Pangea Photo Festival 2022
seconda edizione del Pangea Photo Festival, il primo festival di fotografia ideato da un gruppo di ragazze e ragazzi dell’Appennino Reggiano per riflettere sulle tematiche contemporanee cruciali per il futuro della società e del pianeta.
Comunicato stampa
Con un evento organizzato in collaborazione con l'associazione Effetto Notte, sabato 18 giugno alle ore 18 alla Pineta di Casina (RE) - dove è esposta per la prima volta in Italia la mostra “Outside the binary” di Linda Bournane Egelberth - si inaugura la seconda edizione del Pangea Photo Festival, il primo festival di fotografia dedicato a tematiche contemporanee cruciali per il futuro della società e del pianeta.
Il Pangea Photo Festival è un’iniziativa nata per volere di un gruppo informale di ragazze e ragazzi nati, cresciuti e residenti sull’Appennino Reggiano, per portare attenzione, nel proprio territorio, attraverso la fotografia d’autore e di reportage, su temi legati all’attualità globale: cambiamento climatico, conflitti, migrazione, relazione uomo/natura e uomo/potere, temi che troppo spesso passano inosservati nelle nostre vite, ma che hanno un forte impatto sul nostro presente e sul nostro futuro.
Il festival di fotografia è nato infatti per riflettere sulle tematiche contemporanee cruciali per il futuro della società e del Pianeta ed è organizzato insieme al Comune di Castelnovo ne’ Monti e con il sostegno della locale Azienda Speciale Consortile Teatro Appennino, che lo ha inserito quest’anno nel contesto della quinta edizione de L’Uomo Che Cammina, evento dedicato al rapporto tra l’uomo, l’ambiente naturale e la dimensione del sacro, nato a Castelnovo ne’ Monti, in provincia di Reggio Emilia.
La seconda edizione del festival ospita fino al 18 settembre cinque reportage, di cui due inediti in Italia, open air visitabili 24/7, di autrici e autori nazionali e internazionali in alcuni dei luoghi più suggestivi dell’Appennino Reggiano come la Pietra di Bismantova, citata da Dante nel Purgatorio. Le mostre sono completamente gratuite aperte e fruibili 24/7 e sono allestite in diverse sedi outdoor in contesti significativi a livello paesaggistico o sociale nel Comune di Castelnovo ne’ Monti, e quest’anno anche in quello di Casina.
“Siamo molto soddisfatti di essere riusciti a portare avanti il nostro progetto - dicono gli ideatori - un’iniziativa di carattere culturale con la finalità sociale di divulgazione di contenuti e storie attraverso le arti visive e di portare in un territorio considerato lontano - l’Appennino - tematiche centrali, con l’obiettivo di stimolare un dibattito, sia pubblico che personale”.
Le fotografe e i fotografi coinvolti affrontano grandi tematiche dell’attualità globale che accendono domande su come questi temi impattino sulle comunità locali e sulla vita di ciascuno di noi.
Le mostre fotografiche, allestite a cielo aperto, che interagiscono con la natura circostante, sono:
a Ginepreto “Drowning in plastic” di James Whitlow Delano, documentarista americano con base a Tokyo, curata da Marta Cannoni e Livia Corbò dell'agenzia Photo Op
alla Pineta di Monte Bagnolo “Burning dreams” di Carolina Rapezzi, fotografa italiana con base a Londra che si occupa di questioni sociali, umanitarie ed ambientali tra Europa e Africa occidentale;
alla Pineta di Casina, per la prima volta in Italia, “Outside the binary” di Linda Bournane Engelberth, fotografa documentarista focalizzata sull’identità umana, sulle identità di genere e sulle comunità rurali;
ai Giardini di via Monzani a Castelnovo il reportage, vincitore del premio World Press Photo 2018 (3° classificato nella sezione General News), “Lives in limbo” di Francesco Pistilli, fotoreporter e videomaker Abruzzese che si occupa di reportage e ritratto editoriale dai contenuti politici, sociali e ambientali;
lungo la salita alla Pietra di Bismantova, vicino a Castelnovo ne’ Monti, sui muri che dal piazzale Dante conducono all’Eremo di Bismantova, la mostra inedita in Italia “God’s Honey” di Nadia Shira Cohen, freelance già stinger per Associated Press, poi per Sipa Press e VII Photo Agency.
“Il tema alla base del NonFestival L’Uomo Che Cammina è il rapporto tra l’uomo, l’ambiente naturale e la dimensione del sacro e per questa quinta edizione, in particolare, ci concentreremo sugli aspetti della wilderness, la smisurata grandezza della natura che soverchia la piccolezza dell’uomo. Una grandezza che però oggi viene messa a rischio dai comportamenti umani, che incidono profondamente non solo sull’ambiente, ma anche sul rapporto tra le società, le élite benestanti e le masse spesso sfruttate” sottolinea Emanuele Ferrari, vicesindaco e assessore alla cultura del Comune di Castelnovo ne’ Monti, che ha creduto fin da subito nell’iniziativa proposta dagli organizzatori, che conclude: “Pertanto ringrazio i giovani organizzatori del Pangea Photo Festival per la loro sensibilità e il loro impegno”.
Finanziato dal Comune di Castelnovo ne’ Monti, all’interno della rassegna L’Uomo Che Cammina, e dagli sponsor privati Energee3 e Thedotcompany e con il sostegno di Coop Alleanza 3.0, il festival prevede un interessante programma che sarà reso disponibile nei prossimi giorni e sarà consultabile sul sito www.pangeaphotofestival.it, sul sito del Comune di Castelnovo nè Monti e sui profili Facebook e Instagram:
https://www.facebook.com/pangeaphotofestival
https://www.instagram.com/pangeaphotofestival/
NIENTE SCUSE, IL PANGEA PHOTO FESTIVAL INVITA A PRENDERE COSCIENZA
Per la seconda edizione, in mostra open air 24/7 sull’Appennino Reggiano le fotografie di Linda Bournane Engelberth, Francesco Pistilli, Carolina Rapezzi, Nadia Shira Cohen, James Whitlow Delano su temi cruciali per il futuro della società e del Pianeta.
Nel contesto della quinta edizione de L’Uomo Che Cammina, evento dedicato al rapporto tra l’uomo, l’ambiente naturale e la dimensione del sacro, nato a Castelnovo ne’ Monti, in provincia di Reggio Emilia, la seconda edizione del Pangea Photo Festival, iniziativa culturale dedicata a tematiche contemporanee cruciali per il futuro della società e del Pianeta, dal 18 giugno al 18 settembre 2022 propone cinque mostre open air visitabili 24/7. Le fotografe e i fotografi coinvolti affrontano grandi tematiche dell’attualità globale che accendono domande su come questi temi impattino sulle comunità locali e sulla vita di ciascuno di noi. Finanziato dal Comune di Castelnovo ne’ Monti, all’interno della rassegna L’Uomo Che Cammina, e dagli sponsor privati Energee3 e Thedotcompany e con il sostegno di Coop Alleanza 3.0, il festival prevede un interessante programma.
A Ginepreto (Castelnovo ne’ Monti) viene presentata “Drowning in plastic” di James Whitlow Delano, documentarista americano con base a Tokyo, curata da Marta Cannoni e Livia Corbò dell'agenzia Photo Op, associazione di volontariato senza scopo di lucro con l'obiettivo di aumentare la percezione nelle persone sulla pericolosità dell'inquinamento da plastica. Dopo decenni di uso eccessivo di materiale monouso, la Terra sta letteralmente annegando nella plastica che abbiamo gettato via. Nel 2017, il mondo aveva prodotto un totale complessivo di 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, più di una tonnellata per ogni persona sul Pianeta. La maggior parte è nelle discariche, ma altri 8 milioni di tonnellate cubiche finiscono ogni anno negli oceani. La plastica è letteralmente in ogni angolo del globo terrestre: nel 2019, i ricercatori hanno scoperto microplastica nel ghiaccio artico in concentrazione maggiore che nelle acque circostanti. Lo stesso anno, gli esploratori hanno trovato plastica nella Fossa delle Marianne, il punto più profondo del Pianeta. Le fotografie in mostra, raccolte in anni e in luoghi diversi, esplorano la piaga dei rifiuti di plastica che, se si abbatte più duramente nei Paesi in via di sviluppo, non risparmia nessuno.
Alla Pineta di Monte Bagnolo è esposta “Burning dreams” di Carolina Rapezzi, fotografa italiana con base a Londra che si occupa di questioni sociali, umanitarie ed ambientali tra Europa e Africa occidentale. Nonostante la Convenzione di Basilea, stipulata nel 1992 per ridurre e prevenire il commercio di rifiuti pericolosi dai Paesi sviluppati a quelli meno sviluppati, il deposito rottami di Agbogbloshie ad Accra, in Ghana, è diventato una delle discariche di rifiuti elettronici a cielo aperto più grandi del mondo. Dispositivi, telefoni e computer vengono importati, principalmente dai Paesi europei, come beni di seconda mano anche se la gran parte ha una durata di vita molto breve. Gli apparati elettronici finiscono così per essere subito smantellati e bruciati a Agbogbloshie, dopo averne estratto materie prime come rame e alluminio. I lavoratori trattano i rifiuti elettronici giorno dopo giorno senza alcuna protezione o regolamentazione. La tossicità dei rifiuti colpisce fortemente le comunità locali, causando problemi respiratori, malattie polmonari e, a lungo termine, anche tumori e danni al sistema nervoso e riproduttivo.
Alla Pineta di Casina, la mostra inedita in Italia, “Outside the binary” di Linda Bournane Engelberth, fotografa documentarista focalizzata sull’identità umana, sulle identità di genere e sulle comunità rurali, realizzata in collaborazione con l’organizzazione no profit La Pineta di Casina - EffettoNotte. “Outside the binary” esplora il mondo delle persone con un identità di genere non definita, che si identificano in una moltitudine di identità differenti rispetto alla definizione binaria uomo-donna (non-binary, gender fluid, agender, genderqueer). L’idea che non possano esistere più di due possibili generi (uomo-donna) è una tematica controversa e contemporanea, che spesso porta alla marginalizzazione di queste persone “non identificabili”, a livello legislativo ma soprattutto a livello sociale. Lo scopo di questo lavoro è di mostrare queste persone, ascoltare il loro punto di vista, dimostrare che esistono a qualsiasi latitudine, normalizzare le loro esistenze e la percezione che il mondo ha di loro.
Ai Giardini di via Monzani a Castelnovo, il reportage, vincitore del premio World Press Photo 2018 (3° classificato nella sezione General News), “Lives in limbo” di Francesco Pistilli - fotoreporter e videomaker abruzzese che si occupa di reportage e ritratto editoriale dai contenuti politici, sociali e ambientali - è una testimonianza molto importante su un dramma che continua a consumarsi alle porte dell’Europa. Racconta la vita dei migranti abbandonati al freddo di un’incertezza senza fine e documenta l’inasprimento della cosiddetta rotta balcanica, che nel 2017 ha bloccato in Serbia migliaia di rifugiati in viaggio verso l’Europa. Impossibilitate a proseguire, quasi 1.200 persone hanno trascorso quell’inverno in magazzini abbandonati dietro alla stazione ferroviaria di Belgrado, senza elettricità, riscaldamento, acqua e servizi igienici.
Lungo la salita alla Pietra di Bismantova, vicino a Castelnovo ne’ Monti, sui muri che dal piazzale Dante conducono all’Eremo di Bismantova, è allestita la mostra “God’s Honey” di Nadia Shira Cohen, freelance già stinger per Associated Press, poi per Sipa Press e VII Photo Agency. Le fotografie, esposte per la prima volta in Italia, mettono in evidenza il pericolo che sta correndo un equilibrio durato millenni, unitamente alla salute delle popolazioni locali, sia Maya che Mennonite. Gli apicoltori Maya credono che le api siano un dono del dio Ah Muzen Cab e un collegamento con il mondo degli spiriti. Per secoli hanno lavorato in equilibrio con la natura, tanto da rendere la penisola dello Yucatan uno dei maggiori produttori mondiali di miele. Ma negli ultimi anni, gli alveari sono scomparsi e le scorte di miele sono state contaminate dai pesticidi. Nel 2011, il governo messicano ha iniziato a offrire sussidi agli agricoltori disposti a coltivare la soia, consentendo l’ingresso di semi OGM nella regione. Gli agricoltori della comunità Mennonita, gli unici a potersi permettersi la quantità necessaria di terra e macchinari, hanno aderito in gran numero alla nuova opportunità. A causa degli effetti sulle api e il loro miele, e ai crescenti problemi di salute nella regione, nel 2015 la Corte Suprema ha deciso di vietare la soia OGM. Nonostante i divieti, gli agricoltori Mennoniti hanno continuato impunemente a coltivare la soia, disboscando progressivamente la foresta pluviale dello Yucatan per fare spazio alle coltivazioni.