Hermann Nitsch / Karl Stengel – Punti di vista

Informazioni Evento

Luogo
GALLERIA ZETAEFFE
via maggio 47 r, Firenze, Italia
Date
Dal al

lunedì – sabato 10.00/ 13.00 – 15.30/19.30

Vernissage
14/04/2019
Artisti
Hermann Nitsch, Karl Stengel
Generi
arte contemporanea, doppia personale
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Si incontrano in questa mostra due artisti che potrebbero a prima vista risultare estranei e distanti. Entrambi però sono figli di quello che fu l’Impero Austro-Ungarico e sono nati sulle rive del Danubio.

Comunicato stampa

Sabato 13 aprile 2019 alle ore 17.00 presso la Galleria Zetaeffe (in Via Maggio 47/r – Firenze), sarà inaugurata la mostra “Punti di vista” con i lavori di Hermanna Nitsch e Karl Stengel. La mostra sarà visibile fino al 13 maggio 2019, secondo gli orari di apertura della Galleria.

Si incontrano in questa mostra due artisti che potrebbero a prima vista risultare estranei e distanti. Entrambi però sono figli di quello che fu l’Impero Austro-Ungarico e sono nati sulle rive del Danubio.

Karl Stengel a Novisad nel 1925 e Hermann Nitsch a Vienna nel 1938. Tra queste due date l’avvento del fascismo di Mussolini, le “grandi purghe” di Stalin e l’Anschluss (annessione) dell’Austria da parte di Hitler. Drammatica e dolorosa è la biografia di Stengel. Quando nel giugno 1941 la Germania, alleata dell’Ungheria, dichiara la guerra all’URSS, Karl parte, a 17 anni, militare per il fronte russo. Catturato con la sua compagnia, finisce prigioniero in un lager in Siberia. Di questa esperienza amava ricordare il grande cameratismo e l’amicizia che nascevano tra i prigionieri. E che una volta, sorpreso da un ufficiale russo mentre disegnava con un pezzo di carbone su un sacco vuoto di cemento, costui gli procurò carta e matite per essere ritratto con gli altri ufficiali. Fu la prima mostra di Karl e riscosse un consenso generale. Rimpatriato per gravi danni a un polmone, fu costretto a lavorare - lui di buone origini borghesi - 2 anni in fabbrica per frequentare l’Accademia di Arte e Artigianato di Budapest, dedicandosi con passione al disegno, all’incisione, al mosaico e alla scultura. Partecipa nell’ottobre del 1956 alle manifestazioni degli studenti contro l’Urss e quando i sovietici invadono l’Ungheria per Karl c’è solo la fuga, assieme ai 200.000 abitanti che lasciano il paese. Si rifugia a Monaco di Baviera dove, barcamenandosi tra i lavori più diversi, continua gli studi all’Akademie der Bildenden Künste. Comprata una vecchia auto, si mette in viaggio verso Roma dove viene “fulminato” dalle storie del Decamerone di Boccaccio che riporta in splendidi disegni a china. Poi il lungo soggiorno nella Spagna meridionale, in un paesino di pescatori, vicino ad Alicante; nel 1980 assume una docenza all’Università di Scienze della Formazione di Monaco e nel 1997 una docenza per incisione. Un legame affettivo lo porta in Italia, in Toscana, e dopo una lunga ricerca trova a Loro Ciuffenna uno studio e anche una casa, sulle pendici del Cocollo, dove muore nel 2017.

Hermann Nitsch si diploma grafico pubblicitario e lavora al Museo della Tecnica di Vienna. Nel 1961 con altri artisti fonda il “Wiener Aktionismus” (l’Azionismo Viennese), un movimento che fa sue le tematiche dell’arte gestuale. La prima Aktion (Blood Organ) è del dicembre ’62 e dura circa 30’. In sottofondo una partitura musicale composta dallo stesso Nitsch che ricorda le litanie dei monaci ortodossi. Un uomo incatenato, come fosse crocifisso, viene coperto da un lenzuolo bianco. L’artista gli versa addosso del colore e del sangue che intridono il telo. È il primo dei Schüettbilder (dipinti versati) che saranno alla base dell’Orgien-Mysterien-Theater (il Teatro delle Orge e dei Misteri). Una forma di arte totale (Gesamtkunstwerk) che fonde insieme alchemicamente il teatro, la musica, l’architettura e coinvolge tutti i 5 sensi attraverso uno stato di eccitazione psico-fisica che rimanda alla trance. Ispirandosi ai sacrifici rituali dei popoli arcaici dove si spargevano il sangue e le viscere degli animali, Nitsch è il sacerdote-sciamano che diventa il sismografo dell’estasi, della morte e della resurrezione di tutto il creato.

Qual è allora il senso di questo confronto tra Stengel e Nitsch? Qual è l’intuizione? Che al di là delle differenze di stile (e dei “punti di vista”) entrambi hanno l’urgenza di esprimere, a volte in modo doloroso, una propria visione del mondo, un nocciolo interiore, che riguarda tutti. E un’altra cosa li accomuna: il colore come intima questione della pittura e la musica che si porta dentro.

Non era Kandinsky che parlava dell’effetto musicale che il colore esercita sull’anima? Qui, nelle opere dei due artisti, domina il rosso. Per Nitsch è il colore del sangue e della carne, e per lungo tempo la sola tonalità cromatica da spalmare e schizzare. Rappresentava il “sudar sangue” del pittore e l’eccesso dionisiaco. In seguito - questi acrilici del 2000 lo dimostrano - aveva utilizzato gli altri colori dello spettro: il nero della notte cosmica, la luce bianca e violetta delle galassie in fusione, le tinte dell’autunno e del vino fermentato.

Anche in Stengel il rosso è energia e bellezza allo stato puro. Ma il colore diventa una “astrazione lirica”, uno spazio vergine libero da schemi che si riempie di emozioni e visioni. Va sottolineata anche un’altra peculiarità: l’artista opera una sintesi tra il Figurativo e l’Astratto come la percepiva Kandinsky e anche Venturino Venturi: “L’arte nasce sempre in modo astratto”. Per questo in Stengel il disegno ha una valenza puramente simbolica, non illustrativa. Diventa un diario intimo dell’anima, “la lettera” che lui spedisce al mondo, a sé stesso e a noi tutti.

Stengel ha sempre lavorato ascoltando musica. Tra le sue preferite le “Variazioni Goldberg” di Bach suonate al piano da Glenn Gould. Dipinge con pennellate rapide e dinamiche, quasi contrappuntistiche, che riducono la tela a uno spartito musicale. Giustamente il critico Giampaolo Trotta ha parlato di “note grafico-cromatiche” che nascono dalle musiche che Karl di volta in volta sceglie: da Bartók a Dvořàk, da Skriabin a Stravinskij. Che lo ispirano e danno il ritmo al suo pennello.

E quindi si ritorna ancora a Kandinsky e alla sua intuizione: “Il colore è un tasto. L’occhio è il martelletto che lo colpisce. L’artista è la mano che con questo o quel tasto porta l’anima a vibrare”.

Ivan Teobaldelli