Derive 1

Informazioni Evento

Luogo
PROGETTO ARTE ELM
Via Mario Fusetti 14, Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
09/07/2025

ore 18,30

Curatori
Andrea Daffra
Generi
arte contemporanea, collettiva

Mostra collettiva.

Comunicato stampa

Cosa significa oggi andare alla deriva? È un naufragio o una liberazione? Una condanna o una scoperta? La parola stessa evoca un’incertezza, un’oscillazione che la sua origine latina, dērīvāre, cattura in una tensione mirabile. Composta dal prefisso de-, che indica allontanamento, e da rivus, corso d’acqua, il suo significato letterale era deviare un flusso. In senso figurato, è passato a significare il tracciare l’origine di un’idea, di una parola. Ma questa dualità tra allontanamento e fonte non è solo latina; è un archetipo linguistico che attraversa la nostra cultura. Risuona nel greco antico parapherō, “portare altrove, deviare”, e affonda le radici nella sorgente stessa del linguaggio, nella radice protoindoeuropea (s)reue-, “flusso”, che lega il rivus latino a un concetto primordiale di scorrimento, eco anche del sanscrito nayati, “condurre”. La mostra esplora proprio questo campo semantico millenario: la deriva come condizione esistenziale e strategia creativa fondamentale per abitare il nostro tempo. Un’arte del muoversi in un mondo che ha perso le sue rotte ma non la sua corrente Prima di essere un concetto, la deriva è un’immagine archetipica, un potente racconto che l'umanità ha usato da sempre per narrare sé stessa. È la deriva cosmica di Manu, il progenitore indù la cui arca fluttua sulle acque della dissoluzione per approdare a un nuovo inizio, fondando un nuovo ciclo del mondo. È la deriva iniziatica di Odisseo, il cui decennale e tormentato vagare tra isole magiche e mostri marini si rivela un inesorabile percorso di profonda trasformazione interiore. È la deriva del Fato che salva il piccolo Mosè, affidato alle correnti del Nilo per sfuggire alla morte e andare incontro al suo destino di guida. Questi miti, impressi nel nostro immaginario collettivo, ci insegnano che la perdita della rotta prestabilita non è quasi mai una fine, ma la premessa per la scoperta di un destino più vasto. Sono le antiche mappe dell'errabondare, che ci ricordano come il perdersi sia spesso l'unica, vera condizione per ritrovarsi. Il XX secolo traduce questo archetipo mitico in uno strumento di indagine della realtà. È il flâneur descritto da Walter Benjamin, osservatore solitario che si perde nel labirinto della metropoli moderna, leggendone i segni nascosti. Ma è soprattutto con l'Internazionale Situazionista che la deriva diventa una pratica consapevole e sovversiva. La dérive teorizzata da Guy Debord non è più un semplice passeggiare, ma una tecnica di vita, un atto politico per riappropriarsi del tempo e dello spazio. È lo strumento della psicogeografia, lo studio delle influenze emotive che i luoghi esercitano su di noi, un modo per combattere l’alienazione della società dello spettacolo. Se per Debord, però, la deriva era ancora una scelta, un atto di resistenza, oggi essa sembra essere diventata la nostra condizione permanente. Come diagnosticato da Zygmunt Bauman, viviamo in una "modernità liquida", un’esistenza fluida e precaria, priva di punti di riferimento stabili: siamo tutti navigatori in un mare di incertezze, chiamati a tracciare rotte individuali in assenza di mappe condivise.

Elisa Nepote; la sua è una deriva quasi scientifica nella storia del blu, indagato come “fatto sociale” sulla scia di Michel Pastoureau. Questa navigazione a ritroso, che parte dalle variazioni degli Ushabti egizi, si traduce in superfici pittoriche solo apparentemente monocrome, invitando l'occhio a perdersi in infinite e sottili variazioni, strati di tempo e di significato.

Gabriella Pugliano, che invita a uno “smarrimento consapevole” come forma di resistenza. Le sue opere non sono racconti, ma varchi sensoriali che guidano verso luoghi inesistenti eppure familiari. Sono soglie dove il flusso del quotidiano si sospende, spingendo l’osservatore a “sostare” nel mistero, in quel limbo dove l’indicibile conta più di ogni risposta e l’immaginazione è libera di perdersi.

Alice Romano, la cui traiettoria artistica è essa stessa una deriva: un consapevole abbandono di un approccio pittorico tradizionale per un dialogo alchemico con il rame. Qui, il caos controllato del fuoco e dell'ossidazione diventa lo strumento per materializzare l'aura di guerrieri alter-ego provenienti da un immaginario interiore, rendendo tangibile la potenza del cambiamento.

La deriva di Elisa Schiavina è un viaggio psicoanalitico che, attraverso un "dispositivo ludico", esplora la stratificazione della memoria nel passaggio cruciale tra infanzia e adultità. Le sue opere, popolate da creature fluide e "giocattoli mentali", trasformano icone pop in vasi di Pandora, creando un campo di stimoli che non dà risposte ma attiva le domande e l'inconscio dello spettatore

Silvia Simonetti, che concepisce l'arte come un viaggio nell'Es freudiano. La sua pittura, nata da un flusso di coscienza, si offre come superficie per la pareidolia: è l’inconscio di chi guarda a "derivare" sulle forme ambigue, completando l’opera con il proprio linguaggio interiore.

Silvia Trampus, la cui deriva nasce dall'atto del fare, dal riuso di materiali carichi di storie. I suoi grovigli di corpi e oggetti riflettono il sovraccarico del mondo, ma l'accumulo è interrotto da delicati elementi floreali, punti di narrazione che permettono allo sguardo di trovare un’estetica della fragilità, una bellezza inquieta che affiora dal caos.