Fare i conti con il rurale
Mostra collettiva.
Comunicato stampa
“Era il mondo ormai a essergli diverso, fatto di stretti e ricurvi ponti
nel vuoto, di nodi o scaglie o rughe che irruvidiscono le scorze,
di luci che variano il loro verde a seconda del velario
di foglie più
Per fare i conti con il rurale e in senso più ampio con la natura,
che è la principale attrice all’interno della ricerca degli artisti
presenti nel progetto espositivo, bisogna fare un cambiamento di
prospettiva verso le cose che costituiscono il mondo.
Le modalità tramite cui percepiamo l’ambiente rurale e le
strutture ecosistemiche, che compongono la nostra concezione
di territorio, sono fortemente influenzate dalle scale di relazione a
cui dobbiamo sottostare, rapporti che sono spesso disallineati a
causa della mancanza di coordinate culturali per poterci orientare
all’interno di queste conoscenze e pratiche. I meccanismi culturali
che abbiamo prodotto ci consentono di decodificare la natura
solamente attraverso l’osservazione di frammenti di realtà,
permettendoci così di percepirla principalmente come oggetto
di consumo, piuttosto che di conoscenza. Come orientarsi allora
all’interno di queste cartografie naturali? Come vivere il corpo?
Come concepire diversamente il tempo e la memoria? Come
pensare invece le relazioni e i desideri? Come essere insieme?
La moltitudine di elementi che caratterizza la cosmologia di
ricerche presenti all’interno del progetto “Fare i conti con il rurale” è
prodotta dall’insieme delle relazioni poietiche, politiche, sensoriali,
cognitive, emotive, e, grazie ad un certo grado di sensibilità
verso la natura, viene inteso come luogo per la produzione del
contemporaneo. Le ricerche si propongono come esperienza
accumulata all’interno di un determinato contesto, con opere
che, attraverso i vari linguaggi proposti, fondano la loro estetica e
modalità d’espressione in un cambio di scala, capace di allinearsi
a quello della natura, al suo tempo, ai suoi concatenamenti, alla sua
memoria.
Il paesaggio come lascito dell’impronta collettiva e la
decodificazione di cartografie mnemoniche, quanto l’analisi
delle possibilità insite all’interno di questo tessuto stratificato, si
materializzano in termini scultorei e installativi all’interno della
ricerca artistica di Lucia Cristiani (Milano, 1991), mentre per Nicola
Ghirardelli (Milano, 1996) la matericità opera sulla natura mediante
tecniche e saperi antichi che riemergono ricontestualizzando
strutture simboliche desuete, dando nuovo significato e inserendo
in una nuova storia immagini ed elementi naturali.
Il focus ravvicinato dei movimenti e delle strutture di esseri
vegetali e animali eseguiti da Marina Cavadini (Milano, 1988)
mettono in luce la sensibilità e la fragilità degli ecosistemi, fornendo
una rappresentazione di resilienza intrinseca in alcuni esseri viventi
presenti in ambienti ostili. Allo stesso tempo Edoardo Manzoni
(Milano, 1993) pone al centro della sua ricerca un’analisi dei rapporti
di interdipendenza tra uomo e animale, in questo sono la caccia e
le pratiche millenarie di sopravvivenza ad essere analizzate, e di
conseguenza le successive imitazioni, la mappatura dei territori, la
progettazione di strumenti.
Oliviero Fiorenzi (Osimo, 1992) utilizza l’apparato semiotico
per reintrodurre strumenti di comunicazione legati al gioco, un
linguaggio dell’infante che opera come dispositivo di contatto con
gli elementi naturali stessi come cielo, terra e acqua.
Per Edoardo Caimi (Milano, 1989) il linguaggio fonda le sue
radici nel primitivo, nel tecnologico e nel tribale, attingendo alle
culture delle periferie suburbane e rurali, fondendosi attraverso
materiali industriali ed elementi naturali, in una cornice narrativa che
immagina strumenti di sopravvivenza all’interno di un contesto post-
apocalittico.
L’immaginario all’interno delle opere pittoriche di Alice Faloretti
(Brescia, 1992) sembra porsi come la concatenazione tra vari
tempi, la proposizione di una continuità all’interno dell’opera che
guarda a passato, presente e futuro rimodulandone i principi di base,
dove un immaginario dettato dalle trasformazioni della natura e degli
agenti atmosferici si fonde con quello dell’esperienza personale e
della memoria.
Allo stesso tempo Giorgio Mattia (Milano, 1997) attua la sua
ricerca verso un duplice fronte all’interno del proprio lavoro: da un
lato una vigorosa sperimentazione verso strutture a sostegno di
immagini fragili, dall’altro una minuziosa attenzione alle politiche della
rappresentazione della natura e delle sue ipotetiche trasformazioni
nel tempo.
Infine Manuel Gardina (Brescia, 1990) focalizza la ricerca
sugli elementi naturali traducendone l’immagine attraverso l’utilizzo
delle nuove tecnologie e media, riproducendo attraverso linguaggi
programmatici una riflessione del confine tra naturale e artificiale,
ponendo in discussione le relazioni emerse all’interno del discorso
contemporaneo fra i due elementi.
Fare i conti con il rurale si manifesta come un progetto di
ricerca, proponendo linguaggi pratici che operano all’interno del
panorama italiano con l’intenzione di visualizzare modalità d’azione
e di riproduzione. La necessità è quella di apprendere, dalla
natura e dal rapporto con essa, saperi dimenticati, espandendo
l’immaginario a forme e formati che non esistono all’interno delle
istituzioni e cornici contemporanee. Lo sguardo si situa così con
una certa radicalità all’interno di posizioni sociali che fondano le loro
conoscenze ai margini, contribuendo a modalità di sostegno, e allo
stesso tempo rivendicando modalità di esistenza dei “commons”
e immaginandone di nuovi.
fitte o più rade, tremanti al primo scuotersi d’aria sui peduncoli
o mosse come vele insieme all’incurvarsi dell’albero. Mentre il
nostro, di mondo, s’appiattiva là in fondo, e noi avevamo figure
sproporzionate e certo nulla capivamo di quel che lui lassù sapeva
[...]”
Italo Calvino, Il barone rampante, 1957