Memorie
Questa mostra è incentrata sulle diverse identità della memoria, o meglio sulle memorie (al plurale) che ci appartengono o alle quali noi apparteniamo.
Comunicato stampa
Memorie
di Nicola Davide Angerame
La memoria, come funzione, rappresenta un’unità, una singolarità di cui siamo partecipi in quanto esseri dotati d’intelligenza. La nostra capacità di immagazzinare ricordi e legarli dentro una narrazione coerente sembra esaurire il senso della memoria come facoltà mentale. In realtà, a ben guardare, la trasmissione di informazioni da un passato verso il futuro è parte integrante di tutte le forme di vita. Le memorie sono tante e vanno oltre la funzione del ricordo umano. Esistono memorie personali, familiari, di gruppi più estesi come i popoli. Esistono le memorie del regno delle piante: informazioni che dai semi si tramandano alla pianta, che fornirà i semi per le piante a venire. La filiazione è una forma di trasmissione di memoria: biologica, organica e funzionale ma non meno memoria di quanto sia quella umana che ha a che fare con il ricordo. Anche l’anonimato ha una sua memoria da trasmettere, così come la cultura è una forma di memoria condivisa, spesso da intere civiltà.
Questa mostra è incentrata sulle diverse identità della memoria, o meglio sulle memorie (al plurale) che ci appartengono o alle quali noi apparteniamo.
Jérôme Borel
Jerome Borel Mickey 2010
L’artista francese utilizza un’icona che appartiene alla memoria e all’immaginario collettivi, come il Mickey Mouse di Walt Disney, per parlare della morte attraverso la figura retorica classica della “vanitas”, del teschio che da sempre traduce nell’arte il significato della caducità dell’esistenza umana. L’artista ci rammenta così che la vita non è eterna e che la giovinezza, come la gloria, è transeunte. La memoria però non ritiene troppo a lungo questa consapevolezza; per non bloccarsi l’uomo deve dimenticare di essere mortale e agire come se non lo fosse.
La pittura di Borel, è una pittura che indaga la memoria e la percezione: è incentrata sul tema del rapporto tra l’immagine e la sua riproducibilità tecnica. Tecnicamente è non ortodossa. Accoglie diluizioni e trattamenti originali che inventa lui stesso. Nelle sue tele, astrazione e figurazione trovano una sintesi sfociando in immagini oniriche, in visioni che “ricordano” le lezioni di un Francis Bacon o di un Gerard Richter.
Vania Comoretti
Vania Comoretti Iride 2011
Nella serie Iride, Comoretti rende visibili alcuni legami, di sangue e genetici, che si perpetuano attraverso questa fondamentale parte dell’occhio. L’iride si perpetua all’interno delle generazioni. Per Comoretti essa identifica “il luogo di appartenenza delle persone”. L’artista ritrae con meticolosa attenzione l’iride dei familiari suoi e di alcune sua amiche più care. Persone che hanno un forte legame affettivo con lei e tra loro. Traccia così un ritratto collettivo, portandoci nelle profondità di una memoria biologica ed affettiva, condivisa su più livelli: fisico ed emotivo.
Nei suoi disegni a tecnica mista, Comoretti utilizza un procedimento di ingrandimento e di focalizzazione del dettaglio, di cui esalta il colore, la luce, la brillantezza, la tessitura biologica. Così facendo traccia una bio-logia, una logica del bios, del corpo organico che nella sua configurazione può diventare scrittura, geroglifico, perfino simbolo.
Federico Gori
Federico Gori, Ancient Legend, 2011
In questo lavoro, Federico Gori è teso alla conquista di una memoria della natura. Elementi naturali del sottobosco delle terre attorno Pistoia vengono “catturati”, impressi, dentro lastre di rame. Usando la tecnica e i materiali dell’incisione come base di partenza, Gori costruisce un ritratto esile e suggestivo di una natura che viene “catturata” dentro il metallo. La memoria della natura sono i resti fossili, che “vivono” nelle pietre e giungono a noi anche dopo decine di milioni di anni. Le opere di Ancient legend sono come dei fossili contemporanei, con i quali Gori registra la memoria di una natura che è uguale a se stessa ma anche diversa a distanza di millenni, in un perpetuo lentissimo evolvere che la porta verso un “proprio” futuro. Il titolo dell’installazione è tratto da un film di Andrej Tarkovskij in cui un monaco tibetano riporta in vita un albero dato per morto innaffiandolo ogni giorno per lungo tempo.
Andrea Guastavino
Andrea Guastavino, Senza titolo (serie Black Box), 2011
La sua fotografia non è oggettiva ma alchemica. In essa l’artista raccoglie la memoria esoterica dei sali e degli acidi di sviluppo, più tutta una serie di sostanze ed agenti che vengono usati come materiali da esperimento. Le immagini nascono da una “memoria” disattesa, quella della riproduzione meccanica e oggettiva della realtà. L’immagine finale devia la realtà e assume un rapporto intenso con il simbolismo. Nella sua recente retrospettiva presso il Museo di Rimini, intitolata Apologia dell’errante, Guastavino presenta la sua ricerca fondata su un uso “incisorio” della fotografia. Lo sviluppo e stampa dal negativo diventa il cuore del lavoro. Tutte le opere sono uniche. Nella serie qui esposta dedicata alla storia di Ulisse e alla memoria culturale di una civiltà, la nostra, Guastavino dà corpo alla maga Circe, alla figura dell’oblio, a colei che porterà Ulisse a dimenticare, per molti anni, la sua amata Penelope e la sua patria.
Oriella Montin
Oriella Montin, Rammendo, 2012
Raccoglitrice di memorie, Montin colleziona da tre anni album di fotografie di famiglie trovati nei mercatini delle pulci di Milano. Interviene sulle immagini trovate con la pratica del cucito, unendo così un supporto legato alla memoria sentimentale, che è personale e collettiva insieme, e un’attività dallo spiccato senso emotivo e psicologico come il rammendo. La famiglia, con le sue dinamiche sentimentali, è al centro del suo interesse. Madri con figli, mogli con mariti. I loro volti sono coperti, trafitti, rammendati dal fili di cotone colorati che portano una nuova vita ma anche deturpano le espressioni, portando in luce il rimosso dell’interiorità con un processo che non risparmia una certa violenza, attutita dal materiale morbido come il filo di cotone. I personaggi spesso accolgono sul proprio corpo una collazione di altre persone. Il lavoro riattiva così una massa informe di memorie che vengono rese visibili ponendoci di fronte all’enigma del tempo.
Lorella Paleni
Lorella Paleni, A part of it, 2012
I soggetti della pittura di Lorella Paleni sono costruzioni di tracce mnestiche che si sovrappongono e traspaiono l’una nell’altra. La pittura intesa come pratica rammemorante apre alla giovane artista (che a studiato a New York e vive a Berlino) un campo poco esplorato dove la ricognizione interiore è preponderante senza però risolversi in quell’astrazione gestuale e informale che ha spesso offerto il modo di tradurre in arte i movimenti dell’interiorità. La figurazione è qui sfruttata per raggiungere una dimensione che va oltre il tempo e lo spazio, e quindi si astrae da elementi realistici, portando il dialogo tra figura e sfondo in primo piano, come soggetto specifico di un atteggiamento volto a tenere insieme gli opposti ed i contrasti, così come accade nella dimensione del nostro ricordo, dove tutto, alla fine, coesiste senza più tenere conto della disposizione sulla linea del tempo lineare che invece pertiene all’esperienza della realtà, al presente.
Nicola Vinci
Nicola Vinci, La condizione del ricordo, 2011
La fotografia di Nicola Vinci è spesso coinvolta in un dialogo con spazi vuoti e abbandonati, con vite passate e anonime, come figure di bambini che appaiono come presenze fantomatiche, impressioni nitide ed evanescenti. In questa serie “La condizione del ricordo” egli raccoglie e esperienze, le immagini e alcuni oggetti di una sua residenza d’artista a Pechino. Le immagini e gli oggetti “trovati” e prelevati dal mare magnum del passato di una nazione e di un popolo, tanto lontani quanto imperanti nell’attualità, stimolano l’immaginazione di Vinci che smette i panni del fotografo e diventa un collezionista di immagini le cui identità e storie egli cerca di rievocare. Un gesto eroico e utopico, come quello del “voler ricordare”, salvando così nella nostra mente qualcosa del flusso interminabile di sensazioni, emozioni, sentimenti e immagini che la vita ci fornisce ogni istante, da sempre.
Virginia Zanetti
Virginia Zanetti, Levitas Originae, 2010
La serie “Levitas originae” di Virginia Zanetti esprime tutta la forza e la fragilità della natura. L’artista ne compie un ritratto ad acquerello che assume i toni lievi della memoria, quella di una natura che trasmette i propri “saperi” usando i semi. In essi si celano i messaggi che la natura si tramanda da centinaia di milioni di anni. Eppure il seme è anche l’elemento più fragile, meno evidente, come un ricordo lasciato lì, sul terreno maturo, in attesa di dare la vita. Nelle fredde isole Svalbard esiste da tempo un progetto mastodontico di stoccaggio e protezione dei semi di tutte le piante del mondo. È un work in progress e ha il senso di proteggere la memoria della natura, grazie alla quale tutti noi esistiamo.