Guido Pajetta – Miti e figure tra forma e colore

Informazioni Evento

Luogo
PALAZZO REALE
Piazza Del Duomo 12, Milano, Italia
Date
Dal al

lunedì 14.30 - 19.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 - 19.30
giovedì e sabato 9.30 - 22.30
Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura

Vernissage
04/07/2019

ore 19,30 su invito

Biglietti

ingresso libero

Patrocini

Una mostra Comune di Milano - Cultura
Palazzo Reale
Fondazione Guido Pajetta
Catalogo Skira
Progetto allestimento Proevent

Editori
SKIRA
Artisti
Guido Pajetta
Curatori
Paolo Biscottini, Giorgio Pajetta, Paolo Campiglio
Generi
arte moderna
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Mostra Guido Pajetta. Miti e figure tra forma e colore, promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e dalla Fondazione Guido Pajetta.

Comunicato stampa

Dal 5 luglio al 1° settembre 2019, a Palazzo Reale di Milano apre al pubblico la mostra Guido Pajetta. Miti e figure tra forma e colore, promossa e prodotta dal Comune di Milano - Cultura, Palazzo Reale e dalla Fondazione Guido Pajetta.
La rassegna, curata da Paolo Biscottini, Paolo Campiglio e Giorgio Pajetta, ripercorre attraverso 90 opere, suddivise in 8 sezioni espositive, oltre sessant’anni di lavoro dell’artista milanese che ha avuto una posizione di primissimo piano nel panorama artistico del ‘900.
Nella sua lunga carriera Pajetta ha attraversato quasi interamente il secolo scorso, incontrandone gli stili e i personaggi più importanti ma, nonostante i numerosi sodalizi artistici e le innegabili influenze, rimane una figura anomala all’interno di questo contesto. Non gli interessa infatti legarsi e identificarsi con uno stile, tanto che si allontana da qualunque movimento artistico riconosciuto per non essere limitato nel proprio fare arte. È piuttosto un artista che dipinge spinto dal proprio inconscio, dalle proprie inquietudini, dal proprio istinto e dai propri demoni.
Nella vasta fortuna espositiva di Pajetta, questa mostra risponde all’esigenza di riscoprirne la storia dalle origini alla morte.
Divisa per ambiti tematici, l’esposizione pone attenzione tanto ai rapporti di Pajetta con il panorama artistico milanese legato a Novecento e soprattutto a Sironi, quanto al suo successivo desiderio di entrare in rapporto con la produzione europea, e in particolar modo francese, con uno specifico interesse per il Cubismo e il Surrealismo. È proprio in questo ambito che Pajetta sviluppa una precisa attenzione per un realismo di marca introspettiva che lo accompagnerà nel tempo, facilitato da uno stile corsivo e antimimetico, a cui certamente giova l’adozione del colore acrilico a partire dal 1967.
Nel suo lavoro – afferma Paolo Biscottini – Pajetta pare sempre più impegnato nella ricerca di una verità recondita e forse anche di una nuova coscienza di sé. Affiora il senso di un’angosciosa solitudine a cui non pongono rimedio né il successo di critica e di mercato, né la tenacia nel lavoro o la vasta cultura letteraria. Tormentato dalle proprie ossessioni, l’artista si affida all’immagine come a una sorta di travestimento o di alter ego.
Nel suo percorso Pajetta è attento a tutto e a tutti: nulla dei linguaggi artistici gli sfugge, tanto che spesso nella sua pittura si notano affinità con i numerosi autori con cui viene in contatto. È consapevole che l’arte si nutre di un continuo confronto ma anche che non esistono uno stile e un linguaggio unici capaci di esprimere il suo vagabondaggio psicologico, in cui fantasia e ossessioni si mescolano al senso tragico della vita e all’incessante e tormentata ricerca della propria verità. L’inquietudine è il tema generale di questo pittore affannato, che cerca nella tela e soprattutto nel colore il senso della propria vita.
Mio padre – dice Giorgio Pajetta – in realtà è un amante dell’avventura a trecentosessanta gradi. Lui ha sempre sperimentato nuovi linguaggi, nuove tematiche ma anche nuove tecniche pittoriche. Per Pajetta artista lo stile è il mezzo e non il fine della carriera pittorica e l’arte è lo strumento per indagare il proprio mondo interiore, analizzando gli aspetti universali della vita dell’uomo e la sua condizione esistenziale.
Il gesto pittorico di Pajetta, a volte leggero e veloce, altre volte graffiante e marcato, muta in continuazione. Ma se nel corso della sua carriera l’artista cambia la forma della sua pittura e si mantiene sempre in bilico tra figurativo e astratto, non è così per i contenuti, tutti riconducibili alla ricerca di sé e di sé nella storia. Pajetta ha saputo adoperare tanti linguaggi in funzione di quello che era il suo obiettivo di analisi interiore.
Pajetta è stato, fino alla fine, un artista spinto da impulsi che l’hanno portato a trattare motivi, a volte lirici a volte drammatici, generati da emozioni e da esperienze autentiche perché frutto delle sue passioni e delle sue ansie.
Personalità tanto affascinante quanto complessa, Pajetta può essere riscoperto e apprezzato solamente partendo dal suo essere altro e unico rispetto al contesto in cui ha vissuto e lavorato. Attraversando verticalmente quasi tutto il Novecento può essere affiancato ai grandi nomi con cui ha collaborato ed essere preso come punto di partenza per indagare gli ambienti artistici e sociali che hanno generato e influenzato il panorama sia milanese sia italiano del secolo scorso. Nonostante ciò resta una figura eccentrica e libera nella propria indagine artistica.

La mostra è realizzata con la sponsorizzazione di Topjet Executive.
Il catalogo della mostra è pubblicato da Skira.

Guido Pajetta – Note biografiche
Guido Paolo Azzone Pajetta nasce a Monza nel 1898 da un’antica famiglia di pittori veneti. Il nonno Paolo fonda una bottega di frescanti che conduce dapprima con dei collaboratori e in seguito con i figli Pietro e Mariano, che alla morte del padre professano autonomamente e si affermano come eminenti pittori del secondo Ottocento. Il cugino Mario Paolo è anch’egli un noto pittore veronese.
Nel 1915 Pajetta inizia la propria formazione artistica presso la Regia Accademia di Belle Arti di Brera a Milano dove, in seguito, sarà allievo di Ambrogio Alciati.
Nel 1917 si arruola volontario nelle truppe d’assalto per il Primo Conflitto Bellico Mondiale e si congeda nel 1920. L’esperienza bellica avrà su di lui un’influenza devastante.
Termina gli studi all’Accademia di Brera nel 1922 con menzione onorevole e inizia la propria carriera nell’ambito dell’ambiente artistico milanese, coniugando la scuola tardo ottocentesca del maestro Alciati con la tradizione familiare.
Fa la conoscenza di due artisti che segneranno la sua svolta dall’accademismo alla modernità: Anselmo Bucci e Mario Sironi, fondatori di Novecento e unici portatori a Milano di una vera e solida cultura europea. Partecipa alle Biennali di Venezia del 1928, 1930 e 1932 e alla quadriennale di arte di Roma del 1931 e 1935. In parallelo alla carriera espositiva si afferma nelle principali gallerie private del tempo: Galleria Milano, il Milione e Gian Ferrari. In questi anni conosce anche Lucio Fontana, rientrato dall’Argentina, con il quale stringe un’amicizia che li legherà a lungo.
La svolta che l’incontro con Sironi e con Novecento genera in Pajetta è di grande importanza. L’ago della bilancia culturale si sposta dal colorismo veneto al sintetismo volumetrico di Masaccio e Piero della Francesca, pittori centrali nel dibattito all’interno di Novecento Italiano. Nel ciclo di dipinti in cui l’influenza di Sironi è palese, non mancano tuttavia esperienze del tutto personali che riguardano sia un colorismo più acceso - spesso fantastico e irreale - sia una forma che, apparentemente di sintesi volumetrica, a un’attenta osservazione si rivela generata dal colore, come da tradizione veneta.
Nel 1934 compie il primo viaggio a Parigi alla ricerca di contatti culturali e di eventuali sedi espositive. Nei successivi lunghi soggiorni francesi, fino al 1939, Pajetta ha esperienze culturali che daranno una svolta al suo lavoro. Per la prima volta osserva con stupore la luce degli impressionisti e studia con attenzione i dipinti delle prime avanguardie europee, in particolare il cubismo di Picasso e Braque e la pittura fauve di Matisse e Dufy. Guarda inoltre con acceso interesse alle opere di Max Ernst, Dalì e De Chirico.
Rientrato a Milano nel 1938 si sposa con Maria Panizzutti, sua modella. Da questa unione nasceranno tre figli maschi.
Dal 1942 - anno del primo bombardamento su Milano - Pajetta si trasferisce con la moglie e i figli a Tremezzo sul lago di Como, in una piccola casa con giardino adiacente alla villa Fontana, di proprietà di Tito, fratellastro di Lucio.
Nel 1946 fa ritorno con la famiglia a Milano in via Cadore 43. Dal mondo idilliaco del lago di Como Pajetta si ritrova in una città affamata e distrutta dai bombardamenti, con scenari animati da un’umanità disperata. Da questo momento la sua pittura cambia violentemente registro, perde ogni leggerezza edenica. Il colore si fa cupo, nella riscoperta del nero, mentre il linguaggio si fa elementare, primitivo.
Tra la fine deli anni ’40 e i primi ’60 espone a Milano, Parigi e anche a Londra, dove entra in contatto con la figurazione inglese espressa da artisti come Henry Moore, Francis Bacon e Graham Sutherland. Queste esperienze europee durano fino al 1963, quando decide di esporre unicamente alla Galleria del Lauro a Milano.
Il 1967 segna un’importante svolta nella sua vita e nella sua pittura: abbandona il grande studio di via Cadore e si “rintana” in una piccola casa-studio nell’amato quartiere di Brera, in via Tessa 1, dove inizia una nuova sperimentazione con la tecnica dei colori acrilici. Questo sistema gli consente di esprimere, in maniera “innocente”, la propria dinamica psichica e gestualità interpretativa.
Nel 1981 contrae una grave malattia articolare che lo costringe a lunghi periodi di inattività con conseguente aggravamento della depressione. Da questo momento il suo lavoro subisce l’ultima svolta. Le opere diventano per il pittore lo specchio per leggere la propria condizione intima e vi si alternano, in maniera antitetica, esplosioni vitalistiche e sentimenti di sofferenza e dolore.
Pajetta muore nel 1987 a Milano nell’abitazione di via Tessa.

Guido Pajetta – Tematiche
Nelle diverse fasi della sua opera, tra i temi più cari all’artista, troviamo il ritratto che, ereditato dalla tradizione familiare, nel secondo dopoguerra diventa decisamente più introspettivo e critico, fino a sfociare in una vera ossessione con l’autoritratto. È invece la natura morta a dominare la fine degli anni trenta e l’inizio dei quaranta, diventando un tema che accompagnerà l’intera vicenda artistica di Pajetta. La varietà degli oggetti, dalla frutta ai vasi, dalla sedia al drappo, ha il compito di rappresentare la condizione umana in tutta la sua precarietà e permette all’artista di fuggire, almeno apparentemente, dalle sue ossessioni e di trovare spazi di ricerca stilistica sempre differenti.
All’inizio degli anni trenta si intensificano anche i riferimenti alla classicità e al mito in una figurazione che da un lato denuncia affinità con la poetica di Carrà e Sironi e dall’altro esprime una tendenza a uscire dalla retorica conformista del tempo.
È poi la maschera, come metafora della vita e di una sempre più sofferta condizione umana, a irrompere nell’arte come rappresentazione di guerra, sofferenza e inquietudine.
L’altro grande tema pittorico del lavoro di Pajetta è la figura femminile che però non è mai oggetto di piatta idealizzazione ma piuttosto lo strumento per una lettura profonda della realtà quotidiana. Nella sua pittura l’ironia svolge un ruolo essenzialmente antiretorico, volto a esorcizzare le ferite dello spirito, per questo al nudo femminile sono spesso affiancati particolari animali domestici.
È infine attraverso una singolare lettura poetica del paesaggio che Pajetta esprime in senso crescente la volontà di andare oltre il conformismo di questo genere per portarsi verso un mondo lontano e altro. È in questo tema che cerca uno spazio autenticamente libero e l’ingresso in luoghi fantastici e sovratemporali.