Doppio Diario
Mostra collettiva.
Comunicato stampa
Come è mio costume ho posato la bozza del cartoncino d’invito della prossima mostra sul tavolo basso davanti alla mia poltrona prima di darlo alla stampa. È efficace, mi soddisfa. La Bomba a mano del 1967 che vi è raffigurata non è un giocattolo, bensì un’arma vera, un esemplare autentico della seconda guerra mondiale. Sul biglietto autografo, celato all’interno dell’ordigno, ed ora in bella vista, Pascali ha scritto di suo pugno la data, la parola Diario sottolineata, e un paio di frasi di cui la più significativa è “ho ricaricato la bomba con questo biglietto…”. Il ready made duchampiano, neutro di per sé, viene per così dire umanizzato, assume quella valenza duplice di ludico e tragico che rende così unico Pascali. Giusto l’anno dopo Pino vedrà la sua testa esplodere come una granata all’impatto con l’asfalto del Muro Torto volando oltre la motocicletta che aveva inchiodato… Dico la verità, per tutti questi anni avevo sottovalutato la relazione stretta che intercorre traBombae biglietto. Di recente, avendone messa a fuoco invece l’importanza cruciale, ha cominciato a delinearsi nella mia mente un embrione di mostra. Ma ancora mancava qualcosa.
La scorsa primavera, quando a L’Attico ho ascoltato Elsa Agalbato leggere alcuni brani del Piccolo Diario di Leoncillo, pubblicato dalla Galleria dello Scudo, con il commento di Marco Tonelli, ho subito associato le parole che udivo alla scultura Ore d’insonnia del 1958. Poteva infatti Leoncillo dormire in santa pace, ansioso com’era di scoprire se la scultura che si stava cuocendo nel forno al piano sottostante fosse riuscita come lui desiderava? Gli smalti soprattutto rappresentavano un’incognita. A tutto ciò era dovuta la sua spasmodica attesa notturna.
Immaginando di fruire insieme di voce e scultura, ho capito che la mostra andava articolata su due piani, sia visivo sia letterario, con l’occhio e l’orecchio contemporaneamente in campo.
Mario Mafai è sempre nel mio cuore. Lui ha effettivamente tenuto per qualche tempo un diario vero e proprio, che fu poi pubblicato da Giuseppe Appella per i tipi de La Cometa. Ma a me è caro un altro testo scritto per la personale con le corde a L’Attico nel 1964. La prefazione in catalogo è di Argan ma Mafai volle lui stesso redigere una breve premessa, toccante per come si difende accoratamente dall’accusa di essere passato all’Informale tradendo se stesso. Da qui ho tratto il brano da ascoltare non staccando gli occhi da Autobiografia n. 1, un quadro del 1961 tutto azzurro, un colore freddo ma al calor bianco, dove le corde per l’appunto si raggrumano a formare in alto una sorta di cappio.
Da Mafai a Pizzi Cannella il passo non è breve, ma neppure lungo. Non si scappa, da una generazione all’altra, la Scuola Romana tramanda caparbiamente se stessa. In fondo, riflettendoci, tutti e quattro gli artisti di Doppio Diario sono romani o romanizzati in senso artistico. Per dire, Leoncillo è umbro di nascita e Pascali pugliese, ma fanno parte a pieno titolo della storia artistica e culturale della nostra città.
Come poteva in questa collettiva non esserci Pizzi Cannella che ama scrivere da sempre versi e pensieri direttamente sui quadri? Pizzi se non fosse nato pittore penso proprio che avrebbe voluto essere poeta. “Quale opera vuoi esporre” gli ho domandato “di ieri o di oggi?”. “Pura seta” ha risposto lui di getto e io all’istante mi sono visto il quadro davanti. È un dipinto del 1985 che non si dimentica facilmente, uno scialle di seta bianca posato su una sedia evanescente, tutti e due i soggetti altamente fantasmatici, sedia e scialle. Dopo qualche giorno, avendo frugato tra i suoi appunti, Pizzi mi avrebbe inviato alcune righe dove descrive lo scialle come in trepida attesa. L’esca del pittore per una bella donna che non si sa mai se apparirà.
L’avrete capito, Doppio Diario è una combinazione di arte visiva e teatro, una pietanza della casa che voi ben conoscete, palati fini de L’Attico.
Fabio Sargentini