Sergio Alberti – Frammenti di un territorio
Si intitola Frammenti di un territorio la personale dello scultore Sergio Alberti.
Comunicato stampa
Si intitola Frammenti di un territorio la personale dello scultore Sergio Alberti, protagonista nella Sala mostre del Castello Visconteo di Pavia da sabato 8 novembre (inaugurazione ore 18) e fino a domenica 7 dicembre 2014. La mostra, il cui sottotitolo è Opere in bronzo e carta 1981-2014, si propone come un’antologica dell’artista pavese, e dai primi lavori – Germinatoio e Struttura orizzontale – conduce fino ai più recenti Tracce di un territorio e Tracce senza fine, in un viaggio tra le carte, che rappresentano lo scheletro, l’anima, il presupposto della scultura, il suo fantasma, e le opere in bronzo, il metallo nobile, che calca a pennello le esperienze plastiche.
Filo conduttore è la poetica del frammento, attorno a cui ruota tutta la produzione di Alberti.
Osservando tutti insieme i lavori esposti in questa mostra – dichiara Giacomo Galazzo, Assessore alla Cultura del Comune di Pavia –, si rimane colpiti dalle stratificazioni materiche e concettuali che caratterizzano l'approccio creativo di Alberti, sempre sostenuto da un attento studio dei rapporti spaziali che lo ha portato a progettare anche elementi di arte sacra contemporanea e importanti opere pubbliche. Tra queste, vale la pena ricordare la scultura di dimensioni monumentali realizzata nel 2010 in seguito al concorso internazionale bandito per celebrare i 70 anni dell'Ospedale Niguarda Ca' Granda di Milano: un "Raggio di sole" che illumina la nuova ala dell'Istituto di cura milanese, affiancandosi alle opere storiche di Francesco Messina, Arturo Martini e Mario Sironi presenti negli stessi spazi.
“Ho buttato a terra la forma e sono ripartito dai frammenti”, dice Sergio Alberti: la terra, il grumo materico sono il suo territorio di ricerca, e le sculture ricordano reperti archeologici, con le ferite del tempo ben in vista; una sorta di archeologia della materia. È un gioco per Alberti, e la materia un volume con cui giocare: da creare, spaccare, e scoprire cosa si nasconde tra le crepe e i frammenti. L’artista si serve della terra come di un referente, una metafora da usare e poi annullare. La sceglie perché è il deposito delle nostre memorie quotidiane: impregnata di storia, in una sequenza stratificata. È Materia Madre e Matrice.
Alla frantumazione affianca poi un discorso sulla stratificazione. Esplora gli strati della materia scavando nel sotterraneo, alla ricerca di tracce, di memorie; recupera, ripesca quotidianamente quanto celato, prima che muti, distorto dal tempo. Il suo annientamento, l’azzeramento plastico nasce proprio da questo gioco, che in fondo è una provocazione primordiale: scavare, navigare nella materia, reale e metaforica. Quello di Alberti è un itinerario nella materia frammentata e stratificata, che dà vita a nuova materia, nuovi ricordi e memorie. Ogni frammento è matrice per quello che verrà; la scultura inventa così la propria storia.
Alberti associa geometria e frammento, fa convivere astrazione e figurazione e la scintilla di questa evoluzione è scaturita da un viaggio a Parigi compiuto nel 1967 – scrive Francesca Porreca sul catalogo di presentazione alla mostra – in un contesto di grande fermento in cui l’artista è entrato in contatto con le esperienze del Nouveau Réalisme e in particolare con César, che lo ha spronato a sperimentare nuove vie per la scultura, forte di una straordinaria libertà nel trattare qualunque tipo di materiale. Nella capitale francese il giovane scultore ha avuto modo di conoscere anche le figure ibride e polimateriche di Germaine Richier, per la quale "ciò che caratterizza una scultura è la maniera con la quale si rinuncia alla forma solida e piena. I buchi, le perforazioni rischiarano la materia, che diventa organica e aperta, e attraverso questi passa la luce." La sua attenzione era dunque focalizzata su una scultura viva, narrativa ma non mimetica, capace di lasciare spazio anche alla componente emozionale grazie ad inserti polimaterici e alla lavorazione intensa delle superfici. L'interesse di Alberti per i segni di una gestualità attentamente calibrata è mediato anche dalla conoscenza diretta di Lucio Fontana, nella Milano degli anni Sessanta: nei Tagli e nei Buchi tutta la composizione ruota intorno all'intensità di un gesto che infrange la distinzione tra pittura e scultura creando un senso di attraversamento, di intima consonanza con la materia e con la luce.
Nelle recenti Struttura con frammento (2008) e Traccia vegetale (2010) l’artista innesta una traccia modulare di foglie con patine nuove in bronzo in dialogo con superfici specchianti, come nella recente Traccia senza fine (2014) – scrive Paolo Campiglio sul catalogo di presentazione alla mostra –. Si tratta di spunti formali, non certo di evocazioni naturali in senso stretto, di combinazioni e textures, di differenze tonali che rafforzano l’idea di materia come metafora del dialogo tra certezza e volatilità, presenza e vuoto; il percorso verticale diviene un tentativo di sollevamento vitale, in una continua combinazione e incastro dei moduli. In questa recente modulazione il passaggio dall’orizzontalità alla verticalità dei sintagmi che vanno a formare il nuovo discorso plastico, la dialettica continua tra superfici specchianti e rugose, tra recto e verso sono dinamiche attive nel complesso plastico: generare forma significante da una frattura è intuirne lo spazio e le potenzialità infinite di composizione in una nuova dimensione spaziale che è quella dell’ambiente e del medium intorno al concetto.
In particolare, l’uso recente dell’inox combinato all’ottone e la ricerca con questo materiale permette ad Alberti una indagine più minuziosa e stringente sulle ripercussioni dell’idea plastica nello spazio circostante: esso deriva in parte dall’esperienza di Raggio di sole (2009) una scultura monumentale in inox e ottone realizzata per il Nuovo Blocco Sud dell’Ospedale milanese di Niguarda, che attesta l’eccezionale scarto del grande formato rispetto alla dimensione dell’opera d’atelier, in un esplicito inno alla vita.
Biografia
Sergio Alberti vive e lavora a Pavia, città in cui è nato nel 1944.
Dopo i primi studi artistici compiuti in Toscana, completa la formazione in ambito milanese. Frequenta l’Accademia di Brera sotto la guida di Francesco Messina. Dagli anni Settanta impronta la sua ricerca verso un ideale percorso di tracce frammentarie in perenne modificazione. Un percorso che è mirato alla potenziale identificazione di luoghi e territori immaginari ispirati alla terra.
Negli anni recenti si è confrontato con le tematiche del sacro (arredo liturgico di una nuova chiesa ipogea a Petosino, altare e ambone nella chiesa barocca dei Santi Giustino e Giovita a Brembate, per la Curia di Bergamo).
Tra le realizzazioni pubbliche, la scultura in bronzo acquisita dal Comune di Monza per il centro storico della città (1989) e un’opera monumentale in bronzo e acciaio collocata all’ingresso del centro oltrepadano di Montù Beccaria (2004). Si aggiudica nel 2010 il concorso nazionale per una scultura di grandi dimensioni da porre nel nuovo padiglione dell’Ospedale milanese di Niguarda. L’opera, dal titolo Raggio di sole, è stata realizzata in acciaio e ottone. Ha partecipato a numerose rassegne collettive anche in ambito internazionale tra cui, nel 2013, la 7a Biennale di scultura al Castello di Racconigi. Ha allestito inoltre una trentina di mostre personali in diverse città, in spazi pubblici e gallerie private. Dal 2001 al 2007 è stato docente di tecniche della scultura all’Accademia di Brera, presso il dipartimento di Arte Sacra Contemporanea.