Pierluigi Pusole
Dalla metà degli anni Novanta, Pierluigi Pusole [Torino, 1963] è impegnato nel tentativo di rifondare il mondo attraverso la pittura. All’artista non interessa dipingere un simulacro della realtà, egli desidera semmai crearsi il proprio vivaio di forme.
Comunicato stampa
Dalla metà degli anni Novanta, Pierluigi Pusole [Torino, 1963] è impegnato nel tentativo di rifondare il mondo attraverso la pittura. All'artista non interessa dipingere un simulacro della realtà, egli desidera semmai crearsi il proprio vivaio di forme. Come in una gaia scienza, la biosfera di Pusole si sublima in un Ego-sistema pittorico: non il migliore dei mondi possibili ma la possibilità di un mondo migliore.
Pusole insegue la crisi/catastrofe del proprio sistema formale-informativo per riuscire a porsi in discussione e per verificare la necessità di altri, inediti, "orizzonti". L'artista non ammette mai una cesura tra l'opera d'arte e la natura, aspira bensì a un'esatta equivalenza tra i ruoli dell'artista e del demiurgo: dipinge cioè la ciclicità di un'esistenza che progredisce per accumulazioni o per drastiche interruzioni. La pluralità dell'immagine nasce quindi da una totalità infinitamente divisibile, il cui fondamento è la "biodiversità" della pittura, la quale non è rappresentazione del mondo ma sua artefice. Piuttosto che assoggettarsi alla realtà, egli ha preteso di asservire a sé la rappresentazione..
Pusole è consapevole del fatto che la pittura è in grado di crearsi da sé la propria extraterritorialità; dovendo fare i conti con il tentativo di validare o confutare il mondo da lui stesso creato, l'artista ha deciso di esperirlo in prima persona, in quanto l'esperienza è Maestra di vita.
Attraverso un processo micotico, la materia - intesa come "vivente" ma soprattutto come "pittorica" - inizia a organizzarsi in una cosmogonia personale. Lavorando di prima intenzione l'artista permette alle opere di progredire verso una vastità che può risultare disgregante e persino involutiva. Cionondimeno, egli ha il coraggio di ricominciare daccapo, ancora e ancora, riconoscendo la propria teoria solo ed esclusivamente nell'empirismo.
In questa nuova fase della sua ricerca, l'artista passa da creatore ad architetto di paesaggi; è come se Pusole cercasse di arginare il campo d'azione dei suoi macro-sistemi, quasi a volerne ridurre le variabili e limitarne l'ipertrofia labirintica. Le opere ci appaiono come una sequenza di ritagli su carta, appunti, grafici, particolari di paesaggi che tendono a stratificarsi gli uni sugli altri. sono "progetti" che prendono forma su un tavolo di lavoro in cui l'artista continua a sperimentare il segreto della vita [e] della pittura.
A dispetto di una più semplice Ars topiaria, Pierluigi Pusole cerca di ottenere un paesaggio antropizzato, caratterizzato da una fitta vegetazione e da ambienti lacustri che sono dominati da intensi cromatismi. In uno spazio omnicomprensivo e in un tempo omogeneo, l'opera entra «in competizione con il sistema formale più complicato e aperto», quello di Madre Natura «che rielabora sempre nuove informazioni».