Ozzola | Chopra | Kabakov | Ward

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA CONTINUA
Via Del Castello 11, San Gimignano, Italia
Date
Dal al

da lunedì a domenica, 10-13 / 14-19

Vernissage
26/01/2019

ore 18

Artisti
Giovanni Ozzola, Ilya e Emilia Kabakov, Nikhil Chopra, Nari Ward
Generi
arte contemporanea, personale
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Mostre personali di Giovanni Ozzola, Nikhil Chopra, Ilya & Emilia Kabakov, Nari Ward.

Comunicato stampa

GIOVANNI OZZOLA
Octillion

Inaugurazione sabato 26 gennaio 2019, via del Castello 11, 18-24
Fino al 7 aprile 2019, da lunedì a domenica, 10-13 / 14-19

Si intitola Octillion il progetto espositivo che Giovanni Ozzola concepisce per la personale negli spazi del cinema-teatro di Galleria Continua a San Gimignano e che riunisce nuove sculture, fotografie inedite e un’opera video appositamente prodotta. Nella sua pratica l’artista si è confrontato spesso con questioni filosofiche fondamentali come l’esistenza umana e il senso della vita. In questa mostra molti dei temi che negli anni hanno costituito la base della sua ricerca - la metafora del viaggio, l’esplorazione quale mezzo per affrontare paure ancestrali, la consapevolezza del trascorrere del tempo, la dialettica tra luce e il buio ovvero tra la vita e il luogo mentale delle emozioni e delle fantasie - confluiscono e si sviluppano aprendosi ad una riflessione più ampia sulla relazione tra l’uomo e l’universo.

Una persona di corporatura media è composta da 7 miliardi di miliardi di miliardi di atomi. E’ recente la scoperta di un team di astrofisici coordinati dalla Northwestern University di Evanston che circa la metà del nostro corpo ha origine cosmica: siamo agglomerati di atomi provenienti da collisioni stellari. I nostri corpi e con essi la flora e la fauna del pianeta, sono il risultato dei processi avvenuti milioni di anni fa all’interno delle stelle, che hanno prodotto gli elementi basilari (carbonio, azoto e ossigeno) di cui sono composti persone, piante e animali sulla terra. “Siamo, ad un livello profondo, universo in forma umana… ogni singolo individuo con la sua complessità e con il suo modo di essere e percepire il mondo non è altro che un’infinita parte dell’universo” afferma Ozzola. “L’ottilione, una cifra numerica seguita da quarantotto zeri, è il numero di atomi che compongono il corpo umano ed è idealmente l’immagine da cui ha preso avvio questo progetto espositivo”.

La scultura di Ozzola è il luogo di uno scambio, di un passaggio di stato, di un contagio. Nei nuovi lavori in mostra, una serie di incisioni realizzate su alluminio, l’artista mette insieme passato e presente, umano e cosmico in un campo percettivo sensoriale unitario, tempi e luoghi diventano secondari. In primo piano ci sono solo linee che s’incrociano a formare un disegno astratto: mappe dell’universo, geografie cosmiche, tragitti di viaggi che sfidano l’ignoto ma anche cicatrici e destini che si delineano sul palmo della mano, si incontrano, si sovrappongono dando vita a combinazioni infinite. Ozzola, proprio come James Hillman nel suo celebre best seller, riflette sul tema del destino. Per decifrare il “codice dell’anima” lo psicologo e analista americano si ispira al mito platonico di Er: prima della nascita l’anima sceglie un demone (daimon per i greci) che lo accompagnerà nel cammino terreno. Vocazione, carattere, destino sono le cose che, insieme, sostanziano la “teoria della ghianda”: ciascun individuo viene al mondo con un’immagine innata che lo definisce, una forma unica ed irripetibile che chiede di essere realizzata per portare equilibrio nella propria vita. “Il nostro destino, spiega l’artista, è già definito dal daimon che ci governa, sia nel Bene e nel Male. Il fatto di essere un tutt’uno con l’universo e di essere composti dalla solita materia ci fa riflettere sull’essere Parte di organismo più grande e sullo svolgere una funzione precisa”.

Nonostante Giovanni Ozzola abbia fatto di fotografia, video e installazione i suoi terreni privilegiati, le sue opere hanno qualcosa da spartire con la pittura, questo emerge chiaramente in una serie di lavori inediti presenti in mostra: porzioni di muro “strappate” ad un luogo che portano con sé una moltitudine di storie. “Sono in tutto e per tutto dipinti, che traducono la visione di muri segnati da graffiti (un’immagine che le foto dei bunker mettono spesso in evidenza), attraverso un procedimento che sembra derivare dalla fotografia e rimanda alla tecnica antica dello strappo d’affresco, quello di un foglio di silicone che impressionandosi “per contatto”, si insinua nelle fenditure dei graffiti e ne cattura in positivo la trama. Solo quando il distacco, lo strappo è avvenuto l’artista interviene con il colore creando altre stratificazioni, l’impressione di un altro tempo (quello della pittura) che si sovrappone al tempo, incalcolabile, iscritto nella storia dei graffiti.” (Davide Ferri in “Fallen Blossoms”, Gli Ori, 2018).

Al centro del lavoro di Ozzola c’è l’interesse per lo spazio tridimensionale e la luce. La sua ricerca parte dall’osservazione e dall’analisi del mondo visibile: piccoli eventi, fenomeni naturali che ogni giorno si ripetono, uguali a sé stessi e pur sempre unici e diversi. Momenti di un mondo fatto di visioni sul punto di svanire sono sondati con una volontà quasi scientifica. Le sue fotografie catturano il variare delle luci in un continuo tentativo di fermare qualcosa di fluttuante e fugace, quasi a voler confermare le qualità epifaniche del mezzo fotografico. In “Fallen Blossoms”, il nuovo ciclo che l’artista presenta a “Octillion”, foglie e petali di fiori, raggiunto il culmine del loro ciclo vitale, cadono e si sparpagliano sull’asfalto. Sono immagini che riflettono sulla caducità della vita, sul senso effimero della bellezza ma anche sulla possibilità che elementi naturali ed elementi artificiali si mescolino senza soluzione di continuità.

Nato a Firenze nel 1982, Giovanni Ozzola attualmente vive e lavora alle Isole Canarie, Spagna. Ha esposto il suo lavoro a livello internazionale presso numerose istituzioni pubbliche e private, tra le esposizioni più recenti: Pitch Black, Palacio de los Marqueses de Moctezuma, Museo Unicaja Joaquin Peinado, Ronda Málaga, Spagna, MI VERDAD, CON SU TIEMPO Y ESPACIO – ALGO TUYO Y MÍO, Fundación Unicaja, CUC Centro Unicaja de Cultura de Antequera, Spagna, Vanitas, Rotary Waregem, Claessens Canvas, Waregem, Belgio, RECTO VERSO, Foundation Louis Vuitton, Parigi, Francia, IL RICHIAMO DI CTHULHU, MANIFESTA 12, evento collaterale, Palazzo Mazzarino, Palermo, Italia, WunderMoRE, MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI Secolo di Roma, Italia nel 2018; Relitti e Camere con stelle, Untitled Association Lynchen, Berlino, Germania, Mirage, Suburbia Contemporary Cultures, Granada, Spagna e Fumo, Macro, Roma nel 2017; Adrift, District 6 Museum, Cape Town, Sud Africa, Sistemi di realtà, Sms, Pisa, Italia e Re-Birth, Abu Dhabi Art, Abu Dhabi, Emirati Arabi nel 2016. Le sue opere sono conservate in numerose collezioni private e pubbliche, tra cui il MART di Rovereto, in Italia; Chelsea Art Museum a New York, Stati Uniti; Sharjah Maraya Art Center a Dubai; Mori Museum a Tokyo in Giappone; Schunck-Glaspaleis a Herleen, Paesi Bassi; Künstlerhaus Palais Thurn Und Taxis, a Bregenz in Austria; Man Museo d'Arte, Nuoro, Italia; Waseda University, Tokyo, Giappone; Centre d'Art Bastille, Grenoble, Francia; GC, AC, Monfalcone, Italia; Viafarini Docva, Milano, Italia; Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro, Italia; OCAT - Contemporay Art Terminal, Shanghai, Guandong Museum of Art, Guangzhou, Cina; 2139, Jeddah, Arabia Saudita; District Six Museum, Città del Capo, Sudafrica, Star Museum, Shanghai, Cina. Tra I premi: “Premio Terna” (2008), “The Talent Prize” (2010) e il “Premio Cairo” (2011), Seat Pagine Gialle, Regione Toscana (2007).

ILYA & EMILIA KABAKOV
“The Eminent Direction of Thoughts”

Inaugurazione sabato 26 gennaio 2019, via del Castello 11, 18-24
Fino al 7 aprile 2019, da lunedì a domenica, 10-13 / 14-19

Con “The Eminent Direction of Thoughts” Galleria Continua è lieta di ospitare nuovamente nella sua sede di San Gimignano una coppia di artisti tra i più celebrati a livello internazionale, Ilya & Emilia Kabakov.

Nelle loro opere i Kabakov privilegiano un gioco sottile di relazioni tra elementi visivi e verbali. Oggetti e immagini legati alla vita quotidiana rincorrono esperienze personali, sullo sfondo l’ascesa e la caduta dell’Unione Sovietica e le condizioni di vita nella Russia post-stalinista. Un’analisi sulla condizione universale dell’uomo, dove gli aspetti drammatici dell’esistenza sono mediati attraverso il filtro dell’ironia.

Negli spazi di Galleria Continua Ilya & Emilia Kabakov espongono l’installazione dal titolo “The Eminent Direction of Thoughts” (2011). All’interno di una stanza buia è posizionata una sedia alla quale sono fissate delle corde colorate che si allungano verso l’alto, appesa al soffitto una lampadina nuda e trasparente.

L’opera dei Kabakov è permeata da una dimensione poetica fantastica e malinconica, capace di comunicare significati condivisi e universali. “Il mondo e il lavoro di Ilya sono costruiti sulla fantasia e sulla storia dell’arte. Io, d’altro canto, molto presto nella mia vita, ho imparato a combinare realtà e fantasia e a vivere entrambe. La nostra vita si basa molto su questa combinazione (…) La nostra vita consiste del nostro lavoro, sogni e discussioni. Siamo fortunati: siamo riusciti a trasformare la realtà in fantasia e a risiedervi in modo permanente”, dichiara Emilia Kabakov.

Ilya Kabakov (Ucraina, Dnipropetrovs'k 1933) ed Emilia Kabakov (Ucraina, Dnipropetrovs'k 1945) vivono e lavorano a Long Island, New York, Stati Uniti. Le loro opere fanno parte delle collezioni permanenti di prestigiosi musei, tra cui il Centre Pompidou di Parigi, il MoMA di New York, la Kunsthalle di Berna, la TATE di Londra; sono state esposte, tra l’altro, presso lo Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington DC, lo Sprengel Museum di Hannover e lo Stedelijk Museum di Amsterdam. Nel 1992 partecipano alla IX edizione Documenta a Kassel, Germania, nel 1993 rappresentano la Russia alla 45° Biennale di Venezia, nel 1997 prendono parte alla Whitney Biennial di New York. Gli artisti hanno inoltre realizzato numerose importanti commissioni pubbliche in tutta Europa e hanno ricevuto molteplici riconoscimenti e premi, tra cui il Praemium Imperiale Award a Tokyo nel 2008, l’Oskar Kokoschka Preis a Vienna nel 2002 e il Chevalier des Arts et des Lettresa Parigi nel 1995. Nel 2004, sono diventati i primi artisti russi viventi le cui opere siano state esposte all’Hermitage di San Pietroburgo. Nel 2012 lo Sprengel Museum di Hannover ospita un loro grande retrospettiva, nel 2014 espongono al Grand Palais per Monumenta, nel 2015 partecipano alla Echigo Tsumari Art Triennale a Niigata in Giappone. Nel 2017 la TATE Modern di Londra gli dedica un’ampia retrospettiva; realizzata in collaborazione con il Museo di Stato dell'Hermitage, la mostra si sposta a San Pietroburgo e alla Galleria Tretyakov di Mosca nel 2018. Installazioni, disegni, dipinti, stampe, modelli architettonici di progetti utopistici e gigantesche sculture pubbliche che ripercorrono le tappe principali della vita degli artisti: dalle prime opere realizzate da Ilya Kabakov negli anni Sessanta nel suo studio di Mosca fino al trasferimento a New York, alla fine degli anni Ottanta. Un punto di svolta cruciale per la sua carriera, che segna l'inizio della collaborazione con Emilia e la produzione di installazioni di gradi dimensioni.
NARI WARD
Down Doors

Inaugurazione sabato 26 gennaio 2019, via del Castello 11, 18-24
Fino al 7 aprile 2019, da lunedì a domenica, 10-13 / 14-19

Tra i principali protagonisti dell’arte contemporanea internazionale Nari Ward torna ad esporre a Galleria Continua con la personale dal titolo “Down Doors”.
NARI WARD
Down Doors

Inaugurazione sabato 26 gennaio 2019, via del Castello 11, 18-24
Fino al 7 aprile 2019, da lunedì a domenica, 10-13 / 14-19

Tra i principali protagonisti dell’arte contemporanea internazionale Nari Ward torna ad esporre a Galleria Continua con la personale dal titolo “Down Doors”.

Le sculture in mostra restituiscono una concezione quasi animistica dello scarto e del consumato: nate dall’assemblaggio di diversi elementi narrativi, intessono trame inedite; raccontano situazioni, emozioni, eventi e pensieri trascendendo il mondo della pura rappresentazione e infondendo alla materia nuova spiritualità. “La porta è un oggetto che, quando è in uso, suggerisce uno spazio di transizione da un luogo a un altro”, spiega l’artista. “I lavori di “Down Doors” devono essere visti come portali sconfinati e anche come ripostigli. Porte fornite di tasche riempite di piume, quelle solitamente utilizzate per imbottire i cappotti invernali e ottenere l’isolamento del corpo. La correlazione tra corpo, calore, protezione e volo si unisce alla narrazione di un indistinto attaccamento a un luogo suggerito dalla presenza dei paracaduti. Queste porte ora appartengono a uno spazio di anticipazione o speranza: il loro potere risiede tanto nella loro vulnerabilità quanto nel senso di indipendenza”.

Il lavoro di Nari Ward si inscrive nella grande tradizione della cultura afroamericana di cui è una delle voci più eloquenti. All’età di dodici anni lascia la Giamaica e si trasferisce negli Stati Uniti, prima a Brooklyn, quindi nel New Jersey fino a stabilirsi ad Harlem. Il suo lavoro si sviluppa a partire dai primi anni Novanta con la realizzazione di grandi installazioni e sculture in cui utilizza materiali di uso quotidiano, scarti e residui di oggetti di consumo che ricontestualizza in giustapposizioni stimolanti dai significati complessi, metaforici e volutamente aperti a un’interpretazione libera e personale. Allo spettatore si chiede di andar oltre una prima lettura superficiale: i lacci multicolori delle scarpe bloccati in piccoli fori nella parete per formare il profilo di un'immagine (una scala, un cestino, una stella, un fiore o una frase) sottendono un significato più ampio, come nell’opera “We the People”. Tre parole preambolo alla Costituzione degli Stati Uniti e adesso anche titolo di un’ampia mostra retrospettiva con la quale il New Museum celebra l’artista, a New York, dal 13 febbraio al 26 maggio 2019.

Le opere di Nari Ward partono dai materiali quali testimonianze della vita economica, sociale, rituale di intere comunità. L’artista mette in atto un totale affrancamento dell’oggetto dalla schiavitù della funzionalità: nella raccolta di beni di uso comune, spesso già etichettati come spazzatura, rievoca presenze e storie legate a paure o sentimenti atavici come la vita, la morte, la gioia, il dolore, scavando all’origine delle ragioni stesse dell’esistenza. Il lessico del suo linguaggio muove dall’uomo arrivando a toccare le parti intrinseche del vissuto.

Nel suo lavoro più recente Ward affronta tematiche legate alle complesse realtà politiche e sociali del nostro tempo, osserva i profondi cambiamenti che la gentrificazione ha portato a Harlem e lo stato sempre più frammentato della democrazia negli Stati Uniti e nel mondo. Razzismo, emarginazione, potere, migrazione, identità nazionale, diritto alla cittadinanza, divario tra ricchi e poveri, senso di comunità e di appartenenza, sono alcuni degli argomenti su cui insiste la sua pratica artistica.

Nari Ward nasce a St. Andrew in Giamaica nel 1963, vive e lavora a New York. Sue mostre personali sono state organizzate presso Institute of Contemporary Art, Boston (2017); Socrates Sculpture Park, New York (2017); The Barnes Foundation, Philadelphia (2016); Savannah College of Art and Design Museum of Art, Savannah, GA (2015); Pérez Art Museum, Miami (2015); Louisiana State University Museum of Art, Baton Rouge, LA (2014); Massachusetts Museum of Contemporary Art, North Adams, MA (2011); The Fabric Workshop and Museum, Philadelphia (2011); Isabella Stewart Gardner Museum, Boston (2002); Walker Art Center, Minneapolis, MN (2001, 2000). Tra le principali mostre collettive: Objects Like Us, The Aldrich Contemporary Art Museum, Ridgefield, CT (2018); UPTOWN: nastywomen / badhombres, El Museo del Barrio, New York (2017); La Grande Madre, Fondazione Nicola Trussardi, Palazzo Reale, Milano (2015); Black: Color, Material, Concept, The Studio Museum, Harlem, New York (2015); The Freedom Principle: Experiments in Art and Music, 1965 to now, Museum of Contemporary Art, Chicago (2015); NYC 1993: Experimental Jet Set, Trash and No Star, New Museum, New York (2013); Contemplating the Void: Interventions in the Guggenheim Rotunda, Solomon R. Guggenheim Museum, New York (2010); Whitney Biennial, New York (2006); Landings, Documenta XI, Kassel, Germania (2003). Il lavoro di Ward è presente in numerose collezioni pubbliche e private internazionali, tra cui Brooklyn Museum, New York; Baltimore Museum of Art, MD; Istanbul Modern, Istanbul; Museum of Modern Art, New York; Speed Art Museum, Louisville, KY; Nasher Museum of Art, Duke University, Durham, NC; Walker Art Center, Minneapolis, MN; Pérez Art Museum, Miami; The Studio Museum, Harlem, New York e il Whitney Museum of American Art, New York. Ha ricevuto commissioni dalle Nazioni Unite e da World Health Organization; numerosi inoltre gli onori e i riconoscimenti come The Joyce Award, The Joyce Foundation, Chicago (2015), e The Rome Prize, American Academy of Rome (2012), e i premi da American Academy of Arts and Letters, National Endowment for the Arts, New York Foundation for the Arts, John Simon Guggenheim Foundation, e Pollock-Krasner Foundation.

Le sculture in mostra restituiscono una concezione quasi animistica dello scarto e del consumato: nate dall’assemblaggio di diversi elementi narrativi, intessono trame inedite; raccontano situazioni, emozioni, eventi e pensieri trascendendo il mondo della pura rappresentazione e infondendo alla materia nuova spiritualità. “La porta è un oggetto che, quando è in uso, suggerisce uno spazio di transizione da un luogo a un altro”, spiega l’artista. “I lavori di “Down Doors” devono essere visti come portali sconfinati e anche come ripostigli. Porte fornite di tasche riempite di piume, quelle solitamente util
NIKHIL CHOPRA

Drawing a Line through Landscape

Inaugurazione sabato 26 gennaio 2019, via del Castello 11, 18-24
Fino al 7 aprile 2019, da lunedì a domenica, 10-13 / 14-19

Galleria Continua è lieta di ospitare nuovamente a San Gimignano una delle voci più note del panorama artistico internazionale Nikhil Chopra con “Drawing a Line through Landscape”, l’opera realizzata dall’artista nel 2017 in occasione della sua partecipazione a documenta 14 di Kassel.

La pratica artistica di Chopra include live art, disegno, fotografia, scultura e installazioni. Le sue performance, in gran parte improvvisate, trattano temi quali l'identità, il ruolo dell'autobiografia, la posa e l'autoritratto; l'artista riflette sul processo della trasformazione e sul ruolo giocato dalla durata della performance. Nikhil Chopra mette insieme la vita quotidiana, la memoria e la storia collettiva; azioni quotidiane come mangiare, riposare, lavarsi, vestirsi, ma anche disegnare e creare abiti: tutto questo diventa il processo di creazione di un'opera d'arte, rappresentando una parte essenziale dell'esibizione.

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“Ad Atene un torbido mare in tempesta e un cumulo di nuvole minacciose si raccolgono sui muri di una ex taverna come murale panoramico. L'opera artistica di Nikhil Chopra ha spesso coinvolto viaggi — attraverso il deserto di Sharjah, lungo il fiume Tamigi e fino ad entrare nelle acque del Mar Arabico. Per “Drawing a Line through Landscape” egli va oltre fino ad attraversare i circa 3,000 chilometri tra Atene e Kassel: attraverso il paesaggio montuoso della Grecia, passando per villaggi deserti, ex città sovietiche e monasteri ortodossi in Bulgaria, attardandosi brevemente nella verdeggiante natura protetta in Romania, nel Cozia National Park, fermandosi in incontri nelle piazze pubbliche o presso gli spazi artistici di Sofia, Budapest e Bratislava, dove è stato poi raggiunto dai colleghi artisti e dai coreografi. La sua tenda rappresenta uno studio e un domicilio provvisori: una reminiscenza dei teatri di viaggio, dove incontri casuali si trasformavano in relazioni comuni. L'artista offre serenate alle metropoli e alle città in cui entra, come un innamorato, passando tra stati di esuberanza, intossicazione, rifiuto e stanchezza. Questo viaggio continuo è un rimando agli spostamenti nomadi dei secoli scorsi nonché alle rotte migratorie che ancora oggi vengono via via disegnate: non da ultimo, un percorso a zig zag non è semplicemente un movimento binario sud-nord oppure est-ovest ma il riflesso di un microcosmo complesso di un sé disperso, di abbandono, austerità economica e violenza territoriale nell'Europa di oggi”.
Natasha Ginwala (scritto per documenta14)

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“Sotto le onde, sopra le nuvole. La linea nel mezzo, l'orizzonte, prende il nome dalla radice dell'antico verbo greco ὁρίζω (orizō), che significa dividere, e del sostantivo ὅρος (oros), che significa confine, o punto di riferimento. Segnando il punto in cui il paesaggio scompare cadendo dietro la curvatura della terra, l'orizzonte è l'unico confine visibile per chi guarda verso il mare aperto, un confine che può essere solo contemplato e mai superato. Tracciare la linea dell'orizzonte è stato il gesto che ha segnato l'inizio di “Drawing a Line through Landscape”.

[…]

“Se c'è qualcosa di irrisolto in “Drawing a Line through Landscape”, è la fragilità intrinseca del paesaggio che, nell'opera, viene messa in discussione. Il gesto eroico dell'artista che vuole dipingere "un paesaggio di 3.000 chilometri" deve fare i conti con la frammentazione politica di ciò che vuole unire. Mentre il progetto di Chopra tenta di unificare paesi diversi in un unico paesaggio, ogni possibile desiderio di convivenza è costantemente messo alla prova da forze politiche che fanno uso di divisioni per guadagnare consenso. Negli ultimi anni i populismi di destra, i nazionalismi e i sentimenti xenofobi hanno accumulato forza e popolarità in Europa a livelli senza precedenti dalla fine della seconda guerra mondiale. Molti dei paesi visitati da Chopra ne sono un esempio. È in questi punti irrisolti di crisi o di rottura che emerge una certa ironia, e non priva di poesia. Vi sono momenti in cui “Drawing a Line through Landscape” crea immagini o situazioni evocative di scene pastorali, momenti idilliaci particolarmente intimi che, intrinsecamente, si contrappongono alle distanze intimidatorie che il progetto vuole collegare. È forse in questi momenti che i personaggi inventati da Chopra appaiono più sconfitti e oppressi dal proprio destino. Alcuni di questi momenti sono immensamente ironici, come l'immagine dell'artista che trasporta faticosamente sulla schiena un rotolo di tela di sessanta metri contenente un paesaggio a grandezza naturale catturato lungo un viaggio di 3,000 km. Altri sono piuttosto tragici, come quando Chopra ascolta calmo e composto le parole di un poliziotto, che gli spiega che nelle piazze di Budapest è vietato disegnare e ballare. Chopra non esita in nessun caso, espone la crisi come parte di un quadro più ampio, andando avanti con la sua opera. Mentre l'unità politica e culturale sembra essere minacciata, egli risponde stabilendo una sorta di unificazione visiva, rappresentativa e concettuale. È forse per questo motivo che, una volta che il paesaggio è terminato e offerto al pubblico, la distanza coperta sembra più facile da gestire. Dopo aver viaggiato per settimane, lavorando pazientemente per trasporre ogni minuscola osservazione e ogni breve incontro su un frammento limitato di tela, Chopra ha dovuto misurarsi inoltre con la distanza fisica di un corpo che viaggia. Sulla strada da Atene a Kassel ha lavorato per metabolizzare le differenze geografiche, culturali e politiche, solo per ricomporle insieme in un'unica visione di un paesaggio che rende intelligibile una grande distanza”.

Estratto dal saggio “Sotto le onde, sopra le nuvole”, di Michelangelo Corsaro

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La mostra sarà anche l’occasione per presentare per la prima volta al pubblico “Inside out”, una serie di fotografie che documentano il progetto site-specific realizzato da Nikhil Chopra nel 2012 per la sua prima personale in galleria: una performance della durata di novantanove ore durante le quali l’artista ha assunto le sembianze di persone diverse per incarnare la storia e la memoria.

Nikhil Chopra è nato a Calcutta nel 1974 e vive a Goa. Formatosi alla facoltà di Belle Arti della Maharaja Sayaji Rao University di Baroda in India, l’artista prosegue i suoi studi negli Stati Uniti dove nel 2003 realizza SIR RAJA II, la sua prima mostra personale. Torna nuovamente ad esporre negli Stati Uniti in mostre collettive nel 2005 e, nel 2006, al Brooklyn Museum di New York. Tra le mostre più recenti ricordiamo la personale “Yog Raj Chitrakar: Memory Drawing IX” realizzata al New Museum di New York nel 2009 e le collettive “Production Site: The Artist’s Studio Inside-out” al Museum of Contemporary Art di Chicago (2010); “Generation in Transition: New Art from India” presso Zacheta National Gallery of Art di Varsavia (2011). Nel 2011 realizza inoltre, in collaborazione con Munir Kabaniper H Box, il film “Man Eats Rock” presentato al Art Sonje di Seoul; al Today Art Museum di Pechino e al Guangdong Museum of Art di Guangzhou. Nel 2013 nell’ambito del Manchester International Festival la sua perfomance “Coal on Cotton” riceve il consenso della critica. Nel 2014 e nel 2015 ha preso parte alla Biennale di Kochi Muziris, alla Biennale de L’Avana e alla 12a edizione della Biennale di Sharjah. Il suo ultimo progetto è anche quello più ambizioso finora: “Drawing a Line through Landscape” per documenta 14.

“Drawing a Line through Landscape” è un progetto commissionato da documenta 14 e supportato da Piramal Art Foundation, Payal e Anurag Khanna, GALLERIA CONTINUA, San Gimignano / Beijing / Les Moulins / Habana e Chatterjee & Lal. Collaborazioni, interventi con performance: Sofia di Ivo Ivan, Gorna Lipnitsa di Madhavi Gore e Jana Prepeluh, Budapest di Ivan Angelus e Budapest Contemporary Dance Academy. Costumi: Loise Braganza. Set Design: Aradhana Seth. Film: Sophie Winqvist. Autore della canzone: Gautam Sharma. Musica: Ranjit Arapurkal Autista: Stephen Frick. Documentazione: Madhavi Gore. Assistente di progetto: Shaira Sequeira.