Costanza Satta – Del corpo e della terza dimensione
I soggetti sono maternità compunte, chiuse in abbracci protettivi, lottatori, angeli caduti, nudi dormienti, folle di corpi che si dirigono compatti verso un unico obiettivo fuori campo, in un discorso variegato e coerente che è al tempo stesso personalissimo e intriso di riferimenti e citazioni, di suggestioni che vanno dai vasi della Grecia classica a Picasso, da Michelangelo a Henry Moore.
Comunicato stampa
Costanza Satta. Del corpo e della terza dimensione
di Alessandra Redaelli
Mai come in questo scorcio di millennio l’arte ha dato prova di una così grande ricchezza di mezzi e di linguaggi. L’ingresso ufficiale del digitale nel campo dell’estetica contemporanea ha scompaginato le carte e ha ribaltato le certezze: la fotografia si è vista spalancare possibilità inimmaginabili, la pittura ha trovato non solo un mezzo, ma anche un modello al quale ispirarsi, spingendo gli artisti verso nuove frontiere di perfezione tecnica, la scultura ha smesso per sempre di essere forma e basta per diventare installazione, audio, video, tempo e spazio. I confini si sono fatti via via più labili, regole che si credevano immutabili sono state annullate da un click.
A pensarci bene, però, la commistione tra linguaggi può essere anche qualcosa di molto più sottile, di molto più concettuale rispetto alla scelta di contaminare i mezzi. Può essere qualcosa che sta dentro il lavoro, una suggestione profonda e immediata che – nonostante la certezza percettiva – non lascia scampo. E’ questo il caso dei dipinti di Costanza Satta: pittura a tutti gli effetti, al di là di ogni ragionevole dubbio, ma in realtà – e salta all’occhio – scultura bidimensionale… se così la possiamo chiamare.
Costanza Satta è uno spirito geometrico e matematico. Se si mette a parlare del bosone di Higgs le si illumina lo sguardo e riesce a renderlo appassionante come un romanzo di Stephen King. E la sua pittura è come lei: razionale e appassionata al tempo stesso. C’è il suo spirito matematico, la sua attenzione all’armonia delle proporzioni e delle forme in ognuna delle sue figure dolenti inquadrate come ritratti antichi, ma c’è anche l’emozione del racconto, la poesia dell’istante. E le figure sono lì, davanti ai nostri occhi, nel loro splendore architettonico, nella turgida imponenza delle forme, già padrone della terza dimensione, già sculture a tutti gli effetti, anche nella scelta di quelle cromie gelide. Sono monumenti di marmo candido o di cristallo, solo qualche volta accesi da toni caldi come gli ocra e i bronzi, o illuminati da graffi di rossi e di viola acidi. Sono corpi classici, michelangioleschi, figure potenti, anche quando il corpo si rivela femminile per la presenza dei seni pieni. Nessun orpello, niente fronzoli: anche i capelli sono quasi sempre banditi per mostrare la rotondità definita del cranio, mentre le mani e i piedi – la nostra presa forte sul mondo – spiccano enormi come nella statuaria primitiva.
“Di ogni oggetto che vedo, per prima cosa io colgo la forma”, dice l’artista, confermando anche qui che la sua autentica vocazione è quella della scultrice. Ma quella forma non le basta costruirla in argilla, bronzo o marmo (e posso assicurarvi che ne sarebbe più che capace!): lei la vuole collocare, vuole darle uno scenario e uno sfondo perfetti, un mondo altro, suo, impeccabile nel quale questa forma possa esprimersi nella sua possente esplosione di materia. Ecco perché comincia sempre dagli sfondi: piani, senza dettagli, senza quasi mai un riferimento reale, spesso scuri. Quella è la base, il palcoscenico, poi entrerà in scena il primo attore.
I soggetti sono maternità compunte, chiuse in abbracci protettivi, lottatori, angeli caduti, nudi dormienti, folle di corpi che si dirigono compatti verso un unico obiettivo fuori campo, in un discorso variegato e coerente che è al tempo stesso personalissimo e intriso di riferimenti e citazioni, di suggestioni che vanno dai vasi della Grecia classica a Picasso, da Michelangelo a Henry Moore.
Un mondo a parte, ma che vale la pena di scoprire, è quello dei bozzetti, che Costanza Satta realizza con una mano veloce e felicissima. Carboncino, matita, sanguigna prendono vita su carte semplici, da pacco, spesso messe insieme man mano con pezzi di nastro adesivo per non perdere neanche un minuto di tempo, neanche un suggerimento dell’ispirazione, e le suggestioni sono leonardesche, la forma esce – ancora – potente, invincibile, a dominare lo spazio.