Mario Sironi. La grandezza dell’arte le tragedie della storia
Di Sironi, artista tra i maggiori del Ventesimo secolo, mancava una biografia che ne ricostruisse le drammatiche vicende esistenziali e le cruciali vicende artistiche. Il volume di Elena Pontiggia colma questa lacuna attraverso lunghe ricerche di archivio e una nutrita serie di documenti inediti.
Comunicato stampa
Galleria d’Arte Cinquantasei
Via Mascarella 59/b, Bologna
T: 051 250885
Intervengono Elena Pontiggia e Andrea Sironi-Straußwald
Introduce Estemio Serri
Ingresso libero
Di Sironi, artista tra i maggiori del Ventesimo secolo, mancava una biografia che ne ricostruisse le drammatiche vicende esistenziali e le cruciali vicende artistiche. Il volume di Elena Pontiggia colma questa lacuna attraverso lunghe ricerche di archivio e una nutrita serie di documenti inediti. Riesamina così tutta l’opera sironiana, correggendo errori storiografici finora diffusi e illuminando lati ancora sconosciuti della sua attività. Il linguaggio chiaro e scorrevole della biografia concilia gli apporti filologici con la semplicità narrativa e ne rende interessante la lettura non solo agli appassionati d’arte, ma anche a chi voglia conoscere la storia del Novecento attraverso un suo emblematico testimone.
«L’arte non ha bisogno di riuscire simpatica, ma esige grandezza» ha scritto Sironi. Sono parole che si attagliano anche a lui, pittore di periferie inospitali eppure imponenti come cattedrali moderne. Futurista a partire dal 1913, Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961) negli anni venti ha espresso l’aspetto più duro della città e della vita contemporanea, ma insieme ha dato ai suoi paesaggi urbani la forza delle architetture classiche e alle sue figure la solennità dei ritratti antichi. Di una classicità moderna, è stato infatti uno dei maggiori protagonisti tra le due guerre: prima con il movimento del Novecento Italiano, che si forma a Milano nel 1922; poi con il sogno visionario di una rinascita dell’affresco e del mosaico. Amico personale di Mussolini e fascista della prima ora, Sironi ha dato forma nella sua pittura murale degli anni trenta alla dottrina nazionalistica e sociale del regime – non alle leggi razziali che non ha mai condiviso – ma il suo desiderio di ritornare alla Grande Decorazione antica gli era nato già durante la giovinezza trascorsa a Roma, quando, come diceva, passavano davanti ai suoi occhi «gli splendidi fantasmi dell’arte classica». Del resto la sua arte, potente e dolorosa, non diventa mai un’arte di Stato.
La vita non ha risparmiato Sironi: la perdita del padre a tredici anni, le crisi depressive, la guerra; poi la miseria, la contrastata vicenda familiare, le polemiche sulla sua pittura, i ritmi di lavoro massacranti che gli minano la salute; la caduta del fascismo, il crollo dei suoi ideali politici e un’esecuzione sommaria evitata in extremis (grazie all’intervento di Gianni Rodari, partigiano ma suo estimatore); infine la perdita della figlia Rossana, suicidatasi a diciotto anni nel 1948. Tuttavia la sua pittura oppone alle tragedie dell’esistenza e della storia un’ostinata volontà costruttiva. Almeno fino alla stagione ultima quando Sironi, svaniti sogni e illusioni, dipinge città frananti e visioni dell’Apocalisse.