Giuseppe Di Piazza – Io non sono padano
Quattro presentatori per la mostra di Giuseppe Di Piazza, il direttore di “Sette” del Corriere della Sera, al suo esordio come fotografo alla Barbara Frigerio Contemporary Art di Milano.
Comunicato stampa
Quattro presentatori per la mostra di Giuseppe Di Piazza, il direttore di “Sette” del Corriere della Sera, al suo esordio come fotografo alla Barbara Frigerio Contemporary Art di Milano. “Di Piazza - scrive Giovanni Gastel – “fa sapientemente uso di tutti gli specifici della fotografia: il mosso, la sfocatura, la grana, le tonalità cromatiche, con quella capacità di creare il giusto sommando “errori cercati”, in cui risiede per me l’anima stessa della vera fotografia creativa. Le sue materie, i suoi paesaggi, le sue strutture architettoniche sfumano nel rapimento del visto di sfuggita, dell’intravisto attraverso il vetro di quel treno in corsa che è sempre la nostra esistenza, aiutandoci a capire che, delle nostre vite, l’intravisto è forse l’essenza più vera”.
Beppe Severgnini, riferendosi al titolo della mostra – Io non sono padano – nota che “sono spesso gli ospiti - per un giorno, per un anno, per un pezzo di vita - a prestarci gli occhi, e a spiegarci le cose. Ritrarre la pianura padana è difficile, ma i risultati possono essere emozionanti. Una bellezza privata e svelata, per nulla evidente. Ci sono riusciti il reggiano Luigi Ghirri e il lodigiano Valerio Sartorio: ma loro giocavano in casa”. Insomma: “Un bel fegato questo palermitano”.
“Tra gli obiettivi di Giuseppe Di Piazza – scrive poi Denis Curti - sembra prevalere il desiderio di cogliere un mutamento. Costruisce un piano dialogico. Mette se stesso in relazione con il paesaggio. Riporta in luce elementi costanti di luoghi spesso dimenticati o trascurati. Approfondisce, appunto, il riflesso dell’inconscio”.
“Giuseppe Di Piazza – conclude Camilla Baresani - ha colto in queste foto lo spirito, più ancora che la concretezza, della pianura padana. Un paesaggio che a lui, palermitano, non può che risultare estraneo, come estranei erano per i nostri migranti i gelidi venti furiosi del New England. L’anima padana, che è sempre con una s privativa avanti a sé - spersa, sconfinata, scolorata, stinta -, lui l’ha catturata con una verità che commuove. Potrei avvolgermi in queste foto, farne un lenzuolo, sono sue ma sono mie”.