Luca Vitone – Wunderkammer

Informazioni Evento

Luogo
PINKSUMMER - PALAZZO DUCALE
Piazza Giacomo Matteotti 28r, Genova, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

La galleria è aperta dal martedì al sabato, dalle 15.00 alle 19.30.
La mostra chiuderà 31 Marzo 2018

Vernissage
03/02/2018

ore 18,30

Artisti
Luca Vitone
Generi
arte contemporanea, personale

Il titolo della mostra “Wunderkammer”, porta con sé una tradizione di accumulo e un’idea di meraviglia connessa a ciò che è inusuale, incredibile, esorbitante rispetto alla norma.

Comunicato stampa

Pinksummer: Il titolo della mostra “Wunderkammer”, porta con sé una tradizione di accumulo e un'idea di meraviglia connessa a ciò che è inusuale, incredibile, esorbitante rispetto alla norma. La polvere della tua “Camera delle meraviglie”, raccolta a Palazzo Ducale, qui a Genova, dove ci troviamo, e stesa alle pareti e alla volta del soffitto di pinksummer, sostituisce, alla raccolta di oggetti de-contestualizzati, la selezione di un solo, sottile oggetto ri-contestualizzante, direttamente connesso alla storia e all'identità del luogo. La scelta di ripensare la meraviglia come frutto non della somma ma della sottrazione di elementi, ha la funzione di ribaltare l'horror vacui delle wunderkammer in quello che potrebbe cogliere l'ospite di fronte a questo spazio (semi)vuoto? O, al contrario, si tratta dell'auspicio che chi entra possa meravigliarsi nell'intravedere proprio nel troppo vuoto di materia un pieno di memoria?
Luca Vitone: Il titolo della mostra è un escamotage per parlare di un apparente vuoto che riempie la galleria. Una wunderkammer è una stanza che trabocca di oggetti e le pareti della galleria saranno interamente occupate dalla polvere di Palazzo Ducale, luogo centrale, millenario, che trasuda storia e memoria della città di Genova, dove, forse non a caso, risiede la galleria.
La wunderkammer è una stanza che esprime la maniaca volontà del collezionista, che la riempie di oggetti raccolti per raccontare una storia e la propria esistenza; storicamente un facoltoso aristocratico. In questo caso si ribalta il ruolo sociale del soggetto e la wunderkammer potrebbe essere il risultato eclatante di un illuminato uomo delle pulizie.
Entrando nella galleria si è circondati da uno strato di polvere che ci osserva. Ciò che si evidenzia è ciò che solitamente non si vede. Il pigmento copre tutta la superficie come in una stanza di Giulio Romano.
PS: Nello specifico, proprio la polvere chiama in causa una dimensione infinitesimale della materia, tanto da essere stata considerata fino all’invenzione del microscopio come la soglia del visibile. Il lavoro con la polvere ha comportato, al di là degli spunti provenienti dalla storia dell’arte intrecciati alla tua storia nell’arte, una riflessione sull’invisibilità o piuttosto sulla visibilità e sulle sue condizioni? In altre parole, la polvere ha a che fare con la dimensione del “nulla” o piuttosto con quella liminale del “poco”?
LV: Una stanza che dapprima appare vuota, ma come nel buio di un planetario lentamente dilatiamo la pupilla e, alzando lo sguardo, riconosciamo la volta celeste, qui piano piano ci rendiamo conto di essere circondati da un elemento reale che ci accompagna nel nostro vivere. Questa evidenza riempie lo spazio e ne trasforma l’apparente vuoto.
PS: Henri Lefebvre parla a proposito degli spazi vissuti di spazi della rappresentazione in contrapposizione alla rappresentazione dello spazio. Ogni spazio vissuto implica di necessità la dimensione della temporalità. Hai affermato che il tempo è uno strumento, il mezzo attraverso cui le cose hanno luogo e si fanno luogo. La tua opera in principio ha teso a ridurre il qualitativo al quantitativo, il cognitivo all'ontologico, quasi sentissi la necessità di applicare alla memoria una curiosa forma di topofilia euclidea. E’ possibile che ultimamente tu ti stia un poco de-ontologizzando rispetto a quel tuo autodefinirti realista, courbettiano e socialista, lasciandoti andare a un percorso più induttivo, universalizzante e in qualche modo controintuitivo? Stiamo pensando alle polveri, agli agenti atmosferici, ma soprattutto all’idealizzazione delle grandi sculture olfattive di Venezia e Berlino.
LV: Qui si mette in scena il reale, ciò che c’è e ciò che è.
La polvere è un elemento persistente che occupa lo spazio. Ogni volta che proviamo a eliminarla, poco dopo si deposita nello stesso posto da dove era stata tolta e lentamente si accumula. Diventa in questo modo metafora del tempo e dell’esistenza, la sua consistenza testimonia l’essenza di un luogo e di chi lo abita. Si tratta di un ritratto, un ritratto realista senza mediazioni. Il passaggio da polvere a pigmento non implica alcuna alterazione e l’immagine che ne esce rappresenta pertanto un momento reale, una frazione di tempo che racconta di un luogo e di chi lo agisce.
PS: La polvere, funzionando, come un palinsesto, per stratificazioni successive, si configura come un’unione di passato e presente, aperta a farsi ricettacolo di futuro. Ci sembra perciò suggerire un’idea durativa e quasi olografica, piuttosto che puntuale del tempo, idea che richiede giocoforza qualcuno che attraversi questo tempo e attraverso esso percepisca. Se pensiamo che Husserl affermava che la percezione è l’atto che ci pone sott’occhio qualcosa come se stesso, si può dire che il tuo lavoro stia, in parte, muovendo da una lettura realista del mondo, verso una metodologia più fenomenologica. Le polveri come gli agenti atmosferici, tendono a fermare l’erosione del tempo, riconoscendola e sussumendola. Un ritratto impregnato in profondità dall’idea di tempo, rimanda alla natura morta, alla Vanitas.
Jim Morrison affermava che c’è il reale e c’è l’ignoto e in mezzo ai due una porta che li separa e che lui voleva essere quella porta. Abbiamo pensato che senza raccontarlo anche tu abbia desiderato essere porta. Ci siamo chiesti se, a oggi, questa porta, per te a lungo dischiusa sul reale percepito, non abbia preso a concedersi qualche apertura sull’ignoto. Ma c'è di più, hai chiamato le tue polveri finestre e non porte, dalle porte si passa, dalle finistre si guarda…
LV: Esatto, preferisco pensarmi finestra piuttosto che porta, finestra che osserva il paesaggio, il mondo che ci circonda, e che, se aperta, fa corrente.
PS: A proposito di soglie, hai sempre contrapposto interno ed esterno, ambiente domestico e paesaggio. Fin da Identificazione del luogo hai costruito coppie oppositive e complementari come gli agenti atmosferici e le polveri. Sempre sulla categoria interno/esterno cosa potrebbe essere complementare e opposto alle Chambres?
LV: Non so se arriverà un opposto/complementare delle Chambres. Nel caso dei monocromi m’interessava raccontare il mondo sia privato che pubblico attraverso questo anti-pigmento che è la polvere. Per gli interni ho deciso di usare la carta perché la polvere raccolta e usata come un pigmento è stesa come un acquerello e la carta è il suo supporto d’elezione. In più la carta è più fragile della tela e mi aiuta a ritrarre una situazione privata, che sia il ritratto di un ambiente o di una persona. La tela la uso per gli esterni ed è lasciata all’aperto aspettando che il tempo, sia cronologico che atmosferico imprima il suo passaggio (la sua presenza): il paesaggio percependosi si autoritrae. Per questa pratica la tela è più resistente e gli agenti atmosferici, più “grassi”, come anti-pigmento li paragono alla pittura a olio perfetta per ritrarre un contesto pubblico.

La galleria è aperta dal martedì al sabato, dalle 15.00 alle 19.30.
La mostra chiuderà 31 Marzo 2018

Pinksummer Palazzo Ducale-Cortile Maggiore Piazza Matteotti 28r 16123 Genova Italy
t/f +39 010 2543762 [email protected]; pinksummer.com

scarica il comunicato stampa qui
LUCA VITONE

WUNDERKAMMER

Opening February 3rd 2018, h 6.30 p.m.

Press release as an interview

Pinksummer: The exhibition title, “Wunderkammer”, carries a tradition of accumulation and an idea of wonder connected to anything that is unusual, astounding, exorbitant. The dust of your “room of wonders”, collected at Palazzo Ducale, here in Genoa, where we are, and plastered on pinksummer’s walls and vaulted ceiling, replaces the collection of decontextualized objects with the selection of a single, subtle recontextualizing object, directly connected to the history and the identity of the place. Does the choice of reinventing the idea of wonder as something no longer resulting from the sum of elements but from their subtraction instead, end up turning the Wunderkammer's horror vaqui into whatever could be felt by whom enters such an almost empty room? Or, on the contrary, is it about hoping that who enters is amazed by perceiving plenty of memory through that absence of matter?
Luca Vitone: The title of the exhibition is a trick to tell about an apparent vacuum that fills up the gallery. A Wunderkammer is a room packed with objects and the gallery's walls will be completely covered by the dust of Palazzo Ducale, central, thousand-year old place, that belches history and memory of the city of Genoa, the place where, perhaps not by change, the gallery is located.
Wunderkammer is a room that expresses the obsessive will of the collector, who fills it with objects gathered in order to tell a story and his own existence, historically the one of a wealthy member of aristocracy. In this case the social position of the subject is inverted and the Wunderkammer could be the astonishing result of an enlightened cleaner.
Who enters the gallery is surrounded by a layer of dust that observes him or her. What is made evident is what is usually invisible. The pigment covers all the surfaces like it does in a room frescoed by Giulio Romano.
PS: In this particular case, the dust is recalling an infinitesimal dimension of the matter, being considered the threshold of visibility until the invention of the microscope. Apart from the suggestions coming from art history and your history within art, did working with dust imply any reflection on invisibility or rather on visibility and its conditions? In other words, does the dust have something to do with the definition of “nothing” or rather with the liminal one of “little”?
LV: A room that seems to be empty at first, but where, same as in the darkness of a planetarium when slowly our iris opens and, by raising our gaze, we recognize the celestial vault, here little by little we realize to be surrounded by a real element that accompanies our life. Such a fact fills up the room and transforms its apparent emptiness.
PS: Henri Lefebvre tells about lived spaces as spaces of the representation in contrast with the representation of space. Any lived space implies necessarily the dimension of time. You asserted that time is an instrument, the means through which things take place and become place. In the beginning, your work aimed to turn qualities into quantities, cognitive issues into ontological ones, as if you felt the need to apply to memory a bizarre kind of Euclidean topophilia. Is it possible that lately you are getting less ontological in respect of what you previously defined a realist, Courbetian and socialist stance, and let yourself go to a more inductive, universalistic and somehow counterintuitive attitude? We are thinking at your series called "Polveri" and "Agenti Atmosferici" series, but most of all at the invention of the large olfactive sculptures presented in Venice and Berlin.
LV: Here the real gets staged, what there is and what it is.
Dust is a persistent element that occupies the space. Every time we try to eliminate it, a little later, it deposits in the same places from where it has been removed and it accumulates slowly. This way, dust becomes a metaphor of time and existence, its consistency testifies the essence of a place and of who inhabits it. It's a portrait, a realistic portrait with no mediation. The shift from dust to pigment implies no alteration and the resulting image represents therefore a real moment from a time lapse, that tells about a place and who acts in it.
PS: Acting by subsequent layering like a palimpsest, dust amounts to a union of past and present open to become the receptacle of future. Therefore, to us, dust seems to suggest a lasting and nearly holographic idea of time, instead of a punctual one, an idea that necessary demands someone crossing that time and perceiving through it. If we think that Husserl asserted that perception is the action that sets under our observation something in itself, we can say that your work is partially moving away from a realistic reading of the world, towards a more phenomenological methodology. The "Polveri", as the "Agenti Atmosferici" tend to stop the erosion of time, by recognizing it and by sussuming it. Does a portrait deeply concerned with the idea of time recall the still life composition, the Vanitas?
Jim Morrison asserted that there is the real and there is the unknown and a door dividing them in the middle and he wanted to be that door. We have thought that you too wished to be a door, without telling it. We have asked ourselves whether that door, insofar open for you on the perceived reality, is now allowing some opening on the unknown. Moreover, you called your dust paintings windows and not doors, doors are made for passing through, windows for looking...
LV: Right, I would rather think myself as a window than as a door, a window that observes the landscape, the world surrounding us, and that, if opened, lets there be a draft.
PS: Speaking about thresholds, you have always juxtaposed inside and outside, home environment and landscape. Since "Identificazione del luogo" you built up some couples of opposite and complementary concepts such as the "Agenti atmosferici" and "Polveri" series. Back to the inside/outside category what could be complementary and opposite to the Chambres?
LV: I do not know if there will be something complementary/opposite to the Chambres. In the case of monochrome paintings I was interested in telling about both private and public world through that anti-pigment which is the dust. I decided to use paper for the interior because the dust I collected and used as a pigment was washed like watercolour and paper is the preferred support for that medium. Also, paper is more fragile than canvas which helps me in portraying a private situation, no matter if that is the portrait of a place or a person. I use canvas for the outside environments instead and I leave it outdoors waiting for time and weather to imprint the mark of their passage (and presence ) on it: while perceiving itself, landscape paints its self-portrait. For that practice, canvas is more resistant and I assimilate weathering, fatter than dust as an anti-pigment, to oil painting, a perfect medium to portray a public context.