era collocato dall’altra parte della città, in viale Tanara. Dedicato a divinità femminili, probabilmente Cerere e Proserpina, ha restituito statuette in terracotta e, da un pozzo sacro, una palla in legno, reperto rarissimo che rappresenta l’offerta di una fanciulla che passava dalla pubertà all’età adulta.
L’ultima vetrina, ricca di numerosi reperti in ottimo stato di conservazione provenienti dallo scavo della Sede della Cassa di Risparmio, documenta la vita della colonia in età repubblicana, con le ceramiche locali, quelle d’importazione e i reperti architettonici provenienti dal Capitolium, il principale tempio della Parma romana.
L’esposizione si conclude con la foto dell’epigrafe monumentale di Lucio Mummio, il conquistatore di Corinto del 146 a.C. e forse uno dei protettori della città, il cui originale è esposto nella sala al piano inferiore del Museo, e con la tabella bronzea su cui è incisa la legge che sancisce il raggiungimento della cittadinanza romana da parte degli abitanti della Gallia Cisalpina.
Il perché di una mostra
Le fonti antiche raccontano che Parma, fondata come colonia romana nel 183 a.C., si sviluppò su un territorio appartenuto prima agli Etruschi e poi ai Galli.
Sorta su un sito che alla disponibilità d’acqua e di terreno edificabile sommava una posizione strategica, lungo le antichissime vie commerciali che attraversavano la regione emiliana, Parma è una città nata più volte. Per questo la mostra “Storie della prima Parma”, allestita al Museo Archeologico Nazionale, parla appunto di ‘storie’, alludendo fin dal titolo ai diversi momenti di sviluppo della città che hanno determinato, nel tempo, vere e proprie soluzioni di continuità e nuovi ‘inizi’ della sua vicenda storica.
Le scoperte archeologiche dell’ultimo decennio, finora inedite, hanno riportato alla ribalta il ruolo di Parma in epoca preromana nell’ambito della regione emiliana occidentale, da sempre ‘terra di confine’ tra l’Etruria vera e propria e le culture dell’Italia settentrionale (Veneti, Liguri, cultura di Golasecca), nonché punto di passaggio obbligato per le comunicazioni con i Celti d’Oltralpe. Si tratta di una serie di insediamenti stabili e sepolture collocate intorno al centro urbano attuale che testimoniano una continuità di occupazione che parte almeno dal VII secolo a.C. avanzato. Caratterizzati da reperti che evidenziano profondi legami con il mondo etrusco, questi ritrovamenti mostrano al tempo stesso tratti riconducibili a una ‘cultura mista’ determinata dalla posizione della città e dal suo contatto con le diverse culture circostanti, consentendo di chiarirne meglio il ruolo storico anche nel più vasto ambito regionale.
Gli scavi hanno portato alla luce anche testimonianze archeologiche della prima occupazione di Parma in epoca romana, dopo una ‘parentesi’ gallica durata più di due secoli, di cui solo ora sono state scoperte le prime testimonianze materiali. Si è così constatato come, dopo la parentesi del V e del IV secolo a.C. in cui le scarse testimonianze sembrano attestare la riduzione o la scomparsa dei centri abitati precedenti in corrispondenza della prima presenza celtica nella pianura Padana, nel corso del III secolo il popolamento di Parma abbia conosciuto un rinnovamento in forme strutturate, con una concentrazione di tracce di abitato nel sito della città attuale che preludono all’installazione della colonia nel 183 a.C.
Sarà dunque nel contesto di un centro già formato, che in età gallica aveva rivitalizzato il precedente popolamento etrusco di età arcaica, che si installeranno i coloni Romani. Di questa colonia gli scavi degli ultimi decenni hanno rivelato le testimonianze più antiche, sia dal punto di vista della vita civile che delle forme di culto, dove meglio si esprime il confronto tra la cultura italica e latina, e il mondo celtico e ligure.
Grazie a un esemplare incontro tra i dati archeologici e le fonti letterarie (che in futuro avrà eco anche nei libri di scuola), viene così pienamente confermato il resoconto dello storico latino Tito Livio, che ricorda come “a Modena e a Parma furono fondate colonie di cittadini Romani, nel territorio che poco prima era stato dei (Galli) Boi, e prima ancora degli Etruschi”.
Obiettivo primario dell’iniziativa, che coinvolge istituzioni pubbliche e private sia locali che a livello nazionale, unite nel comune intento di promuovere e diffondere la conoscenza dell’archeologia in ambito locale ed internazionale, è presentare le nuove scoperte di scavo avvenute in anni recenti nel territorio di Parma, scoperte che contribuiscono a ridisegnare il quadro storico finora noto per le fasi più antiche della città.
Per valorizzare nel senso più ampio tali ritrovamenti, si è scelto da un lato un consistente aggiornamento dei dati noti accompagnato da approfondimenti storico-critici attraverso una pubblicazione scientifica destinata agli specialisti, dall’altro una ‘restituzione’ degli stessi dati alla cittadinanza mediante un’esposizione temporanea rivolta al grande pubblico. Questo nella convinzione che portare fuori dal ristretto ambito accademico conoscenze – che entrino a far parte del patrimonio di tutti e contribuiscano all’acquisizione di una maggiore identità culturale – possa dare un maggiore senso all’attività di tutela condotta quotidianamente dalla Soprintendenza, agli oneri economici sostenuti dai tanti imprenditori che si trovano confrontarsi con il problema dei rinvenimenti archeologici, ai piccoli disagi inflitti alla cittadinanza con l’esecuzione degli scavi.