Lo scarto dell’ombra
Sulla parete centrale della Galleria una grande installazione a sei mani in cui sono impaginate 90 miniature rappresentative della ricerca delle tre artiste.
Comunicato stampa
presentazione di Kevin McManus
Il lavoro di tre artiste con un comune filo conduttore: l’immagine fotografica e la sua proiezione che determina l’ombra.
La mostra è divisa in tre sezioni:
Lucia Pescador allestisce una parete articolata da immagini su acetato, disegni e oggetti posti su piani diversi; Alessandra Bonelli reinterpreta l’immagine di una scultura che, su due piani sovrapposti e trasparenti, racchiude un ipotetico paesaggio; Giulia Dalaj Comenduni, attraverso il mezzo fotografico, trae da fasci di luci su carta la magia delle forme dell’ombra.
Sulla parete centrale della Galleria una grande installazione a sei mani in cui sono impaginate 90 miniature rappresentative della ricerca delle tre artiste.
inaugurazione: martedì 27 novembre ore 18
orario: da martedì a venerdì dalle 17,00 alle 19,00 (chiuso il 7 dicembre)
catalogo in Galleria
Kevin McManus
Lo scarto dell’ombra
Il legame tra fotografia e memoria anima gran parte del dibattito critico sul mezzo, e torna costantemente nei “testi sacri”, da Benjamin a Barthes, da Bourdieu a Chéroux. La fotografia non rappresenta la memoria, non la imita: è essa stessa memoria, traccia, indice. Come la memoria, è un medium che comunica a noi stessi il nostro passato, ossia conserva una parte dell’esperienza modificandola in base a un sistema di regole linguistiche ben precise. E come la memoria, ha in sé qualcosa della morte: chi non ha provato, davanti all’immagine contenuta in una foto, il desiderio di rianimarla, di riportarla in vita? Fin dall’invenzione della fotografia, e per oltre 150 anni, due erano le certezze ad essa legate: che qualcosa, quel qualcosa, fosse passato, in quell’istante, davanti all’obiettivo, che fosse esistito almeno per un attimo. E che lo stesso qualcosa, così come lo si vede entro il rettangolo della foto, non esiste più. Nell’epoca del digitale, la prima di queste certezze è persa nelle nebbie della simulazione, lasciandoci soli con la seconda, quella del non-esistenza dell’immagine; da suggestione di presenza, la foto diventa esclusivamente un certificato di assenza.
Come superare, magari con un salto all’indietro che sia recupero poetico e non ritorno al passato, questa contraddizione? Quella cioè di un mezzo nato per farci vedere l’esistente e oggi in grado di comunicare nient’altro che inesistenza? I lavori qui esposti rispondono (re)indagando le proprietà specifiche della fotografia: l’“inconscio ottico” da loro trovato è quello della forma astratta, della poesia e della scrittura che anima già l’esistente, a patto che la si voglia aspettare e la si sappia cogliere. Proprio l’attesa è l’elemento fondamentale nei lavori di Giulia Comenduni: attesa che la luce produca la forma giusta, o che vada a formare attraverso una lente il giusto riflesso, opera d’arte dispettosa come la gibigianna dei bambini; o ancora che siano gli oggetti della quotidianità a rivelare, nelle pieghe che l’occhio distratto nemmeno si cura di guardare, forme autonome da qualsiasi funzione e animate da una geometria segreta. In Risonanze, forme costruttiviste di raffinato linearismo sono prodotte dalla luce, che interagisce con frammenti di oggetto e superfici, dettagli impossibili per l’occhio, che la macchina fotografica cattura nell’istante esatto in cui sembrano rivelare una fugace struttura, così che il cliché del “carpe diem”, base di tanta retorica sulla fotografia modernista, viene rivitalizzato come strategia per catturare nel reale la poesia dell’astratto.
Diverso, ma complementare, il discorso portato avanti da Alessandra Bonelli in Post scriptum, che già nel titolo rivela la presenza, nell’esistente fotografato, di uno “scritto”, di un linguaggio già articolato in forma astratta, in questo caso una scultura. Dopo la scrittura, a patto di non distogliere immediatamente lo sguardo dalla scrittura stessa, c’è una dimensione ulteriore in cui le forme si dissociano tra di loro, assumono un nuovo senso come dettagli, e si associano di nuovo con la loro ripetizione. La fotografia costituisce per esse un nuovo spazio, quello delimitato dal rettangolo, dove il bordo diventa sia limite che punto di congiunzione: lo scriptum rimane come matrice, come prototipo che la fotografia, con il suo peculiare chiaroscuro, con la mediazione ulteriore dell’obiettivo, trasforma in un altro scriptum di cui è autrice la luce.
E abbondano, le forme di scrittura, nel lavoro di Lucia Pescador. Che torni anche qui, questa volta esplicitamente, il costruttivismo non è un caso, dal momento che proprio in quell’ambito d’avanguardia si era per un attimo manifestata la possibilità di un’identificazione tra forma astratta e proprietà fisiche, tangibili del reale, che si trattasse dei materiali della scultura o, appunto, dell’azione della luce su un supporto sensibile. L’idea di ottenere il linguaggio non imponendolo a priori sulla realtà, ma deducendolo da essa, dalle sue pieghe nascoste, è forse il principale elemento di coesione nella ricerca delle tre artiste. Al fianco di esso, il tempo, che per Giulia Comenduni è il tempo dell’attesa, per Alessandra Bonelli è il tempo della riscoperta della forma, mentre per Lucia Pescador è quello della rielaborazione, della sedimentazione nella memoria della forma percepita (e fotografata): la memoria non è infatti fotografica, ammortizza i quattro lati dell’inquadratura, fa convergere i colori verso una tinta universale, disperde la logica figura/sfondo e rende vaghi i contorni delle cose. Le forme, così, diventano nuovi disegni, punti di partenza per altri disegni che si accumulano a fianco della foto originaria, a riprodurre i meccanismi del ricordo allo stesso modo in cui li riproducono i sogni ricorrenti, sempre leggermente diversi, eppure indissolubilmente legati alla stessa immagine simbolica di partenza. Wunderkammer, questo il nome scelto dall’artista per l’installazione dei suoi lavori; termine oggi abusato, ma qui particolarmente efficace, poiché si parla propriamente di ambienti dove la molteplicità ed eterogeneità dei materiali è unificata dalla potenza di un ricordo (o di un pensiero) e della forma ad esso associata.
Che sia questa, dunque, una possibile via verso una salvezza della fotografia come strumento di verità, è la sfida che queste tre artiste, anche nell’ironia del gesto fotografico, si impegnano a lanciare. In un’epoca in cui il mezzo fotografico è coinvolto – a volte da protagonista – nel processo di continua, esponenziale iconizzazione del reale, dove tutto cioè, è immagine di altre immagini, un’arte che riporta la fotografia alla propria specificità linguistica ci mostra ancora una volta come l’immagine si trovi innanzitutto nella memoria, nostra e delle cose che ci circondano. Basta coglierla in ciò che resta attorno all’ombra.
Note biografiche sulle artiste
Alessandra Bonelli ha iniziato l’attività espositiva nel 1960. I primi lavori erano orientati verso un’analisi introspettiva che fa capo all’onirico. Un preciso interesse per la cultura visiva in trasformazione le ha suggerito l’acquisizione dello strumento fotografico. Nel ’77 costituisce con G. Benedini, L. Pescador, L. Sterlocchi il Gruppo Metamorfosi che esordisce a Ferrara a Palazzo Diamanti. Con gli Atlanti Im-possibili i suoi lavori danno l’avvio a racconti sul filo del simbolo e di memorie ancestrali. Agli inizi degli anni ’90 i contorni del quadro si liberano nel vuoto.
Tra le mostre: ’64, premio Diomira. ’64, ’65,’66, Milano Gall.Artecentro. ’66, Barcellona, premio J.Mirò e Quinto Salon de Arte Actual. ’68, Milano Nuove Ricerche. ’70, Bolzano, Biennale Internaz. ’72, Basilea, Internaz Kunstmesse. ’74, Roma Gall S.M.13. ’75, Alessandria Palazzo del Comune. ’76, Milano Gall Artecentro. ’77, Ravenna Pinacoteca. ’78, Cremona Palazzo Comunale. ’79, Macon Nouvelle Tendence Italienne, Parma Gall Correggio. ’80, Milano Gall Artecentro. ’81, Castello Visconteo; Bruxelles l’Autre Musée; Londra Gall Xavier Berg; San Paolo del Brasile XVI Biennale. ’84, Ferrara palazzo Diamanti. ’85, Mantova casa del Mantegna. ’90, Milano Gall Artecentro. ’92, Pisa Expò. ’95, Bruxelles, Centre Rops. ’98, Knokke Gall Verhaeren. 2005, Smirne Centre Culturelle. 2006, Pieve Di Cento, Museo Bargellini. 2007, Vigevano Spazio Tarlalepre. 2009, Liegi Musèe de L’Art Vallon. 2010, Milano Quintocortile; Vigevano Castello Visconteo.
Sue opere si trovano: Milano Castello Sforzesco Raccolta Bertarelli. Monaco Staats Universitat Biblioteke. San Paolo del Brasile Museu De Arte Contemporanea. Mantova Collezione della Provincia. Bologna Pieve di Cento Museo Bargellini. Bergamo Galleria Arte Contemporanea
Giulia Dalaj Comenduni, nata a Milano nel 1955.
Fotografa, il suo lavoro è un inseguire i fasci di luci che cadono sulle superfici. Le ombre producono e ricreano immagini apparentemente inesistenti che a loro volta tendono ad avvicinarsi all’arte pittorica. La macchina fotografica è semplicemente un mezzo per fissare, trasformandone la dimensione, questi effetti. Questo metodo è stato denominato dall’artista ‘PHOTOBITE’ (da morso, in ortodonzia). I suoi sono tutti scatti reali originali e non ci sono interventi al computer: Ciascuna ripresa è il risultato di una scena pensata, preparata e costruita sia nelle forme che nelle luci.
Tra le ultime esposizioni: “Quintocortile”, Milano, “Libreria Convivio”, Vigevano, “Strada Sotterranea del Castello”, Vigevano, “Caffè San Marco”, Trieste,“Spazio Sblù”, Milano.
Sue fotografie sono state recentemente scelte da Oliviero Toscani per la festa del “Fatto Quotidiano” alla Versilina di Pietra Santa (Lucca).
Lucia Pescador è nata a Voghera il 9 Febbraio 1943. Si è diplomata all’ Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. E’ stata insegnante al Liceo Artistico di Milano. Ha lavorato prevalentemente su supporti di carta, privilegiando il disegno.
Ha esposto in gallerie private, fiere e musei dal 1965 (galleria Arte Centro) con esposizioni collettive e un ottantina di personali in Italia, Francia, Belgio, Olanda, Austria, Inghilterra, Germania, Stati Uniti, Egitto, India e Cina. Sono degli anni ’90 una serie di disegni molto piccoli e molto grandi dedicati al pittore Kasimir Malĕvic, che vengono esposti nel 1992 a Milano nel Refettorio delle Stelline in una mostra documentaria degli ultimi suoi 10 anni di lavoro, intitolata: ‘Una nave per Kasimir’, curata da Lea Vergine.
Alla fine dello stesso anno è iniziato l’Inventario di fine secolo con la mano sinistra, un inventario che progredisce per temi, (Arte, Natura, Artefice, Vasi, Hotel del Nord, Africa, Decorazione, Enigmistica, Hotel Meuble Berlin e Bauhaus), formati da coppie d’immagini della cultura del nostro secolo, eseguiti con la mano sinistra su carte usate. Dal 2000 lavora sul tema Ambulanti tra Occidente e Oriente e nel 2009, inizia un nuovo percorso intitolato: ‘Wundermachtkammer’, che viene esposto per la prima volta a Palazzo Te a Mantova nel 2010. Nello stesso anno propone al Castello di Trezzo d’Adda, in una mostra curata da Alberto Crespi, un allestimento dal titolo: ‘Lowestein Suite- Notturno’. Del 2011 è invece la ‘Wundermachtkammer Sogno Smarrito’, proposta al Museo del Carale di Ivrea, per una mostra curata da Lorena Giuranna. Nel 2012 ‘La cucina di Olivia’, costa de Rile-Pavia- Wundermachtkammer per Ettore Sottas alla Lithos di Como.