Lucide inquietudini
Storie singolari dell’astratto-concreto tra ’50 e ’70.
Comunicato stampa
La mostra Lucide inquietudini raccoglie l’invito di Ermanno Leinardi, fondatore del Macc, a documentare aspetti dell’arte astratta e concreta, “impegnata dall’immediato dopoguerra nel rinnovamento artistico europeo”; senza dimenticare l’ammonizione di Marcuse in capo al catalogo della collezione: «Un’opera d’arte è autentica o vera non in forza del contenuto… né della forma pura, ma per opera del contenuto che si è fatto forma».
I quattro artisti scelti (Piero Rambaudi, Albino Galvano, Mario Davico, Gino Gorza), sono attualmente poco noti al grande pubblico, anche nella loro Torino, nonostante abbiano partecipato a importanti manifestazioni artistiche nell’arco di tutta la loro non breve esistenza.
Anche per la inclinazione a perseguire obbiettivi necessari alla definizione di una identità per così dire assoluta, per l’irritualità delle scelte esistenziali e professionali, per l’intransigenza critica, non hanno ottenuto il credito che avrebbero meritato, salvo che sul piano del magistero, generosamente proiettato su diverse generazioni.
Del resto, la loro formazione era avvenuta sulla falsariga dei “maestri” del primo ’900 torinese: Rambaudi frequentò Leonardo Bistolfi, scultore modernista di livello europeo, Galvano e Gorza furono allievi convinti di Felice Casorati, maestro di “grammatica figurativa” come modello di rigore etico, il quale volle nominare la sua cattedra in Accademia “Composizione pittorica”; Davico, il suo magistero lo conquistò attraverso un lavoro rigoroso e solitario, che lo difese dalle sirene del puro piacere pittorico del geniale iperdilettante Enrico Paulucci, di cui fu prima allievo e poi assistente in Accademia.
La mostra non vuole proporre delle mini-antologiche dei quattro artisti (una decina di opere significative per ciascuno), e tanto meno assimilarli o ridurli a gruppo (essi sono anche di differenti generazioni: Rambaudi del 1906, Galvano del 1907, Davico del 1920, del 1923 Gorza), ma seguirli nella vicenda complessa dagli anni ’50 ai ’70, documentando con esempi significativi come abbiano vissuto le tre stagioni del Concretismo, primi ’50, del cosiddetto Informale, fine ’50 inizio ’60, e dell’Analitico, ’60/70, sempre vigili ai mutamenti culturali e di gusto, sempre originali nelle proposte e risposte alle sollecitazioni del tempo, sempre coerenti alla propria natura e alle idee fondanti.
Il catalogo che accompagna l’esposizione utilizza ampiamente scritti e dichiarazioni che dimostrano, da parte degli artisti, una lucida,inquieta consapevolezza del valore e dei sensi, anche ambigui, del proprio lavoro.
Pino Mantovani
Direttore artistico MACC- Museo Arte Contemporanea Calasetta