Sono apparso alla Madonna

Informazioni Evento

Luogo
ART ON STAGE
Via Oberdan 11 , Vigevano, Italia
Date
Dal al

dalle 15 alle 19.

Vernissage
28/01/2012

ore 18

Generi
performance - happening, musica
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Un progetto performativo che unisce la pittura di Luca Borchio alle impressioni musicale del maestro Luca Casarotti.

Comunicato stampa

Sabato 28 gennaio 2012 alle ore 18 ART on STAGE presenta una evento artistico che unisce pittura e musica. Un progetto realizzato da Luca Borchio e Luca Casarotti.
Testo critico a cura di Simone Piccolo.
Ma che cos’è poi l’arte (se non un meraviglioso, dunque inutile, scomodando OW, spreco di tempo)?

Cosa non è, innanzitutto.

L’arte non è accondiscendente, commerciale, criticabile, nel senso antico, dunque giudicabile, “cialtrona e puttanesca”, comprensibile. Al di là del discorso ormai scontato circa quel che è o non è artistico (quel vaso, quella tela, quell’opera), che finisce sempre noiosamente in uno sproloquio sul bello, quindi sul “mi piace” soggettivo che produce avvilimento in qualsiasi conversazione del dopocena, vogliamo una buona volta disfarci alla violenta maniera futurista di tutti quei dannosi pre- (-concetti, - giudizi, -amboli, -cetti) e dei musei e dei tomi e di quegli orpelli didascalici che hanno inevitabilmente corrotto il genio (in-genuo) primordiale dell’uomo, che è poi quello del bambino. Affidarci alla Scuola per disfarci della vera conoscenza, che paradosso; dis-imparare è allora l’unica strada verso la vera stupidità, ammesso che lo stupido è colui che, da stupeor, si sa stupire, anche delle piccole cose. Al diavolo allora la prospettiva, le tre dimensioni, il bello estetico (oggettivo e non), la scrittura di scena, la commedia, gli endecasillabi, il contorno, la tecnica dell’acquarello in 12 uscite a 5 euro e 99, le file interminabili di morti in piedi di fronte alla Monna Lisa, le melodie gradevoli, il vano sforzo di trovare dell’arte laddove non ve n’è traccia, la scoreggia di Stato.
Sprogrammare il nostro copione all’interno dell’impalcatura sociale, quella dei ruoli predefiniti per intenderci, quella della macchina che tutto piega e dalla quale non si scappa, che tutto standardizza, per giungere infine oltre il luogo comune della professione che tristemente ci caratterizza (si è laddove si ha un lavoro) per rispondere alla domanda “cosa fai nella vita?” con un “niente” (e, se si ardisce, aggiungendo “sono un artista”). Ecco la vera conquista, ovvero la maggiore perdita: svestirsi degli abiti di scena e rimanere come (non) si è.
Nota importante: nonostante l’invito a far della nostra vita un capolavoro, l’arte rimane un canale aristocratico, per pochi, se non, per assurdo, addirittura per nessuno, come doveva esser vuoto il teatro di CB per giungere al significato profondo. Vi potreste infatti immaginare un mondo in cui ognuno se ne andasse in giro propagandando la propria arte, con la presunzione, dunque la convinzione, di produrre qualcosa che davvero aneli a tale grado? Si avrebbe la stessa mediocrità diffusa dei nostri tempi, nessuna differenza. Il mondo ideale, quello in cui si avrà lucidamente realizzato che l’unica libertà di cui l’uomo necessita è quella dal lavoro, fornirà all’uomo stesso il modo (e, ancor più importante, il tempo!) per esprimere se stesso nella forma migliore, ma non farà di ogni uomo un artista.
Il mio scarso senso estetico non mi consente un valido giudizio artistico su LB, del resto per comprendere un artista ci vuole un altro artista. Diffido in generale dei presunti artisti come di tutto ciò che mi viene propinato come espressivismo/postmodernismo/ostruzionismo/innovazionismo e così via. Il mio semplice elogio va alla sua non volontà di condurre una rivoluzione di alcun genere, di non volersi proporre con alcuna veste. La sua è la semplice espressione di un germe che, nato in un territorio e fra gente ostili alle contaminazioni culturali, va propagandosi, dicendo qualcosa di nuovo. Lo diceva già con le foto trattate chimicamente; con i Lego, cappello in mano ed emozioni di plastica; i passaggi a livello infuocati dal passaggio di un treno senza sosta; e con i cieli di Vigevano come quelli di un assolato pomeriggio castigliano. Lo dice oggi, tendendo alla benefica fusione musica-pittura, che è poi quel che più mi interessa, alla ricerca di un punto di incontro, di un mancamento, di una piccola estasi, nell’atto fisico di disvelamento della tela (momento visivo) e di coincidenza con la melodia prodotta (momento uditivo) da chi, non vedente, è l’incorrotto per natura.
Un’arte senza bisogno di spiegazioni. E’ poi arte se ciò che è esposto non ha vita se non in relazione alla placca metallica posta lì di fianco, in funzione codificatoria? E’ arte se non è immediatamente percepibile? Torniamo ad un’arte reale, cioè fine a se stessa, che ci scuote in un intimo che non conosciamo e che, per questo, ci soddisfa. Si bandisca il progetto, la volontà, il pensiero. Si torni a teatro, alle mostre, alle arene, con la coscienza di abbandonarsi alla fatica dell’arte, senza domande. Se ne esca penetrati, scossi, violentati e inevitabilmente impossibilitati di raccontare, a chi non c’era, a che cosa abbiamo assistito.
Ecco, là è l’arte.