Material for an Exhibition
Storie, memorie e lotte dalla Palestina e dal Mediterraneo.
Comunicato stampa
L’arte come motore di cambiamenti sociali e politici: è questa l’idea alla base del progetto espositivo, dal titolo Material for an Exhibition. Storie, memorie e lotte dalla Palestina e dal Mediterraneo, in programma dall’8 novembre 2025 al 22 febbraio 2026, al Museo di Santa Giulia a Brescia.
La mostra, curata da Sara Alberani e promossa dal Comune di Brescia e dalla Fondazione Brescia Musei, con il patrocinio di Amnesty International, riunisce opere di artisti provenienti da zone di conflitto, in particolare dalla regione mediorientale oggi segnata da divisioni e frammentazioni – da Gaza alla Cisgiordania fino al Libano – che hanno vissuto in prima persona la quotidianità della guerra e dell’esilio. A portare la loro testimonianza artistica e culturale gli artisti internazionali palestinesi Mohammed Al-Hawajri, Dina Mattar e Emily Jacir (Leone d’oro a Venezia nel 2007) e l’artista libanese Haig Aivazian.
Il titolo, Material for an Exhibition, omaggia l’opera Material for a Film di Emily Jacir, dedicata alla memoria dell’intellettuale e poeta palestinese Wael Zuaiter. Material richiama la pluralità di linguaggi – installazioni, video, fotografie, pittura, disegni – che s’incontrano in mostra, ma anche le difficili condizioni materiali in cui lavorano molti artisti, spesso segnate dalla perdita di opere, archivi, luoghi della memoria e storie tramandate da chi non c’è più. In Palestina, la nozione stessa di archivio rappresenta oggi uno strumento per continuare a esistere e a resistere.
L’esposizione propone una visione che va oltre la dicotomia vittimismo/criminalizzazione nella quale rischia di cristallizzarsi il discorso pubblico intorno alla causa palestinese e, più in generale, al contesto mediorientale e mediterraneo e intende sottolineare il valore dell’arte come mezzo per difendere e consolidare legami di solidarietà tra le diverse geografie del Mediterraneo, aprendo spazi di apprendimento e confronto nei quali sia possibile immaginare diverse alternative agli scenari di guerra.
L’iniziativa è l’appuntamento più atteso della ottava edizione del Festival della Pace, (Brescia, 7-23 novembre 2025), dove la Fondazione Brescia Musei è tradizionalmente parte attiva nella organizzazione di una mostra che dia voce alle storie di artisti internazionali le cui opere richiamino al ruolo della cultura come strumento fondamentale di ogni processo finalizzato a costruire e stabilire giustizia e pace e testimone di resilienza e sopravvivenza.
Il percorso espositivo si apre con i dipinti e i disegni degli artisti palestinesi Mohammed Al-Hawajri (1976) e Dina Mattar (1985), co-fondatori di Eltiqa Group for Contemporary Art, (“Eltiqa” in arabo “incontro”), una delle prime gallerie d’arte contemporanea nella Striscia di Gaza. La galleria, dal 2002, ha svolto un ruolo fondamentale nel sostenere gli artisti locali ed emergenti, attraverso laboratori e mostre. Nel 2023, l’edificio che la ospitava è stato bombardato, ma il suo lascito continua in esilio, grazie al salvataggio da parte del collettivo e degli stessi Al-Hawajri e Mattar di alcune opere presenti negli spazi espositivi e nei magazzini e ora custodite tra gli Emirati di Sharjah e Dubai.
Gli spazi del Museo accolgono queste opere: opere salvate, che hanno viaggiato insieme agli artisti che le hanno prodotte e attraverso le quali si mostra un altro volto di Gaza: non soltanto quello della distruzione, ma quello della quotidianità, della cultura tramandata, dei luoghi della memoria e quindi di un rifiuto a scomparire, di una volontà di resistere.
Immaginando che Eltiqa prenda nuova vita negli spazi del Museo di Santa Giulia, la Fondazione Brescia Musei ha offerto a Mohammed Al-Hawajri e Dina Mattar l’opportunità di trascorrere un periodo di residenza a Brescia per produrre nuove opere.
Il lavoro di Mohammed Al-Hawajri si distingue per una ricerca che intreccia memoria storica e vita quotidiana del suo popolo. Le sue opere, spesso caratterizzate da ironia e paradosso, raccontano l’esperienza dell’occupazione in Palestina, trasformando immagini di conflitto in scene che mescolano dolore e immaginazione. Ne sono esempio la serie The Animal Farm (2011) e i grandi dipinti dedicati al patrimonio culturale palestinese e all’interdipendenza tra esseri umani e animali, o la serie Maryam (2015), in cui la madre dell’artista è ritratta come simbolo della forza femminile nel mondo arabo.
In mostra figurano anche numerosi dipinti su carta dedicati allo spazio domestico di Gaza, tema condiviso con Dina Mattar, che esplora la quotidianità come luogo di affetti e memoria a rischio di scomparsa.
Mattar descrive la vita a Gaza nella sua quotidiana resistenza, utilizzando la pittura come strumento di gioia e di lotta. Le sue tele e i suoi disegni, dalle linee delicate e dai colori intensi, sono influenzati dalla pittura di Joan Miró e raffigurano spesso figure femminili e scene della vita di tutti i giorni, legate alla memoria familiare e all’immaginario popolare palestinese. Il suo lavoro riflette sull’arte come custodia di affetti, intimità e narrazioni personali, anche in contesti di violenza e privazione dei diritti.
La mostra prosegue con l’artista libanese Haig Aivazian (1980), la cui ricerca, basata su un linguaggio multimediale, che spazia tra immagini in movimento, scultura, installazione, disegno e performance, ed esplorano il modo in cui il potere integra e influenza persone, oggetti, animali, paesaggi e architettura. Le sue opere indagano le strutture del potere nelle società contemporanee in particolare nei rapporti tra Medio Oriente e Occidente, secondo forme di controllo, sorveglianza oppressione, e repressione.
Di lui sarà presentata l’opera All of the Lights (2021), installazione video immersiva che ripercorre l’uso della luce e dell’oscurità come strumento poliziesco e di controllo, e 1440 Couchers de Soleil par 24 Heures (1440 Tramonti in 24 Ore) (2017/2021), in cui Aivazian disegna le pareti del museo secondo una griglia di gesso costellata di palline luminose di magnesio per evocare i sistemi di tracciamento del movimento e le mappe di calore utilizzate tanto nello sport quanto nelle pratiche di “predictive policing”.
La mostra si conclude con le creazioni dell’artista internazionale Emily Jacir (1970), tra le voci più significative dell’arte contemporanea palestinese, Leone d’oro alla 52. Biennale d’Arte di Venezia del 2007. La sua pratica utilizza un ampio spettro di media – film, video, fotografia, scultura, installazione e performance – per indagare i movimenti personali e collettivi nello spazio e nel tempo; l’artista è particolarmente interessata al modo in cui la memoria storica si inscrive nel tempo o attraverso le geografie.
Al Museo di Santa Giulia sono allestite opere di fondamentale importanza nel suo percorso artistico, come l’installazione Material for a Film (2005-in corso): si tratta di un’opera composta da mille libri bianchi, ai quali l’artista ha sparato con una pistola, riproducendo il colpo d’arma da fuoco con cui il Mossad uccise Wael Zuaiter nel 1972 a Roma, perforando il libro Le mille e una notte che Zuaiter portava nel taschino, con l’intenzione di tradurlo in italiano. Emily Jacir trasforma così ogni volume in un simbolo di vita interrotta e memoria violata.
Questa scelta iconica invita il visitatore a diventare parte attiva della narrazione: ogni passo, ogni sguardo nel corridoio di volumi è un gesto di ricostruzione e di resistenza contro l’oblio, sottolineando come il lavoro culturale dell’intellettuale fosse considerato una minaccia e come per questo ancora oggi diventi simbolo di lotta e di conoscenza.
Tra i lavori presenti in mostra vi sono altre due opere emblematiche di Emily Jacir: Memorial to 418 Palestinian Villages Which Were Destroyed, Depopulated, and Occupied by Israel in 1948 (2021), un grande memoriale tessile, realizzato su una tenda per rifugiati che riporta, ricamati a mano, centinaia di nomi di villaggi palestinesi distrutti durante la Nakba, riaffermandone l’esistenza attraverso il gesto collettivo del ricamo. Segue l’installazione video We Ate the Wind (2023), esposta per la prima volta in Italia, che affronta le politiche di reclutamento attuate dalla Svizzera nei confronti dei lavoratori stranieri, in gran parte italiani provenienti dal Sud, ai quali fu negato il diritto al ricongiungimento familiare: circa 50.000 bambini vissero nascosti dalla vita pubblica, nel silenzio delle proprie case. L’opera intreccia movimenti, reti affettive e luoghi di appartenenza, riflettendo su visibilità, esclusione e distanza.
Le opere in mostra sono frutto di importanti prestiti internazionali e provengono da New York, dal National Museum of Contemporary Art di Atene e dalla Sharjah Art Foundation di Sharjah: sono il risultato di opere realizzate in residenze e alcune riproduzioni di cui esistono solo reperti digitali in quando andate distrutte.
Catalogo Skira.
…………………………………………..
Fondazione Brescia Musei è una fondazione di partecipazione pubblico–privata presieduta da Francesca Bazoli e diretta da Stefano Karadjov. Fanno parte di Fondazione Brescia Musei Brixia. Parco archeologico di Brescia romana, Museo di Santa Giulia, Pinacoteca Tosio Martinengo, Museo delle Armi Luigi Marzoli, Museo del Risorgimento “Leonessa d’Italia”, Castello di Brescia “Falco d’Italia” e Cinema Nuovo Eden. La Fondazione Brescia Musei è parte della Rete dell’800 Lombardo con la Pinacoteca Tosio Martinengo e il Museo del Risorgimento “Leonessa d’Italia”. I Musei Civici di Brescia sono inclusi nell’offerta di Associazione Abbonamento Musei.