Greta Bisandola – Terza persona
Il lavoro di Greta Bisandola è caparbio e ostinato, punta i piedi, nel suolo del suo immobile silenzio, nella sua apparente staticità siamo in grado di intuire solo un fotogramma/scatto del magma ribollente sotto la crosta del colore ma un qualcosa incerto fruga bisbigliando dentro di noi, nelle nostre viscere, rimescola la percezione e ci lascia sospesi in un respiro che non sfiata.
Comunicato stampa
PENTESILEA “Se tuttavia, la fuga, se… se lo facessi: come, dimmi, potrei trovare pace?” Heinrich Von Kleist
TERZA PERSONA, un singolare Maiestatis
di B. Fragogna
IO, nel corpo voglio scavare la mente ed evincerne i giardini incolti, la sterpaglia secca cesellata in buie grotte psichiche dove la luce entrando da feritoie marginali sviscera i budelli ritorti, i percorsi accidentati sui quali inciampo ma proseguo. Voglio immolarmi alla polpa carnosa per diventarne particola, frammento e massa, affondare nell’impulso chimico di sinapsi mute che trasmettono, suggeriscono, blaterano a sillogismi “io sono te - tu sei me - io sono me”. Devo farmi maschera sfatta come carta macera, devo sciogliermi e indurire, sciogliermi e indurire per spaccare l’involucro cheratinico e mutare per ancora cadere molle e indurire e ammuffire coltivando batteri arabeschi e poi seccarli in merletti gotici. Devo e voglio crepare affinché la mia tumida larva si converta in esoscheletro che poi ceda ai filamenti della sua struttura, matassa erbosa in cui si riavvolge e da cui ancora affiora. Devo scavare ed emergere, avanti e indietro, avanti e indietro, indietro. Ciclo continuo, ritorno, ricerca, rigurgito. Nel volto dell’altrui devo trovare il mio simile compiacente, il nemico da sconfiggere, la bestia. Nei suoi occhi che mi fissano devo trovare altre domande a cui non ho necessità di rispondere, mi dico. Nell’alternarsi di fondali prima bianchi poi neri, poi neri, annullo la possibilità di abbandonarmi, la mia figura si contorce e muta irrequieta ma il mio ambiente non la contestualizza. Sono il collage dei “momenti d’essere”, sono il limbo/placenta d’attesa nel quale freme scalciando il mio destino nervoso.
Io sono Ella o Egli, la Terza Persona che assiste, l’incarnato nel quadro, il protagonista scisso nell’immagine, il pulviscolo del colore che corrompe e compone. Sono il singolare plurale che si riflette e che riflette l’ambiguità dell’artista che non si vuol palesare, che si cela dietro alla superficie della materia scavata per sovrapposizioni di veli, di velature, di strati sottili, di tempo. Il tempo lungo-dilatato che invoca la pace ma che non la desidera. L’artista che desidera essere nell’altro di cui s’impossessa attraverso l’opera. L’altro che divora.
Il lavoro di Greta Bisandola è estenuante. La sua pratica è il tempo. Il tempo è la durata di una lunga sessione di autoanalisi in-consapevole attraverso la quale la pittrice stratifica con maestria memoria e turbolenza, deposita con rigore memoria su turbolenza. L’artista usa spesso termini come “scavare” e “spellare”, il suo è un paradossale e apparentemente assurdo tentativo di togliere aggiungendo, accumulando. La stratificazione di elementi ripetitivi come volti e vegetazione che appassiscono e sedimentano nel tempo diventando il sigillo inviolabile di soluzioni fossilizzate in profondità. La soluzione sta nella negazione/rifiuto di una soluzione. Il tempo è il desiderio. Desiderio di infinito ma certamente non di un infinito poetico. Desiderio di desiderio. Assillo. Ogni quadro è una serie, ogni opera contiene almeno dieci lavori accumulati uno sopra-dentro-tra l’altro. Per concludere un’opera ci vogliono mesi, a volte anni. Il tempo di un “Bisandola” non è però scandito da mesi e anni bensì da minuti e secondi, da milioni, miliardi di momenti, frammenti, tocchi di pennello che dilatano e sfibrano il tempo logorandolo. I lavori sono vividi, brillanti ma tisici, sputano sangue, sussultano. Non sarebbe né troppo enfatico né fuori luogo infatti parlare di agonia e disperazione, non avrebbe alcun senso accantonarne educatamente il dramma.
Il lavoro di Greta Bisandola è caparbio e ostinato, punta i piedi, nel suolo del suo immobile silenzio, nella sua apparente staticità siamo in grado di intuire solo un fotogramma/scatto del magma ribollente sotto la crosta del colore ma un qualcosa incerto fruga bisbigliando dentro di noi, nelle nostre viscere, rimescola la percezione e ci lascia sospesi in un respiro che non sfiata. La tela e l’olio, a causa del loro limite formale fissano un momento, ma il momento dei quadri di Greta Bisandola inquieta il nostro stare e riflette in noi stessi il nostro e il proprio Sè.
La mostra sarà anche l’occasione, grazie alla collaborazione con Edizioni Inaudite – Collana MONO Cataloghi di presentare la nuova pubblicazione di Greta Bisandola.
La mostra sarà inaugurata il 5 marzo. L’artista sarà presente.
La Fusion Art Gallery coglie l’occasione di mostrarsi nella sua rinnovata veste, con una nuova direttrice, Barbara Fragogna (artista, ex curatrice della KunstHaus Tacheles di Berlino e fondatrice del progetto editoriale Edizioni Inaudite) e un nuovo programma che include e punta sullo scambio internazionale attraverso il progetto di residenze Fusion AIR e l’obiettivo di esporre/proporre artisti italiani e stranieri nella sua sede di Piazza Peyron. La Fusion Art Gallery non si propone come galleria commerciale bensì come spazio indipendente di sperimentazione e ricerca che vuole interagire con le altre realtà, spazi, istituzioni presenti nel territorio e oltre.
Con il supporto di Edizioni Inaudite.