Required Ubiquity

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA RAUCCI/SANTAMARIA
Corso Amedeo Di Savoia Duca D'aosta 190, Napoli, Italia
Date
Dal al

dal martedì al venerdì dalle 15,00 alle 19,00

Vernissage
22/05/2015

ore 18,30

Artisti
Josh Tonsfeldt, Padraig Timoney, Whitney Claflin, Goutam Ghosh, Patrick Hari, Cheyney Thompson
Generi
arte contemporanea, collettiva
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Alcuni artisti hanno la capacità di creare opere che propongono esplicitamente o nascoste all’interno quelle coordinate che permettono allo spettatore di acquisire il dono dell’ubiquità.

Comunicato stampa

Artisti :

Whitney Claflin - Goutam Ghosh - Patrick Hari - Cheyney Thompson
Padraig Timoney - Josh Tonsfeldt

Dal Dizionario:

Avere il dono dell'ubiquità, avere la facoltà di essere presente in tutti i luoghi o in più luoghi nello stesso tempo, con riferimento ad alcuni santi che avrebbero avuto da Dio tale dono.
La parola deriva dal latino ubique che significa "in ogni luogo". La filosofia medievale utilizzava questa proprietà per spiegare la capacità di Dio di essere presente contemporaneamente in ogni posto del suo creato.

Una parola che è applicata nel discorso comune, quasi astratta e empiricamente non applicabile ma che invece è così pervasiva nella vita di ogni giorno. Ad ognuno di noi, e più volte, è stato richiesto di essere trasversale o avere il dono dell’ubiquità e così la tecnologia molte volte ci aiuta a riprodurre questa esperienza nella comunicazione di testi o immagini.
Non è solo un’esperienza puramente legata ad una trasmissione tecnica o da “teletrasporto” ma anche una dimensione mentale che può essere attivata sensibilmente quando la nostra più alta concentrazione si fonde con la contemplazione di un paesaggio o di un opera.

L’arte il più delle volte produce questo effetto catapultando la nostra mente, che percepisce i dati sensibili legati alla vista, in altre dimensioni, luoghi e tempi diversi. Alcuni artisti hanno la capacità di creare opere che propongono esplicitamente o nascoste all’interno quelle coordinate che permettono allo spettatore di acquisire il dono dell’ubiquità. Un’opera da esempio potrebbe essere “La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli” “La Mariée mise à nu par ses célibataires, même), chiamato anche Grande Vetro di Marcel Duchamp dove i livelli sono intellegibili ma contemporaneamente estranei sino a produrre uno slittamento delle nostre percezioni alla vista di un elemento trasparente e tridimensionale.

Il più delle volte l’effetto estraniante è più forte e penetrante soprattutto quando si connette direttamente a quelle immagini che risiedono nella nostra memoria collettiva, riportando in noi un seducente deja-vu capace di farci rivivere tutti quei dati sensoriali che temevamo avessimo perduto. La capacità dell’arte è soprattutto in questo e quando il contenuto che in essa risiede ci arriva in un secondo momento. Dopo che, sopraffatti dall’affascinazione iniziale, scopriamo la strada nascosta che ci permette di intraprenderne il viaggio. Anche se tutto ciò può risultare romantico e ricordiamo l’ubiquità come una parola antiquata è invece a noi contemporanea. Per cui, nonostante non ci possa sembrare vera o assurda, la desideriamo incosciamente, soprattutto perché è ampiamente richiesta da un’economia che ci induce ad essere presenti in tempi e luoghi diversi simultaneamente.